con tanto dolore e rimpianto, con una sensazione di irrealtà, vi mando un ricordo che uscirà domani sulle pagine torinesi di Repubblica. Di rado ho scritto una cosa con altrettanta fatica e tristezza. un abbraccio, anna bravo
Senza Bruno Vasari: parole difficili da scrivere, idea difficile da concepire per una quantità di persone diverse. Perché Vasari è stato (è) molte cose: un antifascista, un resistente, un grande testimone del Lager, un catalizzatore culturale, il massimo custode della memoria della deportazione italiana. Si deve a lui, e ai suoi compagni dell¹Aned, la raccolta iniziata nell¹81 delle storie di vita delle deportate e dei deportati piemontesi, una ricerca unica per la sua ampiezza e per l¹accuratezzza storiografica. Ne è nato un Archivio di 224 interviste biografiche, risorsa straordinaria per la ricerca e la comprensione. Si devono sempre a lui l’Archivio degli scritti di memoria della deportazione dall’Italia, i tanti convegni nazionali e internazionali promossi dall¹Aned, fra cui quello sulla deportazione delle donne, il primo in Europa. E i moltissimi libri, le rappresentazioni teatrali, la ricerca sulla storia della deportazione italiana di cui sono già usciti risultati importanti. Nell¹insieme, un¹impresa pluridecennale, che solo la sua energia felicemente e proverbialmente ostinata ha consentito. Bruno era fiero di questo suo sforzo per moltiplicare i narratori e i temi, dell’appoggio fattivo e affettuoso delle istituzioni piemontesi, della collaborazione con studiosi esterni all’Aned, delle nuove leve di ricercatori, del lavoro con la scuola cui molti ex prigionieri si sono dedicati e si dedicano. ³Il dovere di testimoniare², titolo del primo convegno organizzato a Torino, era il suo pensiero centrale. Lo era già all¹indomani del ritorno dal Lager: il suo Mauthausen, bivacco della morte è uno dei primi testi italiani di memoria della deportazione, in cui l¹autore si fa portavoce della desolazione e della morte di massa, e dei singoli che non potranno testimoniarla che per interposta persona. Seguiranno altre opere e interventi profondi e originali, dedicati alla resistenza in Lager, a compagni di prigionia, alla sua cara Trieste, alla Versilia. Bruno è stato( è) anche un interlocutore critico e solidale, forte di una cultura sterminata e di una curiosità avvertita ma simpatetica verso il nuovo. Nei primi anni ottanta, la deportazione era per gran parte degli storici un tema di pertinenza delle scienze sociali, le sole ritenute in grado di andare al di là del compianto e della denuncia del male incarnato dal Lager. Negli stessi anni, la storia orale stava suscitando polemiche negli ambienti universitari. La memoria era accusata di inaffidabilità, i testimoni di presentare una versione degli eventi troppo personale. La scelta di promuovere una ricerca di ampio respiro fondata su fonti orali era dunque doppiamente innovativa. E coraggiosa. Decidendo di far intervistare tutti i deportati e le deportate della regione, ci si esponeva alla possibilità di discorsi e intepretazioni magari in contrasto fra loro; ma il primo intervento di Bruno che ricordo è il sostegno alla metologia ricca e complessa della storia di vita. Con la stessa apertura aveva guardato al concetto di resistenza civile, su cui all¹inizio degli anni novanta si addensavano diffidenze. Dopo averlo vagliato in prima persona, Bruno l¹aveva accettato come strumento utile a mettere in valore alcuni aspetti della deportazione, precedendo anche in questo caso studiosi più giovani secondo l¹anagrafe, incomparabimente meno giovani quanto a disposizione mentale. Per queste e tante altre ragioni, Bruno è stato (è) uno dei padri simbolici che svettano nel nostro paesaggio mentale. E uno splendido settantenne, ottantenne, novantenne (e non dubito che fosse splendido a qualsiasi età) capace di inaugurare in questi ultimi anni un nuovo registro espressivo - poesie, versi sparsi, filastrocche, così musicali e visive che leggerle è come ascoltare un canto o muoversi fra i colori. Questo Bruno imprevisto e senza età si accompagnava di buon grado al Bruno testimone di Mauthausen e anima di tante ricerche; l¹uomo che non dimenticava l’enormità degli eventi e l’enormità dello sforzo necessario a farli conoscere, era lo stesso che custodiva l¹amore per le piccole cose, il frammento, il dettaglio. Ecco perché la sua scomparsa provoca insieme al dolore, una sorta di stordimento. E un bisogno prepotente di dirgli ancora una volta grazie.
22 luglio 2007 - isolapossibile.it
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