Duecento milioni di persone consumano droghe illegali

Si stima che in Europa ci siano 23 milioni di alcolisti e che ogni anno 200 mila persone muoiano a causa dell'alcol.

Le dipendenze sono uno dei problemi maggiori e piu' costosi delle societa' moderne, secondo la presidente della Sessione Europea per la Ricerca sulle Dipendenze, Gabriele Fischer, che ne ha parlato al Congresso dell'Associazione Europea per le Terapie delle Dipendenze. Il congresso si svolge a Vienna fino al 12 settembre e vede la partecipazione di specialisti da tutto il mondo. "Stime accurate partono dal punto che in Europa una decima parte dei costi della salute oggi sia dovuto al trattamento di varie dipendenze", ha detto la signora Fischer. I medici ritengono che, mediante nuove analisi, sia dimostrabile come in ogni tipo di dipendenza si registrino processi simili nel sistema nervoso centrale, non importa se il paziente sia dipendente da alcol o videogiochi. "Se potremo continuare a chiarire questi meccanismi neuronali, si potranno elaborare criteri di trattamento simili", ha spiegato la dottoressa Fischer. Ha poi aggiunto che per far si' che i drogati inizino un trattamento e' importante liberarli dallo stigma sociale e fargli comprendere che la dipendenza non e' una debolezza o un difetto di carattere, bensi' una malattia grave.

Secondo l'Associazione, nel mondo sono 200 milioni le persone che consumano droghe illegali.


12/09/07 - droghe.aduc.it

La città dove la paura è morire sotto un'auto

Stillicidio di vittime a Cuneo e provincia: la viabilità il problema più sentito


C’è una provincia dove la gente, a conti fatti, ha meno paura di Bin Laden che dei propri concittadini, se debitamente motorizzati. E non da ieri: lo diceva già un’indagine del 2004, confermata più di recente, dove il 76 per cento degli abitanti di 7 grandi comuni e 10 medio piccoli del Cuneese collocavano al primo posto nella lista delle loro preoccupazioni il tema «viabilità e sicurezza». Seguivano la droga (72 per cento), i furti in appartamento, l’alcol, la solitudine degli anziani e via via tutti gli altri problemi, fino alla criminalità organizzata, ultima con l’8 per cento. La fotografia può sembrare curiosa, ma è fedele alla realtà che rappresenta: dinamica economicamente, ricca, ordinata e un po’ troppo isolata dal punto di vista dei trasporti. Non c’è dubbio che molti italiani desidererebbero, in cuor loro, problemi analoghi; ma a Cuneo una considerazione del genere è inimmaginabile.

I morti stradali, intanto, non sono una fantasia: ieri si è raggiunta la sessantunesima vittima dall’inizio dell’anno, con la prospettiva perciò di superare entro dicembre i numeri del 2006 (quando i morti furono 70). Qui tutti sanno tutto di questa luttuosa contabilità. In Provincia il presidente Raffaele Costa, più noto al grande pubblico per le sue battaglie contro gli sprechi nella pubblica amministrazione, ha varato un osservatorio permanente cui nulla sfugge. E i suoi collaboratori spiegano che 61 morti potrebbero sembrare pochi, in termini assoluti, ma se rapportati alla popolazione, che è un centesimo di quella italiana, sono moltissimi, troppi. Ieri hanno convocato in città il ministro dei Trasporti Alessandro Bianchi, che per la verità si è precipitato volentieri: e ad accoglierlo c’era una vera folla, non il solito personale politico-amministrativo tipico di queste occasioni. C’era la folla delle grandi passioni collettive, cui il ministro ha confermato che la provincia di Cuneo è al nono posto in Italia, rispetto al numero degli abitanti, per morti stradali.

Ha anche citato come pericolosissima, e attentamente monitorata dal suo dicastero assieme ad altre quindici strade della morte, una misteriosa statale «Ticinese», che qui non risulterebbe, ma il lapsus gli è stato perdonato volentieri in nome dell’emergenza. Che un viaggiatore non coglierebbe, a prima vista. Il traffico scorre tranquillo, dove sono i pirati della strada? Eppure mister Hyde è in agguato, da qualche parte. Il suo primo saluto lo rivolge a 10 chilometri dal centro, dove appare sul ciglio la prima lapide infiorata, in ricordo di un incidente stradale. Girando un po’, se ne troveranno parecchie. C’è poi un paese, Magliano Alpi, che ha lanciato una raccolta di firme - sono arrivati già a 30 mila - per la chiusura delle discoteche all’una di notte, e che ha perduto in 20 anni 23 giovani. Magari è successo in tanti altri posti, ma qui, per il sindaco, «si è persa una generazione». E il presidente dell’Associazione «Viviamo la vita» consegna le firme al ministro in nome dei «morti italiani sul fronte del divertimento».

E’ vero, forse non c’è una soluzione semplice per problemi complessi. Forse non è neppure un problema di discoteche. E’ anche vero che si può morire anche sul fronte della noia, ma vallo a spiegare a chi ha perso figli, nipoti, parenti. Tira aria di crociata, e non solo sulla ribalta pubblica. Mentre parla il Ministro, nella piazza Galimberti, a poche centinaia di metri, si chiude il grande mercato ambulante del martedì. E fra le bancarelle sono tutti informatissimi, anzi, quasi non si parla d’altro. La signora Antonina Beltrami, che viene da un centro limitrofo, Caraglio, sa già che c’è stata una nuova vittima, in mattinata, per cui il conto va portato a 61. Ed è dispostissima ad accettare le misure più restrittive possibili, «anche se ho un ristorante». Perché lei ha paura tutte le volte che suo figlio esce in moto. «Contro le rapine posso almeno mettere gli antifurti, e sperare. Ma contro un incidente non posso proprio nulla». Il figlio Andrea, poi, è preparatissimo, e da motociclista punta il dito sui guard rail poco sicuri, «non come in Francia». E il padre Gian Maria ha una teoria: «E’ da 60 anni che non fanno niente per le strade. Che cosa ci si può aspettare?».

In Provincia ti spiegano poi che il problema è intricato, perché la «Granda» è appunto un territorio molto vasto, e con una popolazione molto dispersa, ragion per cui le strade sono lunghe e si è costretti a usare tantissimo l’automobile. Il presidente Costa parla di un «tormento storico» e al mercato la signora Maria, mentre sceglie qualche capo di biancheria, ammette che a lei non è mai successo niente, tutte le volte che ci pensa le viene una gran paura. Esagerano? Certo è che mentre il ministro viaggiava per Cuneo, capitale dell’inquietudine automobilistica, un adulto e un ragazzo sono morti; e nell’arco delle due ore in cui ha partecipato all’incontro si è verificato su una delle principali vie d’accesso alla città un megatamponamento senza feriti gravi, che ha però bloccato la strada e creato un biblico ingorgo. Tanto per far vedere che qui non si scherza.

Per la sicurezza stradale «serve una nuova legge: faccio un appello affinché tutti si impegnino ad evitare che il decreto legge decada». Lo ha detto il ministro dei Trasporti Alessandro Bianchi a Cuneo. Il ministroha invitato «amministratori, associazioni e cittadini a farsi sentire».In Italia - ha sottolineato Bianchi - in un anno abbiamo avuto 5.400 morti sulle strade, 310 mila feriti, un vero bollettino di guerra. Dobbiamo impegnarci affinchè queste cifre siano drasticamente abbassate, ce lo impone la stessa Unione Europea».


12/09/07 - lastampa.it

Il cuore agisce sulle nostre emozioni o viceversa?

Secondo un nuovo studio pubblicato dal Journal of cardiology esiste un gruppo di fattori di rischio, che potremmo definire "psico-sociali", che sembra rivestire un ruolo importante nel favorire lo sviluppo di malattie a livello cardiovascolare.
Sembra ormai certo che se e quando ci ammaleremo di cuore dipende, in una certa misura, anche dal contesto sociale in cui viviamo, dalla maniera in cui ci relazioniamo agli altri e al mondo che ci circonda, e, in un certo qual senso, dalla nostra visione della vita.
E' stato dimostrato, infatti, che gli individui inseriti in una rete sociale relativamente limitata hanno un rischio di sviluppare problemi a livello cardiaco che è 2-3 volte maggiore rispetto a persone che possono godere di un adeguato supporto emozionale. Inoltre, avere la possibilità di confidarsi con una persona vicina, sia esso il partner o altri "confidenti", prolunga l'aspettativa di vita. Un aspetto interessante emerso dagli studi condotti sull'argomento è che la solitudine sembrerebbe avere effetti sul rischio cardiaco molto più accentuati nelle donne che negli uomini.
Anche il grado di istruzione, il livello di occupazione e di reddito, la qualità dell'ambiente in cui si vive, sono tutti elementi che concorrono a determinare lo stato di "salute socio-economica", che ha ripercussioni dirette sulle condizioni di salute generale. Esiste una relazione inversa tra livello socio-economico e rischio di sviluppare problemi cardiaci, nel senso che chi è più povero ha un rischio maggiore di avere nel tempo disturbi a livello cardiaco. Certamente, una possibile spiegazione deriva da una maggiore frequenza di comportamenti a rischio (fumo di sigaretta, dieta ricca di grassi, eccesso di alcol) tra le classi sociali più disagiate. Ma anche escludendo questi fattori gli individui che vivono in un contesto socio-economico peggiore continuano ad avere un rischio maggiore di ammalarsi di cuore.
Un ampio numero di persone soffre di depressione, condizione caratterizzata da disturbi dell'appetito, stanchezza, disturbi del sonno, sentimenti di angoscia, fino ad arrivare a pensieri di suicidio. Esiste una relazione diretta tra gravità della depressione e rischio cardiaco, ed in particolare è stato messo in evidenza che la "mancanza di speranza" per il futuro si associa ad una maggiore incidenza di morte per cause cardiache, mentre la capacità di avere una visione ottimistica può rappresentare un elemento di protezione. Sembra che coloro che si definiscono "felici" tendano ad avere una minore incidenza di accidenti cardio-vascolari. Probabilmente una più approfondita comprensione della complessa interrelazione che esiste tra sistema nervoso e sistema cardio-vascolare consentirà in futuro di capire attraverso quali meccanismi un atteggiamento più o meno positivo nei confronti della vita si riflette sulla predisposizione individuale ad ammalarsi di cuore.


12/09/07 - kwsalute.kataweb.it

LETTERA INVIATA AL TG2 – MEDICINA33

Oggi, alle ore 13.40, TG2 “Medicina 33” ha proposto un “servizio-marchetta”, ovvero una palese promozione al prodotto vino, fatta passare per informazione scientifica.

E’ stato riproposta, dal nutrizionista Carlo Cannella, la vecchia leggenda del vino che previene le malattie cardiovascolari per merito del resveratrolo, contenuto nella buccia dell’uva.

Naturalmente il Professor Cannella si è dimenticato di dire che il resveratrolo non viene nemmeno assorbito dall’organismo umano quando introdotto mediante l’assunzione di vino.

Naturalmente ha omesso di dire che la molecola del resveratrolo è contenuta in 72 diversi vegetali, tramite i quali può essere assunta senza introitare alcol, sostanza tossica e potenzialmente cancerogena.

Naturalmente si è dimenticato di dire che, se pure venisse assorbito, per assumere una quantità “terapeutica” di resveratrolo attraverso vino, un umano dovrebbe bere una quantità giornaliera tale da far morire il povero telespettatore del TG2, il primo giorno di cura, da intossicazione acuta da alcol.

Un modo originale, ma sicuramente efficace, di prevenire le malattie cardiovascolari.

La prossima volta, almeno, siate più corretti e scrivete “MESSAGGIO PROMOZIONALE”, così che chi è a casa si possa regolare meglio.

Cordiali saluti.

Alessandro Sbarbada

11.09.07 - a.sbarbada1@tin.it

Alcol, scarafaggi e la foresta di Bastar

Viaggio al centro dell'India


Sono le 6 di pomeriggio, il sole scende pigro dietro alle case di Raipur, capitale del Chhattisgarh. E Manoj ha bevuto. Di brutto. L'alito gli puzza di alcool. Gli occhi si muovono a caso. L'andatura è instabile. La sua lucidità è annegata in qualche whiskaccio da quattro soldi consumato poco prima di andare al lavoro. E ha deciso di presentarmi l'intera stazione dei bus di Raipur.

“Eeeh, Raj! Vieni qui a conoscere questo mio amico giornalista! E' arrivato dall'Italia!”

Ci siamo conosciuti qualche minuto prima, quando gli ho chiesto informazioni sui come arrivare alla foresta di Bastar. Lui e il fratello Raj hanno una compagnia che copre la tratta fino a Bijapur, nell'estremo sud dello Stato. “Tu vai con il mio autobus, non voglio sentire storie. Sarai mio ospite”, dice, mentre mi abbraccia come un fratello che non vede da anni, scarrozzandomi in giro a salutare autisti, meccanici, passeggeri e familiari.

Raj è più serio di lui, avrà una quarantina d'anni. Anche se incontrarlo per strada giureresti che è un avanzo di galera. La sua faccia è letteralmente coperta di cicatrici: una ragnatela di tagli profondi, che dalle mascelle salgono su fino al naso, per poi deviare bruscamente sul sopracciglio destro e scendere in picchiata sotto l'occhio sinistro. A guardarlo bene assomiglia a Luis Guzmán, l'attore portoricano noto per il ruolo di "Pachanga" in Carlito's Way.

Nonostante l'aspetto, Raj sembra più serio del fratellino. Non beve, ma telefona, controlla, si assicura che i suoi mezzi partano in orario, che ai passeggeri non manchi nulla. Mi dà appuntamento l'indomani mattina alle 5, orario di partenza del suo bus per Bijapur: ci vorranno ben 16 ore. Si prospetta un altro viaggio da incubo.

Manoj – che nel frattempo si è messo a litigare furiosamente con un passeggero – mi bracca di nuovo per farmi salire in moto e continuare la serata etilica. Insieme a lui c'è il figlio di tre o quattro anni. In una via trafficata c'è un locale con insegna al neon blu fosforescente. Entriamo.

[I bar in India si assomigliano tutti. In Rajasthan, Assam, Chattishgarh. Ai tavoli sono spesso seduti uomini soli e silenziosi, avvolti in una penombra che conferisce loro un'aria un po' losca. E' raro veder entrare delle donne. C'è sempre un televisore acceso, il 99% delle volte su una partita di cricket. Si serve birra e alcool vari. L'aria condizionata esce a manetta dai muri. E verso una certa ora c'è sempre qualcuno che esce inciampando miseramente su se stesso e farfugliando qualcosa. Perché da queste parti, chi alza il gomito lo fa sul serio. Pensi a bevitori accaniti e ti vengono sempre in mente gli stessi: russi, finlandesi, mitteleuropei vari. Ma gli indiani non sono da meno. Anzi. Una volta ad Attari, uno squallido avamposto in pieno Punjab, vicino al confine con il Pakistan, ho visto dei tizi entrare in una bettola dove stavo mangiando e ingollare bottiglie da poco meno di mezzo litro di whisky da quattro soldi nel giro di 5 minuti. Non è roba che va giù facile, se non ci sei abituato. Sembra di bere gasolina. Forse è gasolina]

Manoj ordina un succo d'ananas per il figlio e due grosse Kingfisher Strong. Un'ora dopo siamo di nuovo sulla moto, il vento in faccia, completamente storti, con il bimbo pericolosamente seduto sul manubrio, a prendere le carreggiate in contromano nel traffico serale di Raipur.

La mattina seguente, alle 5, attraverso la città che dorme per salire sul bus per Bijapur, verso la regione controllata dai guerriglieri naxaliti. Raj mi offre il biglietto. Insisto per dargli i soldi, ma non c'è verso. Accetta solo un piccolo pagamento simbolico. Il bus arriverà alle 9 di sera: uno di quei viaggi in cui ti domandi mille volte la ragione, e giuri a te stesso che non ne farai mai più. Giuramenti da quatto soldi. Sedici ore, la maggior parte delle quali su strade sterrate, col culo inchiodato a un sedile sfondato, mentre il bus viene ingoiato da foreste verdeggianti, tra le quali – ogni tanto – spuntano quattro capanne.

Solo altri tre viaggi si erano rivelati peggiori di questo: quello tra Senegal e Mali con mezzi di fortuna; quello notturno tra Liberia e Sierra Leone su un catorcio che si è più volte rotto in mezzo alla foresta; quello sul treno Amritsar-Varanasi - ventiquattro ore su una panca di legno, con la polizia ferroviaria che ha pure derubato il mio compagno di viaggio.

Il bus si ferma in uno spiazzo nei pressi di una tavernaccia per camionisti. Entro e passo in mezzo a nuvole di mosche, prima di trovare da sedere. C'è una regola, quando si decide di mangiare in un posto come questo: non guardarti intorno. Fissa solo il tavolo, o la tua sedia. Non sbirciare in cucina e non guardare come, dove e da chi vengono preparati i piatti. Insomma: mangia e non farti troppe domande.

Mentre raccolgo con la mano una manciata di riso e lenticchie, noto due scarafaggi che si inseguono intorno al mio piatto. Ma ho troppa fame, per lasciare tutto a loro. Pago e salto di nuovo sul bus, che continua la sua marcia verso sud. Alla fermata successiva faccio quattro chiecchiere con Amit, un giovane militare di stanza in un villaggio nella regione di Bastar, dove dà la caccia ai naxaliti. Sta tornando a casa con un permesso temporaneo. Mi prega di fermarmi da lui al suo ritorno.

Alle 9 di sera l'autobus, avvolto nell'oscurità della foresta, si ferma a Bijapur: una cittadina polverosa e insignificante vicino al confine con il Maharashtra e l'Andhra Pradesh. Sono arrivato a destinazione. Mi attende un'altra nottataccia.


pablo_trincia@yahoo.co.uk - 12/09/07 - lastampa.it

Denunciati ogni anno dai 12 ai 15mila medici

Malasanita': denunciati ogni anno dai 12 ai 15mila medici


MILANO - Vanno dalle 12 alle 15mila l'anno le cause legali contro i medici, per operazioni o diagnosi errate. Si stima che i 2/3 dei sanitari alla fine vengono assolti. Il calcolo e' della societa' specializzata Gestione Sinistri. Secondo la Commissione tecnica sul rischio clinico del ministero della Salute, il maggior numero di errori si commette in sala operatoria, che raccolglie il 32% delle denunce. Seguono i reparti di degenza (28%), quelli di urgenza (22%) e l'ambulatorio (18%). Le quattro specializzazioni piu' a rischio sono ortopedia e traumatologia (16,5%), oncologia (13%), ostetricia e ginecologia (10,8%) e chirurgia generale (10,6%). (Agr)


12/09/07 - corriere.it

Basta guerre nel mondo!