La sbronza ciclabile

Agire con urgenza, prima che mi tocchino anche il Fred Buscaglione dal whisky facile, rilanciandolo allegramente nel pastone scemoproibizionista che imperversa da qualche settimana galleggiando sul vuoto estivo. Per adesso sono arrivati a Gino Paoli, evocatore di atmosfere spiaggiarolo-pensose, per fargli raccontare (e regolarmente poi condire della salsa corrente) la sua personale discesa negli inferi bruciabudelle. L'occasione pare ottima: si promuove una meritoria associazione di recupero degli alcolisti, e si ripete dal presunto autorevole pulpito del personaggio pubblico la storia abbastanza abituale del primo approccio alla bottiglia, del gomito che poi si alzava sempre di più e sempre più spesso, e della realizzazione (in questo caso per tempo) che qualcosa stava sfuggendo di mano.


Occasione ottima, appunto, se non fosse che l'attuale mainstream coatta se ne strafotte del problema alcol. O meglio, lo tratta esclusivamente abbinato alla guida. Ma attenzione: senza mai parlare davvero della questione centrale, ovvero la guida. Meglio, la guida cronica a cui ormai un paio di generazioni paiono condannate dai modelli di consumo implacabilmente imposti.
Tutta colpa dell'alcol? È proprio così? I morti ammazzati sono usciti di strada travolti da un'ondata di distillato, o schiacciati dai fusti di rovere che creano un'atmosfera? Niente affatto. Che si tratti dei morti del sabato sera, o dei pedoni o altri automobilisti vittime di guidatori che avevano bevuto, la causa prima del danno come ognuno può ben vedere sono lamiere e asfalto. Ma nessuno ne parla mai, o quasi mai.


Una generazione fa, era ancora abbastanza comune la domenica sera vedere onesti capifamiglia che tornavano, soli o a gruppetti, caracollando verso casa. Qualcuno non ce la faceva proprio, e scivolava a terra, a volte raccolto e aiutato, a volte no. Scene patetiche, di cui oggi si fa molto volentieri a meno, ma che non comportavano alcun incidente stradale: al massimo una bicicletta rovesciata nel fosso sul lato della strada, non certo i sinistri accartocciamenti di lamiere a cui ci hanno ahimè abituati. Accartocciamenti che, si badi bene, succedono sia nelle notti che dal vino son bagnate , sia nelle operose e sobrie giornate lavorative.
Ma di questo non si parla appunto mai, negli articoletti e articolini, peraltro attentissimi a ricordare la cultura nordica del turno di sbronze, la moderazione nel consumo, l'esigenza di più poliziotti e palloncini, per non parlare dell'immancabile psicologo, più o meno dilettante, che si lancia giù per la pista ad alta velocità della cultura del permissivismo, dell'insicurezza identitaria … Sull'ubiqua scatoletta a motore da cui deriva il fatale botto: silenzio totale.


E non ci avevo fatto neppure caso, a questa stranezza, fin quando non mi è cascata l'attenzione su una breve nota marginale in un articolo che descriveva non una tragedia, ma una allegra festa, quella delle biciclette a noleggio che imperversano per Parigi. Pare che una delle ore di punta del servizio sia dopo l'una di notte, quando chiude la metropolitana, e frotte di ubriachi usciti da feste private, ristoranti e locali vari, montano in sella e si allontanano sbandando nella notte. Mi faceva pensare a una versione terzo millennio dell' Uomo in Frack di Modugno, ma poi mi è venuto in mente anche che: a) pedalando, bene o male, si smaltisce almeno un pochino, e di sicuro ci si schiariscono le idee; b) male che vada, il massimo rischio è un capitombolo con sbucciatura di ginocchia e caratteristici sassolini piantati nel palmo della mano. La mattina dopo, oltre a qualcosa per il mal di testa da postumi, si dovrà anche stappare una bottiglia … di disinfettante. Ma, anche di questo aspetto, di questa possibilità, sui nostri giornali niente. Almeno mi pare.


E pure non ci vorrebbe molto, almeno da questo punto di vista, a sostituire alla schiera degli psicologi (più o meno dilettanti), qualche ingegnere, giardiniere, architetto, assessore al traffico e/o tempo libero. Naturalmente non si risolverebbe il problema: la monocoltura automobilistica ce l'abbiamo nel sangue, e non c'è proprio bisogno del palloncino per misurarla; gli spacci di alcolici sono accuratamente sparsi sul territorio, alla fine di lunghi percorsi che sembrano far parte inestricabile del rito: una specie di camino verso Compostela su quattro ruote. Si beva o non si beva, che sia mattina, pomeriggio o notte, il sole a strisce di guard-rail zincato è una condanna per tutti. Uniche oasi in questi tubi a cielo aperto, le varianti “personalizzate” del parcheggio del multisala, la ghiaia sull'ingresso della villetta dove abita l'amico/a morosa/o, la stradina campestre a fondo chiuso per effusioni, qualche volta magari anche “rinforzate” da un sorso. Oltre naturalmente all'oasi portatile dell'abitacolo, sempre più escluso dal minaccioso universo circostante, fra le armature esterne da imitazione Suv (o vero Suv), lo stereo a palla, il telefonino, la plancia di comando con schermi vari. Il “fuori” si allontana sempre più, e ci vuol poco a capire che il beverone da happy hour , o se è per questo anche i socialmente legittimi due litri alla cena del circolo, sono solo la mandata finale. Il resto, è un calcolo statistico.


Altro che palloncini, oltre che palloncini. Gli incidenti in macchina si fanno con la macchina, e vabé tutte le campagne sull'abuso di alcol, come sono sempre andate benissimo dalla Gin Lane di Hogart nella brulicante Londra veteroindustriale in poi, ma bisogna parlare, soprattutto, di auto: sono quelle, le lamiere che ti vengono addosso, non quella di una lattina di birra.


Se ci fossero più piste ciclabili che collegano la casa del bevitore/bevitrice all'abbeveratoio, e se questo percorrere le piste ciclabile fosse adeguatamente promosso, magari con sovvenzionati urletti cronici da disk-jockey , di sicuro la statistica potrebbe giovarsene.
Suona cretino? A vedere l'ora di punta dei festaioli brilli di Parigi, pare proprio di no.


21/8/2007 - di Fabrizio Bottini - megachip.info

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