Droga: in ospedale anche un bimbo

DROGA: BERGAMO, IN OSPEDALE ANCHE UN BIMBO DI UN ANNO


Bergamo, 28 lug. - Prosegue l'allarme droga a Bergamo e c'e' addirittura anche un bambino di un anno tra le persone finite in ospedale a causa della cocaina tagliata con l'atropina. Sono finora in 17 ad essere finiti al pronto soccorso a causa delle allucinazioni e dei problemi cardiaci provocati dalla sostanza che e' stata usata dai trafficanti per tagliare la partita di cocaina diffusa qualche giorno fa a Bergamo e dintorni. Quasi tutti consumatori occasionali, e si teme che il loro numero, come sempre avviene durante il week end, possa raddoppiare. Tra loro, al pronto soccorso dell'ospedale di Seriate, c'era anche una giovane coppia con i figli piccoli, un bimbo e una bimba. La coppia era in preda alle allucinazioni. I carabinieri, su disposizione della procura per i minorenni di Brescia, hanno sospeso la potesta' genitoriale alla coppia. La sorpresa e' arrivata dai successivi accertamenti, quando e' stato scoperto che uno dei bambini, di poco piu' di un anno, aveva tracce di cocaina nell'organismo.Sono in corso le indagini per stabilire come sia successo.


(AGI) - 28/07/07 - agi.it

Guida in stato di ebbrezza

Equadoregno 31enne denunciato per guida in stato di ebbrezza


I Carabinieri del Nucleo Radiomobile di Ventimiglia hanno denunciato

all'Autorità Giudiziaria un cittadino ecuadoregno, M.V di 31 anni, abitante a Ventimiglia, che la notte scorsa si è reso responsabile di uno spettacolare incidente. Secondo la dinamica ricostruita dai Carabinieri, l'uomo, mentre percorreva con la sua Fiat Punto Corso Genova, direzione levante-ponente, ha urtato senza un apparente motivo due auto in sosta, una Fiat Bravo e una Mitsubishi Colt, ribaltandosi subito dopo e finendo la sua corsa nell'opposta corsia di marcia, nella quale, fortunatamente, non transitata alcun veicolo. Lo straniero se l'è cavata con pochi giorni di prognosi ma le analisi richieste dai Carabinieri all'ospedale per accertare l'eventuale stato ebbrezza hanno evidenziato la presenza nel sangue di un'alta percentuale di alcol, circostanza che ha determinato la perdita di controllo dell'auto e l'incidente successivo.

Daria Chieppa - 28/07/07 - sanremonews.it

Cassazione permessi mensili retribuiti a familiari disabili

Riceviamo e Pubblichiamo - La Cassazione obbliga l’Inps ad adeguarsi nell’applicare l’articolo 33 della legge 104/92 con una interpretazione più estensiva a favore dei lavoratori e a beneficio dei disabili.

Infatti, con la sentenza 7701/03 la sezione lavoro della Cassazione ha affermato che la presenza in famiglia di un’altra persona che sia tenuta, o comunque possa provvedere, all’assistenza del parente con disabilità grave, non esclude il diritto ai tre giorni di permesso mensili retribuiti.

La stessa Corte, con successiva sentenza 13481/04, ha confermato il principio secondo cui se in famiglia c’è una persona che non lavora, e può quindi assistere il disabile, non per questo si può negare il diritto del lavoratore ai tre giorni di permesso.
Anche per il consiglio di Stato (sentenza 394/97) il beneficio non è subordinato alla mancanza di altri familiari, e così vale per la Corte costituzionale che, con sentenza 325/96, ha sottolineato come l’assistenza al disabile non debba essere per forza di tipo familiare.

Un quadro chiaro ed inequivocabile che rende palesemente giustizia a quanti, come l’ANIEP, hanno sostenuto vere e proprie ciclopiche battaglie contro la burocrazia in difesa di diritti dei disabili e che praticamente mette in luce che:

a - non ha alcuna rilevanza il fatto che in famiglia ci siano conviventi familiari che non lavorando possono fornire l’aiuto necessario;
b - il disabile può scegliere chi, nella famiglia, debba prestargli assistenza;
c - l’assistenza non deve essere necessariamente quotidiana, purchè sia “sistematica e adeguata”;
d - l’assistenza sistematica e adeguata può essere riconosciuta anche a quei lavoratori che, pur risiedendo o lavorando in luoghi anche distanti da quello in cui risiede di fatto il disabile grave, offrono all’interessato un assistenza del genere;
e - il requisito della “esclusività” dell’assistenza non vuol dire che non si possa ricorrere ad altre forme di assistenza pubblica o privata: il lavoratore, quindi, può avere i permessi anche se il disabile ricorre a strutture pubbliche, a strutture di volontariato, a una badante;
f non si concedono permessi solo nel caso in cui il disabile sia ricoverato a tempo pieno (cioè 24 ore al giorno);
g - si devono concedere i permessi anche in caso di ricovero a tempo pieno quando si tratta:

1) di bambini sotto i tre anni, per i quali risulti documentato dai sanitari dell’ospedale il bisogno di assistenza da parte del genitore o del parente o affine entro il terzo grado;
2) di persone in coma vigile;
3) di persone in situazione terminale.

Infine un’altra gradita conquista: i tre giorni di permesso al mese possono essere fruiti a ore, secondo le indicazioni del lavoratore. Chi lavora, ad esempio, 40 ore a settimana, in un mese ha diritto a 24 ore di permesso, chi lavora 36 ore a settimana a 18 ore nel mese. Si tratta di decisione del ministero del Lavoro, che pone fine definitivamente ad una paradossale diversità di applicazione tra Inps (favorevole a riconoscere sei mezze giornate) e Inpdap (favorevole a mantenere in modo rigido la giornata).

Nicola Cirelli - Commissario Provinciale ANIEP Pescara - 28/07/07 - tgroseto.net

“Adotta un nonno”

“Adotta un nonno” contro l’emergenza caldo


In estate, com’è risaputo, gli anziani sopportano molto più faticosamente di altri il caldo e l’afa; questi due fattori sono così gli artefici a volte di vere e proprie situazioni critiche e di emergenze.
Nel tentativo di trovare una soluzione a questo problema, già nell’ormai lontano 2003, l’Ufficio Servizi Sociali ha dato vita ad una iniziativa, denominata “Adotta un nonno”, volta all’assistenza domiciliare alle persone anziane.
Ad Oggi le associazioni e i volontari impegnati nel progetto comprendono i volontari di Rovato Protezione (i primi ad attivarsi, già dal primo anno), l’Associazione San Carlo, l’Associazione Amici Casa di Riposo, Rovato Soccorso e l’Auser.
La nutrita schiera di coloro che prenderanno parte all’iniziativa non giunge impreparata al compito che l’attende. Tutti i volontari infatti hanno dovuto frequentare un corso mirato all’acquisizione di una maggiore competenza e per poter meglio affrontare il rapporto interpersonale con l’anziano.

Per maggiori informazioni è possibile rivolgersi a:

Ufficio Servizi Sociali tel. 030 7713276 (dal lunedì al venerdì dalle 9.00 alle 12.30)
Polizia Locale tel. 030 7722029 (solo nei giorni di sabato e domenica dalle 9.00 alle 12.30).


28/07/07 - rovato.org

Rignano, testimonia la prima bimba

Rignano, dal gip la prima bimba considerata capace di testimoniare


ROMA - Un momento importante, nella tormentata inchiesta sui presunti abusi ai piccoli allievi della scuola materna di Rigano Flaminio. Oggi, infatti, il gip del tribunale di Tivoli, Elvira Tamburelli, ascolta la prima delle due bambine ritenute, da una perizia, in grado di riferire sul presunto giro di abusi sessuali. Per i quali sono coinvolte alcune maestre, e i loro presunti complici.

L'audizione della piccola, che si terrà sotto forma di incidente probatorio - l'istituto del codice che consente ad un atto istruttorio di assumere il valore di prova, in un eventuale processo - si svolge con il supporto di una delle neuropsichiatre infantili che hanno condotto l'indagine psicologica sulla capacità delle bimbe di rendere testimonianza. Attraverso un auricolare collegato, ma fisicamente presenti in un'altra stanza, possono porre quesiti anche i difensori dei sette indagati. Accusati, a vario titolo, di associazione per delinquere finalizzata alla realizzazione di atti osceni in luogo pubblico, sottrazione di minore, sequestro di persona e violenza sessuale.

"Se le premesse sono giuste, sia le conclusioni dei periti che il fatto che la bambina ha gia' confermato agli stessi periti le cose che aveva detto un anno fa ai genitori, c'è da pensare che oggi sia il giorno della svolta": queste le parole dell'avvocato Carlo Taormina, legale di parte civile, prima di entrare questa mattina in tribunale. "Ribadisco - ha proseguito - che siccome questa bambina fa riferimento sia agli abusi subiti sia alle persone che li hanno praticati, se oggi la testimonianza diventa tale a tutti gli effetti giuridici, scattano i gravi indizi di colpevolezza per cui da parte nostra ci sarà la richiesta di arresto delle persone coinvolte negli episodi di abuso".


Il gip Tamburelli sentirà lunedì prossimo la seconda bambina ritenuta idonea a rispondere. Per martedì 31 è fissata un'altra udienza, per l'eventuale conclusione dei due atti istruttori.

Le due bambine fanno parte del gruppo di diciannove allievi per i quali il pm Marco Mansi ha chiesto l'audizione in incidente probatorio. Dopo aver concluso l'indagine psicologica sulle prime due bambine, l'equipe di esperti nominati dal gip Tamburelli si pronuncerà il 31 luglio prossimo sull'idoneità di altri due bambini a essere sentiti come testimoni. Il 19 settembre, poi, comincerà l'esame psicologico di altri otto piccoli; ed entro l'8 gennaio del prossimo anno le consulenti dovranno dire se sono in grado di riferire al gip.


28/07/07 - repubblica.it

Morì dopo parto, indagati i medici

SANITA': MORI' DOPO PARTO A MESSINA, INDAGATI SEI MEDICI


Palermo, 28 lug. - (Adnkronos) - Mori' per choc anafilattico subito dopo il parto, adesso a distanza di un anno, la Procura di Messina ha iscritto nel registro degli indagati sei medici. Maria Luisa Cortese, 21 anni appena compiuti, era allergica alla penicillina e ai suoi derivati, ma la medicina le venne somministrata dopo il parto cesareo, avvenuto al Policlinico di Messina, provocandole la forte reazione allergica. Secondo la perizia degli esperti nominati dalla procura di Messina, la condotta professionale dei medici e' stata "inadeuguata" al punto da provocare la morte della donna. Quattro dei sei indagati, il ginecologo che ha operato, la ginecologa di fiducia e due anestestisti, sono accusati di omicidio colposo, gli altri due medici, anestestisti del reparto di Rianimazione, sono accusati di favoreggiamento.


28/07/07 - leggonline.it

Accordo infame sulle pensioni

Gli oltre 300 scioperi spontanei nelle fabbriche di questi ultimi mesi, lo sciopero generale richiesto dai lavoratori di base, quello proclamato dalla CUB ed altre sigle sindacali di autorganizzate lo scorso 13 luglio, i molteplici appelli in rete di migliaia di delegati RSU non sono bastati ad evitare che i vertici di CGIL CISL e UIL asserviti ed organici a questo sistema economico e finanziario firmassero un infame accordo a perdere sulle pensioni, il sindacato concertativo per compiacere al “ governo amico “ ha scritto la pagina più sporca degli ultimi trentanni.

Il tanto sbandierato “ scalone “ è stato superato in peggio sommando una serie di “ scalini “ a breve termine che di fatto amplificano la manovra a carico della stessa generazione di lavoratori.

Non solo si innalza l’età pensionabile portandola a breve termine a 62 anni di età, 61 per le donne; si innalzano anche gli anni contributivi necessari per accedere alla pensione.

Aumentano anche i contributi a carico dei lavoratori dipendenti, dalla busta paga verrà tolto un ulteriore punto percentuale che sommato ai tre punti tolti nell’ultima finanziaria del governo Prodi vedrà ridurre i salari dello 0,40%.

A fronte di un aumento delle trattenute dei contributi previdenziali in busta paga dall’anno 2010 sarà adottato un nuovo calcolo dei coefficienti che prevede una riduzione dell’8-10% delle pensioni, per ridurle ulteriormente negli anni sino a raggiungere nel 2020 col massimo della contribuzione e dell’età lavorativa una pensione che a malapena raggiungerà il 60 % dell’ultimo stipendio percepito.

La stessa promessa di allargare considerevolmente la “ platea “ delle categorie e lavoratori sottoposti a lavori “ usuranti “ e godere di benefici è illusoria e priva di fondamento.

Già dal 1995 ( riforma Dini ) prevedeva un’indagine approfondita del mondo del lavoro per appurare quali e quante fossero le categorie di lavoratori addetti a mansioni usuranti; ebbene a distanza di 12 anni non è stato fatto un passo avanti, nonostante che dal 1995 nella quotidiana guerra del lavoro abbiano perso la vita 20.000 lavoratori e centinaia di migliaia abbiano contratto invalidità permanenti in nome dello sfruttamento e del profitto.

Anche ai pochi lavoratori a cui attualmente è riconosciuto un lavoro usurante sarà innalzata l’età pensionabile e sarà stilata un’apposita graduatoria di sbarramento che darà l’opportunità di pensionamento solamente a 5.000 lavoratori all’anno.

Questo infame accordo sulle pensioni affossa definitivamente la previdenza pubblica e lega il futuro previdenziale all’andamento della finanza e della speculazione, sia attraverso il furto del TFR, sia perché le pensioni future non avranno alcun riferimento con i pur aumentati costi contributivi a carico del lavoratore, ma saranno legati ai cosiddetti nuovi coefficienti di calcolo e cioè: andamento del PIL ( Prodotto Interno Lordo ) aspettativa di vita di ognuno e andamento degli investimenti speculativi dei fondi pensione ( rendimento TFR in borsa ).

Con questo infame accordo la pensione esce dalla logica della contrattazione collettiva e diventa una questione individuale.

La stessa sporca menzogna che vede contrapposti gli interessi di lavoratori di diverse generazioni mettendo i giovani contro i vecchi è aberrante poiché con questo pretesto oggi si “ bastonano “ i lavoratori cinquantenni in seguito verranno “ bastonati “ pure i giovani.

In realtà giovani e vecchi lavoratori e pensionati devono unirsi per abbattere questo sistema economico basato sullo sfruttamento, devono liberarsi di rappresentanti che vendono loro ed il loro futuro per un piatto di lenticchie e devono riprendersi l’onere della loro rappresentanza in prima persona senza delegare ad agenti della borghesia infiltrati in seno al sindacato al solo compito di svendere gli interessi dei lavoratori.

E’ NECESSARIO DIRE NO A QUESTO ACCORDO

AI REFERENDUM SULL’ACCORDO VOTIAMO NO

BUTTIAMO FUORI DALLE FABBRICHE I SINDACALISTI VENDUTI

I DELEGATI ONESTI VANNO IN GALERA QUELLI VENDUTI FANNO CARRIERA


Comitato per il rilancio della Previdenza pubblica - Venezia - fonte: s.zollo@tiscali.it - 28/07/07 - pane-rose.it

Alcol e sabotaggi, Nasa nell'odissea

L'agenzia spaziale travolta dagli scandali: astronauti ubriachi e computer fuori uso


Negli alloggi degli astronauti della Nasa l’alcol scorre a fiumi e almeno in un paio di occasioni uno di loro è decollato ubriaco, in violazione dei regolamenti che impediscono di bere alcolici 12 ore prima di una missione. La nuova bufera che investe l’Agenzia spaziale americana nasce dal rapporto della commissione di inchiesta a cui, nel febbraio scorso, era stato chiesto di fare luce sul comportamento degli equipaggi dopo in caso-Nowak.

L’astronauta Lisa Nowak era stata arrestata con l’accusa di aver progettato il sequestro di una rivale d’amore. Quanto gli ispettori hanno scoperto va ben oltre il caso-Nowak, perché le rilevazioni sulla sistematica violazione delle norme sull’alcool negli alloggi degli equipaggi al Kennedy Space Center chiamano in causa il tradizionale punto d’orgoglio della Nasa: la qualità del patrimonio umano. «In due specifiche circostanze degli astronauti erano a tal punto intossicati dall’alcol prima del decollo che gli ispettori di volo ed altri astronauti sollevarono formali dubbi sulla sicurezza del volo, ma non vi furono conseguenze, e decollarono» si legge nel testo.

Richard Banchmann, il colonnello dell’aviazione che ha guidato l’inchiesta, ha spiegato che in un caso l’astronauta coinvolto avrebbe dovuto salire a bordo dello shuttle, ma poi il decollo slittò e tornò a casa pilotando un jet T-38. L’altro episodio coinvolge un astronauta destinato alla navicella russa «Soyuz-Iss», e dunque forse non americano, anche se passato per il Kennedy Center. Ma non è tutto: la stessa inchiesta ha rilevato che almeno in un caso è avvenuto il sabotaggio volontario di uno dei computer che seguono la missione della stazione internazionale in orbita attorno alla Terra.

Di fronte alle rivelazioni a valanga la Nasa ha avuto poche alternative: la vicedirettrice Shana Dale ha convocato una conferenza stampa per assicurare che «sarà svolta un’approfondita indagine al fine di verificare la corretta applicazione dei regolamenti vigenti». Se le accuse trovassero conferma, l’esito è scontato. «Dovrebbero scattare le immediate dimissioni» anticipa Keith Cowing, direttore del sito Internet «Nasawatch», che commenta cosa avviene nei laboratori spaziali. Ma non è tutto: una delle ipotesi è che gli eccessi di alcol siano stati resi possibili da normative vetuste, in forza delle quali è proibito bere prima dei test su jet, ma non prima delle missioni spaziali. Se così fosse, lo scandalo investirebbe non solo gli astronauti ma le più alte sfere della Nasa, già alle prese con le difficoltà del superamento del programma shuttle.

Ma i guai per la Nasa non finiscono qui: un’esplosione nel deserto del Mojave ha completamente distrutto alcuni componenti del razzo che avrebbe dovuto portare in orbita SpaceShipTwo, la navicella spaziale studiata da Burt Rutan e finanziata da Virgin Atlantic per inaugurare il turismo spaziale. L’ambizioso progetto dello SpacePort nel deserto della California ne esce ridimensionato, anche perché vi sono state tre vittime e altri tre addetti in condizioni critiche. Almeno quattromila persone lavorano e vivono nello SpacePort, convinte che il successo del test della SpaceShipOne del 2004 abbia schiuso la strada ai viaggi nel cosmo, ma i progetti del miliardario Richard Branson di dotarsi a breve di una flotta devono essere rimandati. Per il dispiacere dei numerosi milionari già in fila per pagare 200 mila dollari per il brivido dello spazio.


28/07/07 - MAURIZO MOLINARI - lastampa.it

Violenza sessuale a Cassano Magnago

Violenza sessuale a Cassano Magnago: 21enne, incastrato dai Ris, in manette


E’ stato incastrato dai rilievi dei Ris di Parma. Due mesi fa, la notte del 26 maggio scorso, aveva stuprato una ragazza appena quindicenne: ora un 21enne della Valle Olona è stato arrestato con l'accusa di violenza sessuale. E’ lui, ora in carcere a Busto, secondo gli inquirenti, il responsabile della violenta aggressione a sfondo sessuale commessa ai danni della giovanissima. Lo stupro era avvenuto intorno alle due di notte a Cassano Magnago nel parco vicino a Villa Oliva. Il ragazzo, secondo quanto sostengono gli inquirenti, aveva convinto un'adolescente che conosceva da tempo a seguirlo nell’area verde di Cassano dove poi si sarebbe consumata la violenza. All'identificazione definitiva del giovane, incensurato, si è arrivati al termine di indagini coordinate dal pubblico ministero Valentina Margio. La ragazza dopo lo stupro era tornata a casa profondamente scossa, ma aveva trovato la forza di raccontare tutto ai genitori che la portarono in ospedale a Gallarate.Dopo le cure e gli esami di rito i genitori avevano così denunciato l'accaduto ai carabinieri che hanno immediatamente dato il via alle indagini. La ragazza è stata sentita dal Pubblico Ministero e dai Militari e dopo un po’ di esitazione iniziale ha esposto tutti i fatti. La parola finale spetterà ora ai giudici.


28/07/07 - radionews.it

La prof lo manda a casa: "Sei gay"

La prof lo manda a casa: "Sei gay". Intolleranza ed educazione nella scuola



Ancora un caso di intolleranza a scuola. Vittima un diciassettenne di Gela insultato e picchiato dai compagni. La prof risolve invitandolo a stare a casa poiché è gay e disturba le lezioni.


Già a Pasqua di quest’anno a Torino un altro ragazzo, Matteo Maritano, si suicida per una situazione analoga:“Non ce la faccio più” confida ai fratelli nella sua ultima lettera. Il ragazzo di Gela è stato più fortunato: ha trovato il coraggio di parlarne ai genitori che l’hanno capito e confortato, denunciando poi ai carabinieri l’accaduto. Ma se fosse mancato questo appoggio, parleremo di un’altra disgrazia forse evitabile? Quale risposta possiamo offrire ai ragazzi per individuare con certezza una via d’uscita.


Trovare una soluzione non è facile. Davvero è difficile per un ragazzo trovare un qualsiasi aiuto. Non può trovarlo nei professori che forse per primi individuano il disagio: sono grane che gli insegnanti evitano scrupolosamente (vai a casa, sei gay). Chi si avventura nella vita privata degli studenti rischia del suo. Non è tutelato, né valorizzato. Perciò per aiutare i ragazzi bisogna innanzi tutto cominciare a creare, inserendo dei programmi delle scuole, una nuova cultura del rispetto e del dialogo, dove il diverso, sia esso omosessuale, extracomunitario, disabile o anziano, sia accettato e trattato come ogni altro.


Poi occorre togliere alcuni tabù sui misteri dell’adolescenza. Siamo in una società che non si scandalizza dei rapporti completi fra adolescenti, ma vede ancora come tabù il parlare serenamente di omosessualità. È tabù per esempio affermare che, per la maggior parte dei ragazzi, è una tendenza comune nei primi anni della adolescenza, seppur temporanea. Infatti, perlopiù non è una vera omosessualità, ma una semplice ricerca di identificazione. È la curiosità di confrontarsi col proprio pari per provare e capire i meccanismi della sessualità, per assicurarsi di essere come gli altri..


A tutt’oggi nell’ambiente scolastico non ci sono che due forme di interazione fra studenti: lo sport ed il litigio. Perciò, considerando quanto poco sia valorizzato nella scuola lo sport, l’unica forma possibile di vero contatto fisico fra studenti è il litigio. È normale sfottersi e provocarsi fra studenti. Dare del gay e infierire in gruppo contro un compagno è forse una celata forma di “dialogo” per manifestare interesse verso una persona. Anche tante forme di bullismo nascono dalla necessità di interagire in qualche forma con gli altri. La forma violenta, aggressiva è quella che risulta più semplice per l’adolescente. Talvolta con la giustificazione di una provocazione si arriva alle mani per arrivare a coinvolgere nel gioco della lotta anche i genitali. Una lotta che spesso è un gioco eccessivamente violento solo per il timore di passare per gay.


Nei ragazzi spesso il desiderio di conoscere e conoscersi è visto come una debolezza da negare a se stessi ed agli altri. Così l’adolescente matura un atteggiamento discriminatorio verso i gay o chi appare come tale: “Io sono capace di respingere desideri omosessuali perché sono un vero uomo, chi non fa altrettanto è una checca da punire.” L’atteggiamento più duro verso i gay è proprio di chi non appare per niente effeminato, ma dentro di sé lotta per coprire una certa pulsione sessuale verso il proprio sesso. Nei ragazzi così le tensioni crescono e cresce una forma di insoddisfazione ed insicurezza che porta a rifugiarsi nel gruppo di coetanei. Gruppo che poi esprime il disagio dei singoli manifestando forme di razzismo, integralismo e violenza contro chiunque.


Perciò all’adolescente dovrebbe esser data la possibilità di crescere senza l’angoscioso dubbio di essere diverso. Sapere non c’è nulla di che preoccuparsi. Che certe tensioni non sono né da ostentare, né da sopprimere. Fanno parte del personale cammino di sviluppo di ogni adolescente. Se supereranno l’adolescenza senza troppi traumi, un domani saranno probabilmente tutti uomini sposati, con figli e senza nessuna “particolarità” sessuale.


Ma se a scuola s’insegnassero e sperimentassero discipline sportive che conciliano il controllo della mente con quello del corpo come la capoeira brasiliana, lo yoga, la lotta, il massaggio Shiatsu ed alcune discipline orientali, il ragazzo imparerebbe a relazionarsi con l’altro anche in forma non violenta. Anzi in forma di servizio, imparando a scambiarsi attenzioni, invece che pugni ed offese.


La scuola non dovrebbe essere solo nozionistica, ma soprattutto educativa. Cosa sono serviti a Matteo tanti anni di studi e diventare il primo della classe, se poi nel momento del bisogno s’è ritrovato privato dell’essenziale? Conta poco la preziosità del contenuto, se si è vaso di cristallo fra vasi di pietra. E talvolta anche i vasi di pietra si rompono.

Guido Guidotti - © Copyright Comincialitalia.net - 28/07/07 - comincialitalia.net

Bere moderatamente non fa bene alla salute

BERE MODERATAMENTE NON FA BENE ALLA SALUTE: GLI STUDI DEGLI ULTIMI 30 ANNI CONTERREBBERO UN ERRORE STATISTICO RICORRENTE CHE NE MINA LA VALIDITA'; LO RIVELA UNA RICERCA INTERNAZIONALE


Un team internazionale di ricerca coordinato dalla canadese University of Victoria e dalla University of California di San Francisco ha condotto una meta-analisi su 54 studi di correlazione fra quantità di alcol consumato e rischio di morte prematura, fra cui i disturbi di cuore, riscontrandovi un errore statistico ricorrente: l'inclusione fra i non assuntori anche dei soggetti che avevano smesso di bere in un periodo antecedente l'avvio delle ricerche, magari proprio per problemi di salute dovuti all'alcol.

E' per tale motivo - secondo i ricercatori - che il tasso di mortalità del gruppo dei non assuntori nelle ricerche in esame è sempre risultato più elevato rispetto a quello dei bevitori moderati: ciò rifletterebbe proprio le peggiori condizioni di salute dei soggetti che avevano in precedenza deciso di smettere di bere.

Dei 54 studi analizzati, soltanto 7 avrebbero incluso correttamente solo i non bevitori di lungo periodo nel gruppo degli abstainers (non assuntori di alcol). Infatti i risultati di questi 7 studi non mostravano alcuna riduzione del rischio di mortalità fra i consumatori moderati rispetto ai non assuntori.

Le meta-analisi effettuate fino a oggi mostravano che un consumo moderato di alcol poteva contribuire a prevenire disturbi di cuore e morti premature in generale: ma lo facevano proprio per non aver considerato l'effetto dell'abstainer error, come questa distrazione statistica è stata prontamente battezzata dai ricercatori.

La ricerca è stata finanziata principalmente dall'Australian Alcohol Education and Rehabilitation Foundation e dal NordAN di Copenhagen. Verrà pubblicata sul numero di maggio di Addiction Research and Theory.

Marco Mozzoni - addiction.blogosfere.it

In manette la nonna-pusher

Gestiva lo spaccio dal balcone In manette la nonna-pusher


Quando le hanno messo le manette addosso ha sdegnosamente rifiutato di salire in auto. E ha fatto il percorso, poche centinaia di metri da casa sua in via Capuana al commissariato di via Satta, a piedi per dimostrare che «lei» non ha paura. Un atteggiamento «premiato» da parecchi residenti di Quarto Oggiaro che le hanno tributato in strada il dovuto rispetto.

È finita così la carriera, ma non si sa fino a quando visti i precedenti, di trafficante di cocaina di Anna Luciani, 61 anni, per questo chiamata «Vecchia» o, più affettuosamente, «Nonna», già finita in carcere per un anno nel ’96. Lei ha sposato un noto esponente del clan Sabatino e ha avuto due figlie, poi maritate ai «ragazzi» Carvelli, altra famiglia di rispetto. Creando appunto un nuovo gruppo che ha assunto il controllo delle piazze strategiche di Quarto Oggiaro: via Traversi, piazzetta Capuana e via De Pisis. Un giro vorticoso che, secondo gli investigatori del distretto, diretti da Angelo De Simone, fatturava circa 10mila euro al giorno.

Il conto è presto fatto: la «Vecchia» preparava il cosiddetto «pacco», involucri di 26 bustine da mezzo grammo da vendere rigorosamente a 40 euro l’una. E solo in via Traversi riuscivano a piazzarne 6 o 7 a serata. Del resto il prodotto era di ottima qualità: 92 per cento di cocaina. Basti pensare che fino a un paio di anni fa si spacciavano i «quartini» (0,25 ma anche 0,20 grammi) con il 30, massimo 40 per cento di sostanza, a 30 euro. La «Nonna» aveva associato nell’affare, Mario Carvelli, 42anni, cognato di una delle sue figlie, uscito di galera con l’indulto il 3 marzo, dopo 15 anni per associazione a delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti.

Pur trattandosi di personaggi dal «pedigree» di tutto rispetto non è stato facile mettere loro il sale sulla coda. La struttura era rigidamente piramidale, con capi (appunto Carvelli e la «Vecchia») e dodici tra colonnelli (i vice), «paletti» (le sentinelle, che avevano a memoria le targhe delle auto civetta del commissariato), cavalli e cavallini (i nomi dei pusher in base all’importanza) tra cui due minorenni. Tutti ugualmente finiti in manette. Infine gli imboschi della droga, studiati dalla «Nonna»: diabolici, tanto che alla fine i poliziotti sono riusciti a recuperare «solo» mezzo chilo di roba.


sabato 28 luglio 2007 - ilgiornale.it

Regolamento europeo su viaggiatori disabili

ENAC: dal 2008 il regolamento europeo su viaggiatori disabili


Il regolamento europeo (CE) 1107/2006 per la tutela e l’assistenza delle persone con disabilità e delle persone a mobilità ridotta nel trasporto aereo entrerà integralmente in vigore in Italia dal 26 luglio 2008. A seguito della sua pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea L204/1 del 26 - ha spiegato in una nota l’Ente Nazionale Aviazione Civile (ENAC) - sono però già in vigore le norme sulla parità di trattamento che obbligano le compagnie ad accettare le prenotazioni ed imbarcare da e per gli aeroporti UE tutti i passeggeri in possesso di biglietto e prenotrazione. L’anno prossimo entrerà in vigore la parte che consentirà a questa categoria di passeggeri di ricevere assistenza gratuita in tutti gli hub europei e a bordo degli aerei.

Il principio informatore del nuovo regolamento - che, osserva Dedalonews, inciderà soprattutto sulle compagnie low cost che in nome della massima efficienza economica rifiutano il trasporto di disabili o impongono forti sovraprezzi - è il divieto a tutte le compagnie aeree e agli operatori turistici di rifiutare le prenotazioni e il trasporto di passeggeri con problemi di mobilità. Il regolamento CE1107/2006 si applica su tutti i voli - compresi quelli non di linea - in partenza o in transito da un aeroporto comunitario e, per le compagnie comunitarie, su tutti i voli in partenza da scali extracomunitari verso gli aeroporti UE.

Le uniche eccezioni possono riguardare la sicurezza, le dimensioni dell’aeromobile o i portelloni d’accesso che rendano fisicamente impossibile l’imbarco o il trasporto. Il rifiuto del trasporto per questi motivi deve essere comunicato dal vettore al passeggero, che ha diritto a ricevere le motivazioni del mancato imbarco entro cinque giorni lavorativi dietro semplice richiesta. La compagnia deve offrire al passeggero con disabilità o a mobilità ridotta cui abbia rifiutato l’imbarco - ma anche al suo eventuale accompagnatore - il rimborso del biglietto o un volo alternativo. I reclami per l’eventuale violazione dei diritti dovranno essere rivolti in prima istanza alla compagnia aerea e - in caso di mancanza di risposte adeguate - all’ENAC.

Sin da martedì 24 ENAC aveva incontrato le associazioni nazionali rappresentative dei passeggeri con disabilità e dei passeggeri a mobilità ridotta, illustrando le attività propedeutiche svolte dal dicembre 2006 in vista dell’adozione in Italia del Regolamento 1107/2006 e spiegando che il ministero dei Trasporti ha designato ENAC quale organismo responsabile della sua applicazione. ENAC intende emanare entro fine 2007 una circolare - nella cui fase preparatoria saranno coinvolte le associazioni - per fissare ruoli, responsabilità e aspetti procedurali. Entro settembre saranno attivati due tavoli tecnici su aspetti inerenti la formazione del personale addetto e la definizione delle norme di qualità per l’assistenza.


28/07/07 - dedalonews.it

Emergenza idrica: il Piano approvato dall'Aato

Elaborato da Nuove Acque, prevede 4 livelli di criticità con azioni conseguenti


Il Piano operativo per l’emergenza idrica, approvato dall’Aato 4, è in fase di piena applicazione da parte di Nuove Acque.

“L’Assemblea dei Sindaci lo ha approvato nei primi giorni di luglio – ricorda il Presidente Dario Casini. Il Piano redatto dal gestore del servizio idrico integrato dovrebbe consentire di fronteggiare al meglio una situazione che si annuncia molto difficile. A causa delle sfavorevoli condizioni meteoclimatiche si stanno registrando problemi in alcune fonti di approvvigionamento del nostro territorio”.

Spiega il Direttore Massimiliano Refi che il Piano per l’emergenza idrica prevede quattro livelli di criticità. Il primo è classificato come “situazione normale” ed è caratterizzato dalla possibilità, per Nuove Acque, di garantire almeno 150 litro di acqua al giorno per ogni abitante. Si scende al secondo livello quando l’erogazione di abbassa al di sotto dei 100 litri e questo viene classificato con la “necessità di attivare servizi sostitutivi o chiusure parziali per ritornare a valori di erogazione normali”. Il terzo livello è caratterizzato da un’erogazione compresa tra 70 e 100 litri di acqua al giorno per abitante ed in questo caso si possono prevedere servizi sostitutivi, razionamenti ed il coinvolgimento della Prefettura. Quando si scende a meno 70 litri, scatta il vero e proprio allarme rosso: viene attivata la Protezione Civile e l’erogazione viene comunque garantita alla cosiddette utenze sensibili e cioè ospedali, strutture per anziani, …”

“Il Piano è in grado di garantire l’ottimizzazione delle risorse e l’utilizzazione di mezzi straordinari – conclude Dario Casini. E’ e sarà comunque indispensabile che tutti i cittadini collaborino in questa difficilissima estate non solo evitando gli sprechi ma anche riducendo al minimo indispensabile i consumi di acqua. Assolutamente condivisibili, quindi, le ordinanze di Comuni e Province e l’appello al contenimento dei consumi che istituzioni locali e la stessa Nuove Acque hanno più volte ribadito in questi giorni. Da parte nostra, cosi come previsto dalla nuova legge regionale 29/07 abbiamo provveduto ad approvare ed autorizzare una serie di interventi urgenti per fronteggiare le situazioni di emergenza. Questo piano straordinario di azioni e la sensibilità della popolazione nell’uso della risorsa idrica dovrebbero consentirci di superare questa estate straordinariamente siccitosa”.


28/07/07 - arezzonotizie.it

Tolti i soldi ai Comuni per darli ai rom

Le casse della Regione sono sempre più vuote: nel settore sanitario, che incide pesantemente sul bilancio della Pisana, si continua a parlare di «buchi», voragini, extradeficit, congelamento di debiti, tagli a servizi importanti. Tutto, sembra, a causa del mancato controllo della spesa farmaceutica e sanitaria che ha costretto la giunta Marrazzo a predisporre cinque o sei piani di rientro dal deficit e a chiedere aiuto al governo Prodi per evitare una situazione sempre più vicina alla bancarotta.
Ma nonostante tutte queste difficoltà, l’amministrazione di centrosinistra ha trovato il modo di stornare una bella cifretta (circa 800 milioni delle vecchie lire) dalla finanziaria regionale per regalarla al Campidoglio che la destinerà a potenziare (sic!) i campi nomadi di Roma.
Questa autentica stranezza, contenuta in una determinazione dirigenziale (cioè un atto amministrativo sottratto al controllo del Consiglio regionale) è stata scovata nelle pieghe del bilancio dal capogruppo della Dc per le autonomie Fabio Desideri.
«Servivano per realizzare strade, ristrutturare edifici pubblici, costruire scuole ed eliminare le barriere architettoniche nei Comuni del Lazio. Così - spiega Desideri - è scritto nell’articolo 55 della legge Finanziaria regionale (numero 4 del 2006). L’esecutivo Marrazzo ha distolto 400mila euro dal mucchio e li ha versati al Campidoglio. Motivo? Per favorire il “potenziamento delle aree di accoglienza delle popolazioni nomadi”. È tutto nero su bianco nella determinazione dirigenziale numero C1653 del 28 giugno scorso. Un provvedimento che ci lascia basiti, soprattutto a fronte del deficit che pesa sulla Regione».
«Quanto accaduto è scandaloso. Abbiamo più volte denunciato – ha aggiunto l’esponente della Dc – la mancanza di trasparenza, di confronto, di coerenza della maggioranza che governa il Lazio. La demagogia di alcuni provvedimenti. Ma ora si è arrivati al punto di scovare dei fondi nelle pieghe di un capitolo di bilancio destinato ad altro, che ha un titolo ben preciso e non interpretabile, pur di accontentare il vorace Campidoglio».


Ma vediamo, nel dettaglio, cosa prevedeva il «Programma straordinario di investimenti per lo sviluppo socio-economico del territorio del Lazio». Nel capitolo 55 della legge Finanziaria regionale viene espressamente stabilito che i fondi devono essere «destinati a riqualificare e valorizzare i comuni, contribuendo a finanziare interventi in diversi ambiti, come la viabilità, il recupero dei centri storici e degli edifici di culto, la realizzazione e la manutenzione di centri sportivi, l’edilizia scolastica, l’abbattimento delle barriere architettoniche». Questo dice la legge.
«Ma per la Regione di Marrazzo e per il Campidoglio di Veltroni lo sviluppo socio-economico si fonda – commenta ancora Desideri – sugli accampamenti dei nomadi. Perciò, 400mila euro sono stati tagliati dal totale e versati per potenziare i villaggi rom. Un concetto politico ben singolare e a nostro parere non rispettoso della legge. Ci chiediamo – conclude il capogruppo della Dc alla Pisana – con quale faccia ora Marrazzo o l’assessore al Bilancio Nieri potranno dire di non avere fondi per realizzare opere essenziali per i piccoli comuni del Lazio. E soprattutto di avere problemi di cassa». Sull’argomento, tra l’altro, Desideri ha predisposto un’interrogazione consiliare.


di Claudio Pompei - sabato 28 luglio 2007 - ilgiornale.it

A Roma scoppia il caso gay

Effusioni in pubblico, a Roma scoppia il caso gay


A sentire la difesa sembra una storia di pruderie anni ’50 rivista in chiave terzo millennio. A sentire l’accusa, invece, è una ordinaria storia da Buoncostume che solo la connotazione omosessuale riveste di risvolti politici. È la notte tra giovedì e venerdì, l’una e mezza circa, siamo nei pressi del Colosseo. Una coppia gay passeggia mano nella mano nel centro di Roma. Arrivati nei pressi del monumento i due uomini si appartano e cominciano a baciarsi appassionatamente, fino a che una gazzella dei carabinieri li nota, li ferma e li conduce in caserma. Atti osceni in luogo pubblico il reato contestato. Di lì a poche ore scoppia il finimondo. Sul caso intervengono le associazioni omosessuali strepitando di presunte discriminazioni ai danni dei gay e denunciando il trattamento che i militari dell’Arma avrebbero riservato ai due ragazzi, Roberto, 27 anni di Roma e Michele, 28. E la vicenda assume toni da crociata. Anche perché proprio nella zona in cui i due ragazzi sono stati fermati, via San Giovanni in Laterano, verrà inaugurata il primo agosto la Gay street di Roma. «È un fatto gravissimo - è il commento del presidente Arcigay Roma, nonché responsabile Gay help line, Fabrizio Marrazzo - in quanto mostra come ancora oggi le coppie omosessuali sono considerate di serie B da molti».

Iniziano a circolare quindi le due versioni. Quella della coppia e, successivamente, quella fornita dai carabinieri. Che, neanche a dirlo, non combaciano quasi per niente. «Ci stavamo baciando e basta - ha raccontato Roberto, che però ammette: avevamo di appartarci in un posto tranquillo, in cerca di intimità. Non c’era nessuno e abbiamo cominciato a baciarci. Poi sono arrivati addirittura sei carabinieri su tre auto. Ci hanno fatto anche svuotare le tasche e perquisito. Successivamente ci hanno portati in caserma. Ancora non riuscivamo a crederci. Non sono stati per niente gentili e anzi hanno fatto di tutto per metterci a disagio». Subito dopo la denuncia e l’invito a comparire davanti al giudice.
Per i militari le cose si sono svolte in modo differente. «I carabinieri intervenuti sul posto - ha riferito un alto ufficiale dell’Arma - hanno riscontrato tutti gli estremi per procedere a una denuncia per atti osceni in luogo pubblico. Non si trattava di un bacio e neanche di un abbraccio. Il bacio non è reato. La pattuglia è intervenuta perché la coppia stava palesemente violando l’articolo 527 del codice penale. Non c’è nessuna discriminazione. Se si fosse trattato di una coppia eterosessuale saremmo intervenuti allo stesso modo».


Ma monta la polemica politica. «Mi auguro che a questi ragazzi si chieda scusa», è l’incredibile commento del ministro della Salute, Livia Turco, che non dà alcun credito alla versione dei carabinieri. E la collega Rosy Bindi, ministro della Famiglia, aggiunge la sua sentenza: «Eccesso di zelo». Al coro si unisce un’altra donna di governo, Barbara Pollastrini, titolare delle Pari opportunità: «C’è davvero il rischio che possa crescere un clima omofobico, di sospetto e pregiudizi». Il deputato della Sinistra democratica Franco Grillini (ex presidente Arcigay) annuncia addirittura un’interrogazione parlamentare ad Amato.
Dal centrodestra, invece, arriva la solidarietà ai carabinieri. «L’unica cosa scandalosa in questa storia - le parole del vicepresidente dei deputati di Forza Italia Isabella Bertolini - è che, come sempre, gli unici a finirci di mezzo sono i carabinieri. C’è qualcosa di perverso nel nostro Paese». Per Carolina Lussana (Lega nord) «se era un atto osceno non c’è stata alcuna discriminazione». Per il coordinatore di Forza Italia Francesco Giro, invece, «non c’è motivo di dubitare della versione dei carabinieri».


di Daniele Petraroli - sabato 28 luglio 2007 - ilgiornale.it

Pakistan, attentato alla moschea

Pakistan, attentato alla moschea: 13 morti


E' di almeno 13 morti il bilancio di un attentato dinamitardo che oggi ha insanguinato Islamabad, a poche centinaia di metri da una moschea nuovamente teatro di scontri tra militanti fondamentalisti e forze dell'ordine. Lo hanno affermato le autorità locali.

"Sono restate uccise almeno 13 persone, tra le quali sette poliziotti", ha dichiarato nel corso di una conferenza stampa il sindaco della capitale pachistana, Khalid Pervez. "I feriti sono una cinquantina".

Secondo fonti di sicurezza a causare la deflagrazione è stato un kamikaze, che si sarebbe fatto esplodere nelle vicinanze di un gruppo di poliziotti.

L'attentato è avvenuto mentre nella zona della Moschea rossa erano in corso scontri tra militanti islamici e forze dell'ordine.

Il complesso religioso è stato riaperto oggi per le preghiere del venerdì, circa due settimane dopo una battaglia costata la vita a oltre cento persone. A fronteggiarsi, per diversi giorni, erano stati anche allora forze di sicurezza e studenti coranici in lotta contro le autorità.

Poco dopo l'apertura la Moschea rossa è stata occupata dai militanti, che chiedono la scarcerazione di Abdul Aziz: l'imam arrestato nei giorni decisivi del confronto armato, mentre cercava di fuggire coperto da un burqa.

In una strada antistante il mausoleo, gli scontri sono proseguiti per diverse ore. Nel tentativo di disperdere i manifestanti, militari e poliziotti hanno impiegato anche gas lacrimogeni.


27.07.07 - ilsole24ore.com

A Milano si sniffa un chilo di coca al giorno

Ogni giorno quasi 45mila milanesi assumono sostanze stupefacenti, nell’ordine: cannabis, cocaina, eroina e anfetamine, per un totale di oltre cinque chili di «roba». È questa la sconcertante conclusione a cui sono giunti gli esperti dell’Istituto di ricerche Mario Negri analizzando le acque nere che dalla città arrivano al depuratore di Nosedo.Dati presentati ieri a Letizia Moratti, in visita alla nuova sede del Negri alla Bovisa. «Uno strumento fondamentale - ha commentato il sindaco - per chi vuole seriamente affrontare il problema delle tossicodipendenze. E soprattutto un invito a non abbassare la guardia», chiaro riferimento alle recenti prese di posizione del ministro alla Salute Livia Turco.

I numeri snocciolati ieri non sono comunque nuovissimi, da un paio d’anni infatti l’Istituto esamina quanto finisce nell’impianto, ricavandone dati allarmanti. Come quello che indica appunto in circa 45.000 le dosi di sostanze varie consumate quotidianamente in città. Che, tradotto in «peso» farebbero 4 chili di cannabis, 30.400 dosi, uno di cocaina, 10.555 dosi, 100 grammi di eroina, 2.800 dosi, e 25 di anfetamine, 411 dosi. Con un’impennata di consumi nei fine settimana. Dati che si incrociano alla perfezione con quelli dell’Asl cittadina che ha fissato per esempio in 120mila i milanesi che almeno una volta hanno provato la «polverina bianca». Cioè un abitante, lattanti e anziani delle case di riposo compresi, su dieci.

Ma se sostanzialmente il consumo della «neve», del «fumo» e della «brown sugar» rimane tutto sommato abbastanza stazionario, anzi si registra una lieve diminuzione della cannabis, in base agli ultimi rilevamenti sarebbe aumentato quello delle anfetamine. Uno stimolante potentissimo, ad alto rischio di dipendenza, sintetizzato alla fine dell’800 e inizialmente utilizzato per aumentare le prestazioni dei soldati al fronte. Poi nella diete dimagranti e per aumentare la concentrazione degli studenti sotto esami. Fino a quando, visti gli effetti devastanti, venne messo al bando.

«Sono dati importanti che possono essere un aiuto prezioso a chi decide le politiche sulla droga. Milano può offrire questo contributo, rispetto alle conseguenze delle diverse scelte politiche. Secondo questi dati, si evidenzia una diminuzione dell’uso di cannabis nei primi mesi del 2007 rispetto al 2006. Probabilmente questo si collega al fatto che le tabelle della cannabis erano state abbassate, e si era data una certezza rispetto alla differenza tra consumo e spaccio. Un innalzamento delle tabelle e un’incertezza su uso e spaccio negativa: questi dati del Mario Negri sono un aiuto quindi per chi deve decidere politicamente, a essere consapevoli delle conseguenze che queste decisioni hanno sulla salute». Poi la stoccata politica a Livia Turco: «Ci auguriamo che non ci sia alcun nuovo provvedimento, e che non sia lasciata alcuna discrezionalità ai giudici, come vorrebbe il ministro della Salute».


28/07/07 - ilgiornale.it

Mirco, dagli inferi alla testimonianza

Evangelizzato nel 2002 in una Missione di strada, ora è sua volta un evangelizzatore. La testimonianza di un giovane della Comunità Nuovi Orizzonti a circa mille giovani dell’Azione Cattolica incontrati a Vasto.

Una testimonianza fortissima quella di Mirco Buldrini, giovane della Comunità Nuovi Orizzonti. Evangelizzato nel 2002 in una missione di strada, ora è sua volta un evangelizzatore. Mirco ha raccontato la sua storia a circa mille giovani dell’Azione Cattolica incontrati a Vasto.

Vi dico subito che sono molto onorato e ho provato anche tanta emozione mentre ero seduto qui di fianco, perché mi commuove proprio che Dio mi dia questa possibilità di essere qui fra tanta grazia e di poter parlare a tante persone che hanno scelto di vivere portando il messaggio di Cristo, il messaggio di salvezza e di risurrezione.

Questo mi commuove perché ho personalmente sperimentato la bellezza, la grandezza e la gioia di questo messaggio.

Io sono nato in una famiglia con parecchi problemi. Il ricordo più nitido che ho da bambino è il chiudermi in stanza al rientro di mio padre la sera e il silenzio che cercavo di fare anche col il respiro per non fargli sentire che c’ero. Mio padre aveva dei grossi problemi di alcolismo, ma soprattutto aveva dei grossi problemi di violenza. È stato in collegio anche lui molti anni, dai tre ai diciotto anni ha vissuto un abbandono enorme, quindi è nato e cresciuto in una situazione di rabbia e di abbandono che automaticamente ha sfogato poi sulla famiglia che si andava creando. Ricordo in quegli anni le molte visite fatte in ospedale a mia madre …, ricordo mia madre seduta e fasciata perché mio padre le aveva sfondato le pleure dei polmoni, ricordo tanti momenti di incubo vissuti in casa dove cambiavamo mobilia per lo meno ogni quattro o cinque mesi, perché mio padre aveva degli attacchi di ferocia e quindi il ricordo più nitido che ho, in cui mi sono rifugiato più spesso, è quello del silenzio. Dalla nascita fino ai sei anni ero già un bambino che cercava di non esistere. Nel rapporto col mondo esterno avevo momenti di silenzio e momenti dove giocoforza esistevo e quindi dovevo sfogare tutto questo silenzio. E così mi sono trovato a sei anni ad essere già un bambino con grandi problemi di carattere: a scuola facevo spesso a botte e di conseguenza venivo messo in castigo, perché probabilmente le mie maestre d’asilo e delle elementari non avevano proprio altri mezzi per contenermi, non trovando poi neanche una risposta concreta nella mia famiglia per sapere da dove nascevano questi problemi e come risolverli. Anche mia madre inevitabilmente aveva assunto un atteggiamento di silenzio e di adattamento a questa grande violenza di mio padre.

Io abitavo in una casa in periferia di Trento, che però non si può chiamare periferia, per chi conosce le periferie delle grandi città. Trento è una città abbastanza ordinata e quindi anche le case di periferia sono di quattro o cinque piani, abitate da una decina di famiglie, tutto precisino; quindi io potevo permettermi di stare nel piazzale a giocare a pallone Ricordo bene un pomeriggio, avevo appena compiuto sei anni, non avevo nemmeno cominciato le elementari (compio gli anni a luglio e la scuola inizia a settembre): arriva sul piazzale di casa mia nonna, tutta sudata e cerca mia madre; mia madre poi mi prende in fretta e furia e mi porta dai suoi genitori, dagli altri nonni, perché mio padre aveva avuto un incidente in motocicletta … e rimarrà sulla sedia a rotelle da quel momento fino ad oggi.

Nell’anno successivo ho visto mia madre una, due volte e ho saputo che mio padre era sulla sedia a rotelle dal telegiornale. Paradossalmente quello è stato l’anno migliore della mia infanzia, perché i miei nonni erano persone cristiane, un po’ rigide forse, ma non mi trasmettevano la paura. Non bastò certo quell’anno a guarire un bambino che comunque aveva vissuto cinque anni di silenzio e di non esistenza!

Iniziai le elementari e l’anno dopo mio padre tornò dall’ospedale, ci trasferimmo in una villetta a schiera che in trentino mettono a disposizione per le persone disagiate con problemi fisici. Mio padre era effettivamente una persona un po’ più calma, perché aveva iniziato a fare uso di morfina e psicofarmaci che gli avevano prescritto i medici dopo l’incidente. Mia madre iniziò ad essere sempre meno in casa, perché probabilmente anche lei aveva bisogno di scappare dalla figura di mio padre, che ora non era più fisicamente pericoloso. Quindi io iniziai ad essere sempre più da solo con mio padre.

Negli anni successivi mia madre iniziò una relazione con un altro uomo che già conoscevo, perché nel frattempo mio padre, oltre agli psicofarmaci e alla morfina, iniziò a far uso di eroina e cocaina. La mia casa si trasformò praticamente nella piazza di Trento, divenne il luogo primario dello spaccio, del rifugio dei vari delinquenti ricercati. La mia normalità divenne questa e queste le figure di riferimento.

Mia madre ebbe la bellissima idea di mettersi con uno di questi nuovi acquisti che giravano per casa e mi portò via da mio padre e andammo a vivere in Val di Fassa. In quell’anno iniziavo a leggere, iniziavo a essere un bambino un po’ più grande che cominciava a capire delle cose; infatti, da lì a poco scoprii che mia madre si era messa con il mostro di Sardonia (un paese vicino a Trento), accusato dell’omicidio della prima moglie. E in me iniziarono a crescere delle paure aberranti: ricordo che da allora in poi il mio silenzio era carico della paura che quest’uomo potesse uccidere mia madre, che quest’uomo potesse uccidere me. In casa non c’erano dei begli individui e per di più ero in una realtà ancora più piccola di quella che è Trento, ero in un paese di duecento abitanti dove per un anno ogni giorno sui giornali della zona c’era quest’uomo, la mia famiglia e tutte queste storie nei giornali, soprattutto il tema di questo corpo della donna uccisa che non si ritrovava ...

Di conseguenza mi sono trovato intorno agli otto-nove anni, ad essere un bambino già stanco; non riuscivo a capire cosa potesse essere la vita, pensavo potesse essere solo una grande tragedia e una grande disperazione. Tutta questa paura non riuscivo a comunicarla a nessuno, ho provato qualche volta a comunicarla a mia madre. Però, dato che il suo uomo aveva un atteggiamento diverso da quello di mio padre, quanto meno non era una persona violenta, mia madre aveva pensato di trovare in lui quel sogno e quella ricostruzione familiare che aveva fallito negli anni precedenti causandole tanta sofferenza. Quindi non riuscì probabilmente ad accogliere questo bambino che purtroppo non gridava perché aveva imparato il silenzio. Insomma, arrestarono quest’uomo per omicidio, dopo vari processi lo portarono in carcere e passai gli anni successivi a fare un po’ avanti e indietro per tutti i carceri d’Italia con mia madre.

Perquisizioni, colloqui, guardie ubriache; insomma situazioni brutte e di degrado. In me si insinuava un seme di diversità in relazione a tutto il mondo e a tutti i coetanei; mi sentivo diverso, non riuscivo a partecipare a giochi di gruppo, ricordo che volevo iscrivermi per giocare a calcio ma non ero proprio capace di socializzare, facevo fatica, mi sentivo sempre a disagio, mi sentivo sempre il diverso. Inoltre, si sa, i bambini hanno tanto di bello, ma assimilano anche i pregiudizi che sentono in casa; così i miei coetanei assimilavano i giudizi dei loro genitori circa la mia storia, la mia famiglia. Quindi avevo anche dall’esterno un continuo riscontro di rifiuto e di solitudine. Ricordo che fra gli otto e gli undici anni, ero convinto di giocare in una squadra di calcio, ma in realtà mi chiudevo in camera il pomeriggio dopo scuola e mi facevo le liste con i nomi, mi facevo la partite, mi costruivo il campo da calcio sulla moquette, insomma mi facevo tutta una vita sociale, ma me la facevo solo dentro di me. Mi costruivo delle amicizie dentro di me. In quegli anni non vedevo nemmeno più mio padre, perché mia madre mi aveva portato via da lui; senonché diventando un pochino più grande e avendo un po’ più capacità di movimento, iniziai ogni tanto a prendere la corriera, a scappare da mia madre, a scappare da scuola, andandomene magari a ritrovare mio padre dai nonni.

In quegli anni conobbi la droga. Avevo dieci anni, ricordo che una sera - ero con mio padre - avevo un fortissimo mal di denti e mio padre ebbe l’invenzione di darmi una mezza pastiglia di Roipnol, un sonnifero. Mi piacque, perché per un momento, subito dopo il sonno, ritrovai un po' di serenità; avevo dentro un silenzio che non avevo praticamente mai assaporato, avevo pace, non avevo più paura e non avevo paura di mio padre, c’era solo questo silenzio dentro che mi conquistò.

Da lì a poco, sempre con mio padre, iniziai a fare il primo uso di spinelli e mi piacque, perché mi diede la sensazione di essere più capace di socializzare, di essere più in grado di stare anche nel mio silenzio, perché nemmeno nel mio silenzio riuscivo più a stare: a dieci anni avevo dei disturbi allucinanti: ogni passo che facevo, sentivo che quello mi giudicava, che quello mi guardava, che quello sentiva cosa pensavo. Insomma, ero un bambino, ma un bambino appesantito come un vecchio che ha fatto una brutta vita. Sentivo di avere non dieci anni, ma settanta; ogni passo e ogni sguardo mi pesavano proprio tanto.

Insomma da lì ad arrivare all’eroina il passo non è stato proprio velocissimo, sono passati altri due o tre anni. Però mi ritrovavo a quindici anni a fare la prima esperienza di eroina con l’uomo di mia madre, che nel frattempo aveva finito il carcere.

Allora, nel momento in cui ho incontrato l’eroina, ero convinto di aver trovato la soluzione a tutto il male che avevo dentro, perché con quest’uomo avevo una grande complicità ed era una complicità che non mi faceva sentire più la paura che quest’uomo mi potesse uccidere o che potesse fare del male a mia madre, mi sentivo parte di lui, insieme a lui, quindi io mi ero tanto alleggerito.

Iniziavo ad avere delle amicizie, a sentirmi importante per la gente, perché avendo l’eroina, la marijuana e la cocaina in casa, mi potevo permettere il lusso di essere cercato e non più giudicato. La gente mi telefonava a casa, veniva a suonare alla porta, mi chiedeva di uscire insieme e io ero proprio convinto di aver trovato la chiave di volta.

Sono andato avanti così qualche anno. Nel frattempo ho iniziato a far uso di eroina anche con mio padre, perché già fumavo marijuana con lui. Dal momento in cui ho iniziato ad usare le polveri insieme a quest’altro uomo, mi sono presentato da mio padre come un adulto che poteva permettersi di fare certe cose insieme a lui, e le cose erano queste. Quindi ho iniziato a fare dei viaggi con mio padre: andavamo nelle Filippine, portavamo indietro l’eroina, l’hashish, l’erba, andavamo in Portogallo, in Spagna, in Paesi Bassi, ho fatto tutta una serie di cose con mio padre che non avevo mai fatto e quindi ero proprio convinto di avere trovato la chiave di volta, mi sentivo forte. Soprattutto non sentivo più certe voci interiori, perché negli anni precedenti avevo un continuo tormento fatto di malesseri, di dolori, di senso di diversità che mi torturava. Ad un certo punto mio padre decise che era l’ora di smettere di fare uso di eroina; aveva intenzione di cambiare vita e quindi mi buttò fuori di casa.

Nel frattempo anche mia madre, che aveva accettato la situazione col nuovo uomo, mi buttò fuori di casa, si tenne lui e buttò fuori me e così mi ritrovai per strada.

Non era facile trovare l’eroina, perché non ce l’avevo più in casa. Non potevo più lavorare per strada, perché se lavori e poi vai a casa e ti fai una doccia è una cosa, se lavori e poi vai su una panchina e dormi in un parco, l’energia viene a mancare. Allora non andai più a lavorare e iniziai a fare reati: furti, qualche rapina, spacciavo sempre di più perché mi servivano sempre più soldi. Iniziai a farmi in quantità sempre più grandi perché, mentre prima un po’ per il lavoro, un po’ per la scuola, un po’ per il fatto che l’uomo di mia madre mi aveva abituato la mattina ad arrivare col vassoio con la dose pronta, avevo uno standard diverso, ora mi trovavo ad avere uno standard aumentato, quindi mi serviva sempre più roba, sempre più coca, sempre più espedienti che mi portassero soldi. Fatto sta che hanno iniziato ad arrestarmi. Le prime volte ti arrestano e ti rilasciano nel giro di qualche giorno, perché sei ancora pulito, aspetti ancora che ti facciano il processo. Dopo un paio di anni avevo già quattro anni da scontare: vennero a prendermi e mi portarono in carcere.

Fortunatamente, mentre ero per strada, avevo conosciuto un’associazione di Trento che seguiva i ragazzi di strada: cercavano di convincerli a fare qualcosa di diverso, a entrare in comunità, a provare a fare dei colloqui, a ricevere un’assistenza sanitaria. Io intanto avevo anche iniziato a fare un forte uso di psicofarmaci, quindi avevo dei vuoti di memoria anche per giorni interi. Mi svegliavo magari a dicembre e l’ultimo giorno che mi ricordavo era di settembre, quindi nel frattempo avevo combinato tutta una serie di cose che manco ricordavo di aver fatto e che poi mi ritrovavo puntualmente tutte insieme. Così decisi di entrare per la prima volta in comunità.

Avevo già avuto un’esperienza di pochissimi mesi da don Pierino Gelmini, però ero andato via subito perché mi andava bene la vita che facevo, quindi non avevo dato senso a questo ingresso.

Entrai a San Patrignano e vi rimasi due anni. Il primo anno fu anche piacevole, perché mi permisi di vivere tutta quella parte adolescenziale di me che avevo perso. Allora facevo veramente parte della squadra di calcio interna, mi piaceva lavorare, così mi proposero un lavoro di restauro di mobili che mi attirava. La mattina mi sentivo di alzarmi e quasi di andare a scuola e poi il pomeriggio andavo a fare sport. Stavo proprio bene, sentivo che mi stavo riprendendo quella parte di me che mi era mancata.

Dopo un anno, si iniziano ad avere le prime responsabilità, quindi devi iniziare ad uscire dal silenzio, dal tuo mondo.

Io avevo vent’anni e mi ritrovavo ad essere come un bambino di otto anni; ogni volta che sentivo una persona con un carattere forte, iniziavo a sudare, dovevo cambiare quattro, cinque magliette al giorno ed ero in continuo disagio. Così ad un certo punto pensai: "Ma sai cosa faccio? Io quasi quasi un’altra pera me la faccio, almeno queste sofferenze non le vivo".

Non mi sentivo assolutamente in grado di sostenere dei rapporti, delle relazioni, di fare anche delle cose un po’ più serie che carteggiare un pezzo di legno. Seguire un ragazzo e stare attento che non combinasse guai, mi andava in tilt, mi sentivo a disagio, non mi sentivo proprio in grado e all’altezza.

Di conseguenza scappai da San Patrignano, corsi per le campagne con l’ossessione che mi dovevo "fare", perché avevo bisogno di fermare un vortice che era ritornato dentro di me, un vortice di discorsi interiori e di paranoie. Quindi me ne andai a Bologna e mi "feci", poi tornai a Trento e telefonai a mia madre. Ricordo che le dissi: "Guarda, io sono andato via dalla comunità" e lei mi rispose: "Va bene, se tu vuoi star per strada, stai per strada; a un certo punto sono anche affari tuoi". Penso che l’abbia detto con tutta la sofferenza che può provare una madre, perché nel frattempo aveva lasciato il suo uomo e aveva iniziato a capire che c’erano stati degli sbagli, delle mancanze gravi anche da parte sua. Così aveva iniziato un suo percorso di crescita ma non era ancora pronta a farsi carico anche del mio, perché anche lei doveva ricominciare da capo.

Allora andai da una persona che mi aveva già aiutato ad entrare a San Patrignano e le dissi: "Guarda, io sono uscito dalla comunità …". Non ammisi che mi ero fatto perché volevo salvare la mia immagine ed ero convinto di poterla mascherare, però era evidente. Si chiamava Francesca. Le dissi: "Francesca, guarda, io ho due possibilità: o continuo a farmi, oppure devo avere qualcosa di più dentro di me, perché sennò non reggo proprio la mia persona, non riesco a convivere con me stesso".

Ricordo che a volte mi fermavo e guardavo dentro di me: "Oh, ma quanti siete là sotto, mi state tormentando, non è proprio possibile!". E lei mi propose di entrare al CEIS, che è una comunità dove si fa un percorso basato sulla persona, il progetto-uomo, basato sulla ricerca del proprio passato, dei propri traumi, del perdono e della guarigione. Intrapresi anche questo cammino dicendomi: "Adesso vado a guardarmi dentro, guarisco quello che c’è da guarire e non voglio sapere più niente di mia madre e di mio padre, perché mi hanno presentato una vita oscena e che tutt’oggi non ritrovo".

Ho cominciato questo percorso anche con una certa grinta perché comunque dentro ho sempre avuto la piccola percezione (piccola, in tanti momenti trasparente, in alcuni momenti anche un po’ più forte) che poteva esserci qualcosa di meglio anche per me che ero uno sfortunato, perché ero in silenzio da quando ero nato; sfortunato perché vedevo tanta gente più sicura di me, intraprendente, (c’era chi aveva già figli, chi apriva una ditta), mentre io, già a vent’anni, ero perso per strada.

Quindi ho cominciato con questa convinzione, ho fatto tutto il percorso e ho fatto bene - mi dico ancora oggi - perché questo percorso preparava il terreno per quello che è avvenuto successivamente. Ho cercato anche di perdonare tutta una serie di persone che mi hanno ferito, ma mi sono costruito su una presunzione assurda, perché il lavoro sull’uomo ti abitua a guarire e quindi a sentirti sempre più capace. Inoltre avevo un bisogno enorme di riscattarmi, di superare tutta una serie di umiliazioni mentali vissute che avevo dentro. Di conseguenza faccio tutto il percorso, passo alla fase di reinserimento nella società e mi metto in una situazione affettiva non delle più facili, perché mi metto con una donna molto più anziana di me. Evidentemente avevo un bisogno infinito di recuperare la figura materna di cui ero privo.

Dopo un po’ di tempo, ho iniziato a lavorare con i malati terminali di Aids, perché avevo intuito che donandoti a chi ha bisogno si guarisce.

Non so con quanta accortezza mi avevano proposto di fare l’operatore in una casa di malati terminali. Ho retto più di un anno, mi ero trovato casa fuori, guadagnavo bene, facevo qualche lavoretto di restauro o di imbiancatura il sabato e la domenica, iniziavo a mettere via dei soldi, mi ero preso un bel cane, avevo una casetta tutta arredata e sistemata bene … Ho fatto questa esperienza con i ragazzi della casa Lamar, un’esperienza bellissima ma atroce, dove mi sono trovato a confronto con tante morti, finché il peso di una relazione che non andava bene ha gravato troppo …

Infatti, in questa comunità c’era un uomo che aveva l’età di mio padre e un figlio della mia età e con lui si era creato un legame simbiotico. Io mi sentivo importantissimo, perché lui da quando mi sono messo a seguirlo aveva fatto dei passi in avanti circa la malattia. Prima non riusciva neanche a vestirsi, era sempre molto arrabbiato, invece era diventato una persona più docile, iniziava a scegliere il colore della maglietta, a tirarsela fuori dall’armadio … Ho visto dei progressi … Quando è morto io non sono riuscito a sopportare il dolore. Mi è tornata una sofferenza incredibile, avevo un desiderio di morte infinito. Ricordo che dopo il funerale sono andato a lavorare, avevo il turno di notte, la mattina mi sono alzato e sono andato da un vecchio spacciatore, ho preso cinque grammi di cocaina (che non sono pochi per uno che non si droga da anni), a casa mi sono chiuso in bagno e ho iniziato a ‘farmi’ senza sosta, finita quella ne sono andato a prendere dell’altra, ancora, ancora, ancora, … Mi facevo e vomitavo, mi facevo e vomitavo sperando di vomitare fuori tutto il male che avevo dentro e di cui non riuscivo a liberarmi.

Avevo venticinque anni ed ero da capo un’altra volta, con un desiderio di morire incredibile. Da lì a ritornare agli psicofarmaci e all’eroina è stato un salto di pochi giorni; ho lasciato la casa e mi sono trasferito alla cartiera di Verona, un piccolo Bronx, il girone dell’inferno … Una ex cartiera abbandonata, una città nella città, nascosta da alcune mura, proprio dietro il Leon d’Oro, albergo di lusso alle porte del centro storico di Verona. Oggi mi viene quasi da piangere a pensare alla cartiera di Verona, perché è un girone dell’inferno, dove c’è una perdizione incredibile, è un’ex cartiera fatta di solo cemento, in cui esistono tutte le realtà di stranieri, di tossicodipendenti, di prostituzione: sporcizia e siringhe accumulate in ogni angolo. Con quasi ventimila euro in tasca e lo zainetto con quattro panni, mi sono trasferito là con l’idea fissa di consumarmi insieme ai soldi che avevo messo via, di spendermi piano piano e di morire. Quindi penso di aver passato tutto il mese senza mai mangiare, solo ed esclusivamente insieme a questi quattro marocchini a farmi, a farmi, a farmi. Ho avuto vari collassi, l’ambulanza mi ha ripreso più volte e mi ha portato fuori. Ma appena mi svegliavo, rientravo sempre più arrabbiato anche con questi che venivano a salvarmi: "Lasciatemi, io mica sono qui perché voglio essere salvato, sono qui perché ci voglio morire!".

Non sentivo più nemmeno la disperazione, ero sempre più convinto che l’unica vera amica della vita fosse la morte, io avevo questa convinzione sicura: attraverso la morte avrei trovato la pace. Quindi ho continuato un po’ di tempo così, finché una sera ho incontrato Tommaso, che è il responsabile del Centro Arcobaleno, il centro di accoglienza di Nuovi Orizzonti a Roma. Erano là circa 100 missionari con i giovani della Comunità, in una delle Missioni di strada ed evangelizzazione che si fanno ogni anno. Tommaso, incontrandomi, mi disse: "Ma tu lo conosci Gesù? Sai che c’è una via di salvezza che si chiama Gesù?".

Quella percezione di cui parlavo prima, in cui c’era sempre un po’ di speranza, era diventata ormai più che trasparente.

Vorrei potervi trasmettere quello che vivevo, la convinzione che avevo allora: aspettavo la morte con un’idea di sollievo e di pace indescrivibile; oggi, con quello che ho sperimentato, non riesco più a descriverlo come l’ho potuto descrivere a Tommaso quella sera. Lui mi ha parlato di Gesù e - non so come mai - tutto in un attimo in quella sera mi si è accesa una luce. È come se in un motore spento da tanti anni, spento e demolito, qualcuno avesse messo una chiave e avesse dato il primo giro che accende il quadro. Mi lasciò l’indirizzo e già quella sera mi disse: "Guarda, noi stiamo facendo uno spettacolo qui a Verona, vieni …". Io dovevo "farmi", risposi: "Sì, va bene, poi vengo, domani vengo di sicuro (ero convinto), domani sera sono da voi, entro in questa comunità e mi faccio salvare da questo Gesù che mi hai detto". Perché in quel momento quella chiave mi disse: "Tu puoi essere salvato, tu puoi avere una vita diversa". Avevo questo tarlo in testa.

Il giorno dopo ero convinto di andarci, se non che quella mattina mi arrestarono perché ero in crisi di astinenza, entrai in un bar alle quattro del mattino, il primo bar che apriva, cercai di entrare nello stanzino dove tenevano le borsette e otto muratori mi bloccarono sul tavolino, poi mi arrestarono.

La chiave era dentro … In carcere continuavo a ricevere grandi dosi di psicofarmaci, perché l’astinenza da eroina ti porta un certo malessere, l’astinenza da psicofarmaci ti fa crepare perché ti porta a crisi epilettiche e convulsioni. Decisi di non prendere il metadone che sostituiva l’eroina, però dovevo per forza di cose prendere gli psicofarmaci in carcere, sennò sarei crepato di crisi epilettica. Andai anche in biblioteca e presi la Bibbia, perché questo Gesù mi aveva incuriosito. La chiave era dentro, e iniziai un pochino a leggere per quello che la testa mi permetteva, per quello che la mia persona mi permetteva. Iniziai a leggere la Bibbia. Nel frattempo questa Francesca che è stata il mio angelo custode da sempre, perché ogni volta mi è venuta a riacchiappare o in carcere o in strada, mi disse: "Mirco, rientra al CEIS, ti vogliono tutti bene, hai fatto questa esperienza coi malati terminali, cerca di ripartire. Non è passato nemmeno un anno da quando hai ricominciato a farti" e io le dissi: "Guarda, Francesca, il lavoro l’ho imparato a San Patrignano, ho fatto tutto un percorso di conoscenza di sé al CEIS, io cosa posso fare di più?".

Ci avevo messo tutto quello che ci potevo mettere e dissi: "Io voglio entrare lì, Francesca, se tu mi fai entrare lì, se mi fai fare l’esperienza di Dio nella mia vita, io ci posso riprovare, sennò resto in carcere e quando esco dal carcere quello che succede, succede, mi tornerò a fare… è lo stesso".

Fatto sta che Francesca mi fece concedere gli arresti domiciliari in una casa protetta con la possibilità di lavoro, perché comunque la chiave era giàdentro di me, ma insieme a tutta una serie di bei problemi da smaltire, quindi dissi di sì.

Andai in questo appartamento. Dato che alle sei venivano i carabinieri, io alle sei e un quarto, quando se ne andavano, andavo in farmacia, compravo i flaconi di psicofarmaci e mi chiudevo in questa casa. Una, due volte mi è andata bene, la terza volta sono proprio scappato e sono tornato in cartiera per farmi.

Il lunedì ritorno a Trento, convinto di andare in questo appartamento, mi fermano i carabinieri, mi portano in Questura e il maresciallo mi dice: "Buldrini, qui non c’è più niente da fare, tu devi scontare cinque anni, ora te li fai tutti in carcere e buonanotte al secchio". Intanto Francesca stava parlando col giudice e diceva: "Questo ragazzo ha qualcosa di buono dentro, può tirare fuori qualcosa di meglio, per piacere, gli dia quest’ultima possibilità!".

Il giudice telefonò ai carabinieri e disse: "Buldrini, ti do ventiquattr’ore per entrare in comunità, sennò io firmo l’istanza e non ti saranno concessi più né arresti domiciliari né nient’altro". Francesca telefonò a due o tre comunità, spiegando quale era la mia situazione, però non trovò posto per me. Io ero un disgraziato di venticinque anni di cui quindici passati in mezzo alla droga, avevo anni di carcere da scontare e quindi non potevo neanche pagare, avevo fatto tutti i programmi di questo mondo ed ero ricaduto di continuo, nei SER.T mi ritenevano irrecuperabile e dicevano: "Morirà di overdose, prenderà il metadone a vita".


Così Francesca chiamò Angela, che allora era al centro di Nuovi Orizzonti a Montevarchi e le disse: "Angela, questo ragazzo ha ventiquattr’ore di tempo per entrare in comunità, altrimenti deve scontare cinque anni di carcere". Angela disse: "Cosa aspettate? Partite! Il posto lo troviamo". Mi preparai le borse e la mattina dopo alle cinque partimmo ed entrai a Nuovi Orizzonti.

Allora la chiave era dentro, però, ogni volta che ero lucido, mi ritrovavo con dei problemi immensi. Avevo la speranza di poter fare qualcosa, però non ero profondamente convinto di potercela fare. Ci provo, inizio. Bene o male, la vita di comunità la conoscevo, quindi era normale andare nel settore di lavoro alle sette la mattina, nessuno mi doveva dire che non dovevo mancare di rispetto all’operatore perché ero stato operatore anch’io, la comunità l’avevo fatta e ormai era regalata. Ma un giorno, stavamo facendo una riunione in cappellina, Loredana mi disse: "Mirco, se tu farai l’esperienza di Dio nella tua vita, tu non ti sentirai mai solo". Io vi ho raccontato cosa voleva dire per me essere solo: solo voleva dire sgabuzzino, chiuso nella mia stanza perché mio padre non sentisse nemmeno che respiravo, voleva dire anni passati schiaffato sugli articoli dei giornali, voleva dire chiuso nella stanza credendo di avere degli amici con cui giocare a calcio invece ero solo, voleva dire la cartiera di Verona da solo a spegnermi e morire, voleva dire non avere mai avuto un rapporto coi genitori, voleva dire non aver mai avuto un amico … E ancora a Loredana non l’avevo raccontata la mia vera storia ...

Quindi mi dissi: "Ok, un’altra chiave di volta, non è più l’eroina ma una cosa diversa". Era evidente che poteva essere la mia strada, era evidente che poteva essere la via della mia guarigione. Amato dall’Alto, io, lo sfortunato, quello che è stato in silenzio una vita, quello che si è fatto una marea di pere, quello che ha imparato a fare i peggiori disastri, quello che è stato sui giornali, quello che non si è mai sentito meritevole di una goccia, di una briciolina, di una carezza, di niente!, io profondamente amato da Dio, da Dio, non dal primo venuto, da Dio!

E queste parole mi sono bastate per mettermi in cammino. Il cammino non è stato facile e non è facile neanche oggi. Tutt’oggi trovo tutte le mie difficoltà, però oggi io con tutte le mie difficoltà sono amato da Dio e di conseguenza è tutto più facile, perché i pesi non li porto più da solo, io i pesi li porto con tanti scalognati come me, che poi sono tutto il mondo. Allora io oggi non ho più quella sensazione di diversità che mi ha messo in un angolo. Non so dirvi come mai non ce l’ho più, perché non ho fatto diecimila sedute terapeutiche e non sono andato dallo psichiatra, non sono andato dallo psicologo; so solo che oggi in Cristo non ce l’ho più; so che oggi sono qui davanti a tanta grazia che mi emoziona, mi commuove, mi imbarazza, ma come succede a tutti gli esseri umani di questa terra.

Magia di tutte le magie, io che con i miei genitori non ci volevo più parlare, io che ai miei genitori avrei messo una bomba in macchina, in casa, li avrei picchiati, avrei fatto loro qualsiasi cosa, un giorno ho sentito che per conquistare pienamente questo amore di Cristo e questo sentirmi amato dall’Alto, dovevo perdonare soprattutto la figura paterna, mio padre. Quindi chiesi a fratel Francesco, che diventerà uno dei nostri sacerdoti a Nuovi Orizzonti: "Francesco, io ho bisogno di pregare, di perdonare mio padre, di riconquistarmi questa figura paterna ferita che ho dentro, perché sento che è proprio il tassello che mi manca".

Andai in cappellina e pregai con lui, chiesi al Signore di prendersi cura di questo mio dolore, di liberarmi dentro, anche di addolcire tutto quello che mio padre mi aveva fatto, perché anche mio padre era in fondo uno scalognato: si era fatto diciotto anni di collegio. E io da quel giorno ho iniziato a sentire mio padre al telefono. Mio padre è una persona egoista, rischia di non chiamarmi per mesi perché lui ha la sua vita, poi da quando è sulla sedia a rotelle pensa che tutto gli sia dovuto, che debba essere al centro del mondo. Oggi quando lui non mi chiama per due, tre giorni, quattro, una settimana, io prendo il telefono e lo chiamo volentieri e dico: "Ciao, papà, come stai? Cosa stai facendo? Stai mangiando? Cosa stai mangiando?". Con mia madre faccio lo stesso. Mi sono affidato a Dio perché mi aiuti ad accogliere questa figura materna che mi aveva distrutto venti anni di vita. Però, poverina, è una sfortunata pure lei perché ha avuto un sacco di problemi, pure lei deve fare i conti con dei genitori che le hanno inculcato determinate cose piuttosto che altre ...

Quindi oggi a trent’anni voglio bene a mia madre, voglio bene a mio padre, voglio bene davvero e ho riallacciato i rapporti con loro.

L’ultima cosa più bella che mi sia capitata nella vita: sono diventato papà. E questo diventare papà mi ha permesso di fare un ulteriore salto di qualità perché mi ha messo di fronte al fatto che la responsabilità è quella di essere sempre più attenti ad ogni piccola cosa che facciamo, perché ogni nostra piccola cosa che facciamo va a influire sull’anima, sulla salvezza e sulla vita di una persona che è vicina a noi. Dico questo non tanto per me, quanto perché è la nostra responsabilità in quanto salvati e chiamati in Cristo.

Oggi io rendo grazie a Chiara, a Loredana, a Nuovi Orizzonti, a Gesù, anche a tutto ciò che ho avuto, sento che la vita è una cosa meravigliosa e che con l’Eucaristia che riceviamo, siamo noi stessi parti del Corpo di Cristo da dare agli altri!


di Mirco Buldrini/ 28/07/2007 - korazym.org

30% malattie bambini da fattori ambiente

OMS; 30% MALATTIE BAMBINI DOVUTO A FATTORI AMBIENTE


GINEVRA, 27 LUG - Oltre il 30% del peso delle malattie nel mondo e' dovuto a fattori ambientali, ma i bambini sono particolarmente vulnerabili, afferma l'Organizzazione mondiale della sanita' (Oms) in un rapporto reso noto oggi a Ginevra.



Per i bambini infatti, l'impatto di un'esposizione a prodotti chimici nocivi potrebbe dipendere altrettanto dal quanto - quantita' della sostanza - che dal quando, ovvero durante quale fase dello sviluppo e della crescita, afferma l'Oms. Le sostanze inquinanti nell'aria, nell'acqua, i pesticidi nel cibo, il piombo nel suolo ed altre minacce ambientali che perturbano il metabolismo delicato del bambino in crescita possono condurre o aggravare malattie ed indurre disturbi dello sviluppo, afferma l'Oms in una nota. La sensibilita' dei bambini varia con l'eta'. Gli aborti spontanei o le anomalie congenitE sono esempi degli effetti che puo' avere l'esposizione a fattori di rischio ambientali durante la gravidanza o il parto. Mentre un ritardo della puberta' puo' essere osservato presso l'adolescente. Sempre di piu', appare inoltre che l'aumento del rischio di alcune malattie all'eta' adulta, come i cancri o le cardiopatie, risulti in parte dalla presenza di alcuni prodotti chimici nell'ambiente durante l'infanzia, sostiene l'Oms.L'Organizzazione auspica che lo studio aiutera' il settore della salute, i ricercatori e i responsabili politici a meglio proteggere i bambini ad ogni eta'. Fonte: Ansa/Federfarma



27.07.07 - test.cybermed.it

Questi i punti dell´intesa sulle pensioni

Pubblichiamo di seguito l’intesa che è stata raggiunta tra il governo e il sindacato sulle pensioni e il testo che affronta i temi della revisione dello scalone, della disciplina dei lavori usuranti faticosi e pesanti, le finestre pensionistiche, i coefficienti di trasformazione e la razionalizzazione degli enti previdenziali e assicurativi.


PREVIDENZA

Fatto salvo il diritto ad andare in pensione con 40 anni di contributi, nel 2008 si andrà in pensione a 58 anni di età anagrafica e 35 anni di contributi versati. Negli anni successivi scatterà un mix di quote (risultanti dalla somma della età anagrafica e anni di contributi versati) e di età anagrafica minima.
Dal luglio del 2009 entrerà in vigore “quota 95 “ con età minima di 59 anni.
Nel gennaio 2011 “quota 96” con età minima di 60 anni, nel gennaio 2013 “quota 97” con età minima di 61 anni.


In ogni caso è importante avere affermato che chi ha 40 anni di lavoro può pensionarsi senza limiti di età e ha ripristinato 4 finestre d’uscita anziché 2. Ai giovani sarà garantito almeno un minimo del 60 per cento di rendita pensionistica. Ai lavoratori privati o pubblici che effettuano lavori pesanti, notturni, nocivi, a catena, a vincolo, è ridotta di 3 anni l’età per la pensione (per un tetto di spesa di 2,9 mld dal 2008 al 2017).
Il Governo, però, ha inserito per questi lavoratori una clausola fortemente limitativa, che non era scritta sul primo testo firmato: viene cioè messo un tetto di 5.000 uscite all’anno, riducendo così la platea degli interessati.
Si prevede l’avvio dell’unificazione degli Enti previdenziali, una quota di solidarietà per coloro che hanno pensioni alte (8 volte il minimo) e l’intervento sulle casse speciali, ad iniziare da quella dei dirigenti d’azienda ed il taglio del vitalizio dei parlamentari.
MISURE PER I GIOVANI

Interventi in materia di previdenza per i lavoratori dipendenti con carriere discontinue
La copertura figurativa piena, prevista nella riforma degli ammortizzatori, commisurata alla retribuzione percepita, consentirà ai lavoratori dipendenti con contratti a termine di colmare i vuoti contributivo e di aumentare le prestazioni pensionistiche future.

Interventi in materia di cumulo di tutti i periodi contributivi (totalizzazione)
In previsione di una più ampia riforma della totalizzazione che riassorba e superi la ricongiunzione, si attueranno interventi immediati che assicureranno ai lavoratori l’utilizzabilità dei contributi versati.

Interventi in materia di riscatto della laurea
Saranno predisposti interventi relativi alle norme di riscatto della laurea con l’obiettivo sia di renderlo conveniente sotto il profilo previdenziale sia di ridurne l’onere. Interventi in materia di previdenza per i parasubordinati Sarà previsto un aumento graduale dell’aliquota dei parasubordinati, finalizzato a rafforzare la posizione pensionistica dei giovani parasubordinati.


27.07.07 - italianosdargentina.com.ar

Basta guerre nel mondo!