Abbatteremo ogni aereo sospetto

Droga: Guinea-Bissau, "Abbatteremo ogni aereo sospetto"


BISSAUI (Guinea-Bissau) - Abbattere gli aerei sospettati di trasportare droga. Il primo ministro della Guinea-Bissau, Martinho N'Dafa Cabi, ha sottolineato di aver dato personalmente l'ordine nel tentativo di minacciare i trafficanti di droga. Ogni notte atterrano nello stato africano due aerei con a bordo piu' di 800 chilogrammi di cocaina, provenienti dall'America latina, e secondo l'Interpol la Guinea-Bissau starebbe diventando un narco-paese sulla rotta dell'Europa. Secondo quanto riferito dal generale Tagme Na Waye, capo di stato maggiore, le batterie anti-aeree sono "gia' pronte" lungo le isole Bijagos e "ogni aereo che verra' individuato in questa zona senza autorizzazione verra' abbattuto". (Agr)


02/09/07 - corriere.it

Droga: informazione approssimativa

Caro Beppe,

ho deciso di scriverti dopo aver letto il tuo articolo "Svolta a Londra, spensierato spinello italiano" e vorrei poter fare qualche considerazione in merito. La tua descrizione dell'Italia è azzeccata, oramai è veramente una gigantesca drogheria, ma alcune considerazioni sono per lo meno poco approfondite, e la situazione attuale è probabilmente figlia della gestione poco scientifica con cui ci si dedica all'argomento. Affermare che "una nuova, potente varietà di cannabis - detta «skunk» - sta producendo sintomi di paranoia e schizofrenia" fa sorridere. La "skunk" esiste da almeno 30 anni, ed è una varietà di marijuana di origine afghana, le cui prime importazioni avvennero negli anni '70. "Deve ammettere che la droga leggera - se mai c'è stata - non è più tanto leggera, e resta una droga, e crea dipendenza, e ha effetti sul sistema nervoso che possiamo soltanto sospettare... Scientificamente questa affermazione è scorretta. Il principio attivo della cannabis, il THC, non è causa di dipendenza ma solo di assuefazione. Nel marzo 2007 la rivista The Lancet (www.thelancet.com) ha pubblicato uno studio ove il THC risulta avere anche minor tossicità e pericolosità di nicotina o alcol. Per avere un quadro più completo in materia si può anche visitare http://it.wikipedia.org/wiki/Cannabis o consultare l'ottimo documentario "L'erba proibita" di Daniele Mazzocca e Cristiano Bortone con Dario Fo e Paolo Rossi. Sono convinto che un'informazione errata faccia più danni che il silenzio. Sostenere, come nell'ultima legge in materia, che non c'è distinzione fra droghe leggere e pesanti ha prodotto due fenomeni: la sensazione dei ragazzi che tutte le droghe fossero "innocue" come la cannabis e il passaggio da cannabis ad altre droghe da parte degli spacciatori esclusivi di hashish. A parità di rischio si preferisce "smazzare" sostanze più remunerative. Il guadagno su un grammo di hashish si aggira intorno ai 1 o 2 €, mentre il guadagno per grammo di cocaina può arrivare a 20-50€. A parità di rischio è ovvia la scelta. Questa è stata la molla principale dell'ultima impennata nel consumo di cocaina, soprattutto a Milano e Roma. Solo con un'informazione corretta, scientifica e senza intenti demagogici saranno chiari "tutti i rischi e le tentazioni che un teenager deve conoscere, e gestire” nella sua vita.


Andrea Demartini, andrea.demartini@fastwebnet.it - 02/09/07 - corriere.it

Onu, un malato terminale?

Caro Beppe, Pierluigi Battista sul Corriere faceva notare l'aspetto grottesco e il sovvertimento di ogni regola di buon senso legati alla notizia che l'Iran affiancherà la Libia in una conferenza Onu per la difesa dei diritti umani e per la lotta al razzismo. In altri termini sarebbe come se il governo decidesse di affidare a Totò Riina la presidenza della commissione antimafia o a Totò Schillaci quella dell'Accademia della Crusca. Questo fatto appare come un sintomo rivelatore dello stato patologico (da malato terminale) in cui versa l'Onu, la cui azione in difesa dei diritti umani è da anni paralizzata dal potere di veto di quei regimi che sono in prima fila nel negare quegli stessi diritti, a cominciare proprio dall'Iran. Per ironia della sorte, lo stesso giorno in cui l'Onu comunicava quella notizia il Corriere mostrava in prima pagina la foto agghiacciante della flagellazione a cui è stato sottoposto un ragazzo colpevole solo di aver esagerato con l'alcol e di aver avuto rapporti extraconiugali. Mi chiedo pertanto se davanti al continuo tradimento dei principi sanciti nella sua carta istitutiva l'Onu possa ancora essere riformato o se invece sia venuto il momento di pensare ad un'istituzione diversa. Molti sostengono infatti che l'Onu sia ormai irriformabile, anche per via delle sue inefficienze croniche e degli scandali che ne hanno accompagnato la sua storia nell'ultimo decennio. Avranno ragione coloro che propongono di decretare il fallimento dell'Onu e di sostituirlo con l'alleanza tra le democrazie, riprendendo così un'idea che di recente ha fatto breccia negli ambienti dei cosiddetti neocon ma che - non dimentichiamolo - ha avuto molti supporter anche tra i liberal democratici, a cominciare dall'ex segretario di Stato di Clinton Madeleine Albright, la prima a lanciare l'idea nel 2000?

Sebastiano Catte , bcatte@gmail.com - 02/09/07 - corriere.it

Paoli assente telefona, Clerico lo evita

Limone: Paoli assente telefona, Clerico stizzito lo evita


E' successo oggi a Limone Piemonte, dove nel Teatro della Confraternita si è svolto un convegno sull'alcolismo che aveva come momento clou la consegna di un premio di riconoscenza a Gino Paoli per il suo impegno nel settore. Erano presenti oltre al Presidente della Provincia Raffaele Costa (nella foto sotto) anche molti uomini di politica ed economia, di caratura locale e nazionale.
Ad un certo punto il moderatore interrompe il sindaco di Limone Clerico annunciando di avere in diretta telefonica l'ospite Gino Paoli, che aveva avuto un imprevisto e non era potuto intervenire. Il sindaco Clerico ha preferito continuare il convegno, alla luce dei temi importanti che si stavano trattando.
"Clerico è uomo di polso - commenta uno spettatore - ha fatto bene. Se sei invitato e non vieni, non è detto che appena chiami debbano farti parlare."
Il convegno è continuato, toccando in modo determinato e concreto il problema dell'alcolismo, senza sbavature, senza primedonne.

Luigi Leardo - 02/09/07 - targatocn.it

Disturbo bipolare: devo prendere farmaci a vita?

Soffro di disturbo bipolare: devo prendere farmaci a vita?


DOMANDA: "Soffro di disturbo bipolare e affettivo. Chiedo se è possibile per me guarire definitavamente dal disagio oppure se dovrò curarmi tutta la vita. Per me guarire significa non dovere più prendere farmaci. Grazie"


RISPOSTA. Non è sempre facile decidere quando iniziare una terapia a lungo termine poiché non esiste una regola generale ed è necessario valutare numerosi fattori come l’età, l’età di insorgenza del disturbo, la frequenza, la durata e la gravità degli episodi precedenti, la risposta ai precedenti trattamenti, le conseguenze che potrebbe comportare un nuovo episodio.
Il disturbo bipolare I nel 50-60% dei casi presenta recidive multiple, anche se con buon funzionamento interepisodico, nel 15% dei casi guarisce e in un terzo dei casi è cronico.
Nel considerare una terapia preventiva bisogna valutare anche il fatto che ogni nuovo episodio facilita la comparsa di ulteriori recidive, riduce la risposta alle cure, aumenta il rischio di cronicizzazione, comporta conseguenze negative sul piano familiare, sociale, e lavorativo.
L’aspetto più importante della cura di questo disturbo, pertanto, è rappresentato dalla messa a punto di un strategia terapeutica a lungo termine, o “profilattica”, che consenta di ridurre il rischio di ulteriori recidive e migliori le condizioni psicopatologiche nelle fasi intervallari.
Trattandosi di una cura prolungata è necessario stabilire una relazione terapeutica collaborativa e di fiducia che permetta di far comprendere meglio sia la necessità di un aiuto, sia i vantaggi e gli svantaggi connessi con l’iniziare, cambiare o interrompere la terapia.
La durata della terapia profilattica deve essere stabilita paziente per paziente in base alla gravità del decorso precedente, alla risposta – completa o parziale – ottenuta, alla tollerabilità delle cure e alle


02/09/07 - aipsimed.org

Processo alla scuola

PROCESSO ALLA SCUOLA: CONDANNATA SENZA POSSIBILITA' DI ASSOLUZIONE


Il nostro sistema da vent'anni continua a peggiorare. E i nostri studenti sono sempre più ignoranti. Le colpe della politica, degli insegnanti e delle famiglie.

Processo alla scuola.

di Roberta Carlini da L'Espresso dell'1/9/2007

Matematica: sex. Sulle pagelle degli studenti italiani meno bravi si legge ancora il 'sex' inventato nel secolo scorso per evitare che qualcuno trasformasse la i in t e proseguisse contraffacendo un bel 'sette'. Solo che adesso le pagelle sono scritte al computer e poi stampate, per cui una correzione con la biro sarebbe impossibile. Eppure, è rimasto il 'sex'. Per Domenico Starnone, scrittore ed ex insegnante, quella del 'sex' è una metafora potentissima della nostra scuola: della scuola invecchiata che non vuole cambiare, che non si arrende neanche all'evidenza. E che ci consegna, lo dicono i numeri italiani e i confronti internazionali, un sostanziale fallimento educativo. Nonostante tre riforme in dieci anni, nonostante i grandi proclami della politica, nonostante la spasmodica e spesso isterica attenzione delle famiglie, nonostante le agitazioni dei suoi 835 mila insegnanti. O forse proprio a causa loro: della politica, degli insegnanti, delle famiglie. Protagonisti e imputati nel processo alla scuola del 'sex'.

Fallimento in cifre

"Nel Mezzogiorno italiano un quindicenne su cinque è povero di conoscenze". L'allarme è risuonato fortissimo, qualche mese fa, non nell'aula del Parlamento, non in un comizio, non in un'assemblea, e ad ascoltarlo non c'erano studenti né professori né politici, ma compunti banchieri e uomini d'affari, convenuti in Banca d'Italia a sentire le 'Considerazioni' del governatore Mario Draghi. Ennesima bizzarria dell'Italia, ennesima supplenza della sua Banca centrale? Fatto sta che i dati denunciati da Bankitalia collocano la nostra scuola al venticinquesimo posto nell'Ocse. Quando sono stati pubblicati hanno suscitato discussioni e commenti perfino in Germania, paese nel quale gli studenti mostravano competenze inferiori alla media, ma superiori a quelle degli italiani, mentre da noi sono passati quasi inosservati. A quelle evidenze poi se ne sono aggiunte altre, ma non si può dire che intorno alla scuola sia nato quel clima da emergenza nazionale che potrebbe forse salvarla.

Dove nasce la crisi? Col suo sguardo lungo e disincantato, Starnone colloca l'inizio della fine negli anni '80: fu allora che "mentre negli altri paesi si scopriva il business dell'istruzione, da noi la scuola perse interesse agli occhi della politica e della società". Un clima immortalato sin nel titolo dal suo 'Ex cathedra', libro-icona di una generazione di insegnanti che avevano sognato di rivoluzionare la scuola. Anche Marco Rossi Doria, 'maestro di strada' da trent'anni e fondatore del progetto Chance, da qualche mese consulente del ministero dell'Istruzione, fu parte di quella 'meglio gioventù' di insegnanti e intellettuali. Cita i dati sulla dispersione, legge le statistiche e sbotta: "Altro che scuola di massa. Se uno su tre prende solo sufficiente alla licenza media e uno su cinque esce da scuola senza diploma né qualifica, siamo di fronte a un fallimento formativo di massa".

Dieci anni di riforme

Eppure negli ultimi dieci anni la politica le mani nella scuola le ha messe, eccome. Rossi Doria non è sospettabile di simpatie morattiane quando dice alla sinistra: "Smettiamola di imputare tutti i mali della scuola a Letizia Moratti, è una follia pensare di cambiare ogni volta la scuola col cambio di colore dei governi". E di mani di colore ne sono state date tante, negli ultimi dieci anni: le regole sull'obbligo scolastico sono cambiate tre volte, sono stati aboliti e spostati esami, riformati i cicli, fatte e disfatte commissioni e resi autonomi i quasi 60 mila istituti della Repubblica. Senza con questo migliorare la scuola italiana: che resta 'senz'arte ma di parte', come ha sostenuto Luigi Berlinguer all'inizio dell'estate in un articolo sul 'manifesto' in cui denunciava la carenza della cultura scientifica, del metodo sperimentale e della musica nel nostro sistema educativo. Attirandosi lettere infuriate: "Tu dov'eri?", è stata la domanda prevalente, soprattutto da parte degli insegnanti. Berlinguer era al governo, dal '96 al '98, prima che la rivolta del mondo della scuola inducesse il centrosinistra a mandarlo via. Con lui sparì la proposta, impallinata dagli insegnanti, di introdurre criteri di valutazione del lavoro dei docenti. Restò la novità principale: l'autonomia scolastica, con tutto il suo portato di sponsor, progetti, Pof (piani di offerta formativa delle singole scuole). Cosa hanno fatto le 57.557 scuole d'Italia finalmente autonome dal centralismo romano? Basta aprire un sito Internet di un istituto o recarsi a una riunione preparatoria alle iscrizioni per capirlo: un marketing di offerte e progetti di attività aggiuntive, rare novità sugli insegnamenti tradizionali. "L'autonomia è diventata intrattenimento formativo", dice Starnone: "Non ha portato soldi e ha introdotto l'incubo del Pof, burocratizzando ancora di più il lavoro degli insegnanti". Sicché le nostre scuole si sono trasformate in progettifici, senza per questo avere più risorse: i fondi pubblici, a dispetto della sbandierata autonomia, sono rimasti fino all'anno scorso tutti vincolati agli specifici capitoli di bilancio - questo per i cancellini questo per i laboratori - mentre i famosi sponsor si sono visti poco. Assai spesso si chiedono soldi alle famiglie per fare corsi aggiuntivi, mentre i programmi tradizionali restano immutati e i laboratori deserti. Così l'autonomia, che esiste in molti dei sistemi scolastici al top delle classifiche mondiali, in Italia è diventata uno dei problemi, per tanti il problema principale. È successo "perché è stata attuata male, da un corpo docente che non l'ha digerita, e poi vanificata dalla Moratti", sostiene Berlinguer; mentre gran parte del corpo docente, ben rappresentata da Paola Mastrocola, autrice del libro 'La scuola spiegata al mio cane', sogna di de-berlinguerizzare la scuola, e vagheggia un ritorno al passato, con tanto latino. E programmi tradizionali dettati da Roma.

A proposito di programmi. Nel turbinio delle riforme ci si è dimenticati dell'essenziale: cosa e come si insegna, dove e perché nascono i 'poveri di conoscenze'. Perché la scuola italiana fallisce nell'educare al 'problem solving'? Perché dopo elementari decenti abbiamo il tracollo delle medie? Perché quando si parla di riforme ci si concentra sempre sui licei, mentre più della metà degli studenti frequenta tecnici e professionali? E perché una scuola apparentemente uguale per tutti a Sud tracolla? Mauro Palma, coordinatore dell'area educativa dell'Enciclopedia Treccani e co-autore di uno dei più diffusi manuali di matematica dei licei sperimentali, ha un buon punto di osservazione sull'insegnamento delle materie scientifiche. "Fatte salve le sperimentazioni, nei licei siamo ancora fermi ai programmi dettati nel 1944. Quanto alle commissioni per i nuovi programmi, per anni si è andati avanti con criteri parlamentari: per mediare tra le varie posizioni, mettevano dentro un po' di tutto", racconta. Il passaggio dai programmi alle linee-guida, omaggio all'autonomia scolastica, non ha migliorato le cose. Palma condanna quanto fatto e quanto non fatto sull'insegnamento della matematica: "Bisogna chiedersi perché i bambini, che cominciano a imparare proprio dai numeri, a un certo punto se ne distaccano. E perché la materia più insegnata nella scuola italiana è anche quella in cui andiamo peggio". Secondo la sua diagnosi, il luogo in cui qualcosa si rompe è la scuola media, "quando si perde il riferimento problematico"; molto pesa anche il contesto culturale generale, "per cui una persona colta deve sapere il latino, ma può tranquillamente sbagliare una percentuale senza vergognarsene".

Gli insegnanti

Stanchi di Pof e progettifici, malpagati, sempre meno gratificati. Gli insegnanti italiani non se la passano bene. Ce lo dicono persino i loro matrimoni, sostiene il sociologo Antonio Schizzerotto, che nel tipo di nozze di maestre e prof ha rintracciato un declino della desiderabilità sociale della professione. Ma siamo sicuri che siano senza peccato, nella crisi della scuola? Com'è fatta e come si muove la classe insegnante? I dati generali ci dicono che è più anziana della media dei lavoratori (età media 49 anni, nei prossimi sei anni ne andranno in pensione oltre 200 mila) e per i tre quarti fatta da donne. Sono al 60 per cento laureati, lavorano in media 15 ore a settimana meno degli altri. Il numero di precari è enorme: 124 mila su 835 mila. Per un giovane che si avvia all'insegnamento, la probabilità di avere un contratto a termine è 25 volte superiore che in qualsiasi altro settore. È quanto sostiene un lavoro della Banca d'Italia, che sottolinea: in questo caso la flessibilità non aumenta l'efficienza, ma la abbatte. Lo stesso studio dà un indizio decisivo per chi voglia scoprire cosa non va nella scuola: la giostra annuale degli insegnanti. Un dato per tutti: un docente su cinque cambia scuola da un anno all'altro. Una girandola che non è dovuta solo ai precari: le richieste di trasferimento dei prof di ruolo verso la scuola preferita riguardano un terzo del turn-over, 50 mila all'anno. I criteri? Tutti burocratici e anagrafici, niente a che vedere col merito né con i bisogni delle scuole. Così, si assiste ogni anno a esodi continui: prevalgono i movimenti verso Sud e all'interno del Sud; quanto ai tipi di scuola, c'è una fuga da professionali e medie. Dunque, la mappa dei trasferimenti ricalca quella delle zone nere del sistema scolastico: medie, professionali e Mezzogiorno. Non è certo un caso.

Può reggere un sistema nel quale ciascuna scuola è autonoma e diversa dall'altra, ma i docenti sono tutti identici, un sistema in cui un professore bravo non ha alcun incentivo ad andare dove c'è più bisogno di lui, cioè una scuola difficile? Rossi Doria, che nei quartieri a rischio di Napoli ci è andato per scelta, dice che no, non può funzionare. Per aumentare l'eguaglianza, dice, dobbiamo accettare le differenze: così come fanno in Francia, dove gli insegnanti che vanno nelle Zone di educazione prioritaria (le Zep) hanno incentivi economici e di punteggio. "Con l'egualitarismo standardizzato finisci per fare una scuola di classe, dove vanno bene solo i licei". Insomma, bisognerebbe costruire un meccanismo, o almeno dare degli incentivi, perché i migliori vadano nelle scuole peggiori: ma quali sono 'i migliori'? Ritorna l'argomento tabù, quello della valutazione: quello su cui, anni luce fa, esplosero Gilda e Cobas, contro i primi timidi tentativi in tal senso. Negli staff tecnici del ministero sono allo studio metodi per valutare l'andamento delle classi, modo indiretto per valutare l'operato dei professori. I quali, dice Rossi Doria, prima o poi qualche cambiamento dovranno accettarlo: "Si considerano dipendenti pubblici, ma sono professionisti del sapere, devono abbandonare una visione rivendicativa, capire che è cambiata la scuola e la società, sono cambiate le famiglie".

La famiglia

Intorno alla scuola invecchiata senza crescere, alla scuola del sex in pagella, è cambiato tutto, a partire da studenti e famiglie. "La divisione degli studenti non passa semplicemente tra figli di poveri e figli di ricchi", constata Starnone: "A scuola arriva anche un ceto svantaggiato culturalmente, che però dal punto di vista materiale ha tutto. E allo stesso tempo i figli del ceto medio colto, quelli che una volta gratificavano gli insegnanti, sono esposti come tutti a violenza, alcol, droga. La violenza a scuola c'è sempre stata, persino in 'Cuore' Garrone, che era uno buono, andava a scuola col coltello: solo che se prima c'era una rissa tra due, il terzo interveniva per separarli, adesso si ferma per filmarli". Ma se la scuola è impreparata a tutto ciò, non è che le famiglie l'aiutino a migliorare. Sborsano sempre più soldi, dai libri ai corsi aggiuntivi ai materiali, e sono più presenti di prima; ma spesso arrivano come clienti a guardare la vetrina della scuola e quando qualcosa non va, protestano violentemente o vanno dal giudice. "Vale nella scuola quello che vale fuori: chi batte i pugni sul tavolo vince", dice amaro Starnone. "Le famiglie spesso delegano, non costruiscono più il super Io, ma poi se la scuola impone delle regole severe, molti si infuriano", commenta Rossi Doria. La famiglia-cliente non mette sotto processo pubblico la scuola, si limita a difendere il proprio discendente, a suon di pugni o di ricorsi legali.

C'è poi un altro effetto-famiglia, ed è quello antico: nonostante tutti i cambiamenti, resiste il fenomeno per cui il background familiare ha un peso decisivo negli esiti scolastici. Nei paesi nei quali la scuola è migliore, diventano meno decisivi il reddito o l'istruzione di papà e mamma: anche qui, numeri e studi sul fenomeno mettono l'Italia in posizione svantaggiata. L'economista Daniele Checchi ha scandagliato la relazione tra i sistemi scolastici e peso dei background familiari, tra scuola e promozione sociale: vien fuori che, se negli anni tutti hanno avuto qualche opportunità in più, non è cambiata la mappa delle diseguaglianze. Lo si vede anche nelle macro-differenze, quelle tra Nord e Sud: il 5 per cento dei genitori di quindicenni del Sud ha al massimo la licenza elementare, il 32 per cento si ferma a quella media. Nel Nord Est, le stesse percentuali scendono all'1,6 e al 19,8 per cento. Insomma, la famiglia e il territorio continuano a fare la differenza nella scuola pubblica italiana. Nel bene e nel male.

Retrocessi agli ultimi banchi

Privato e pure bocciato

'Più soldi alle private'. In passerella a Rimini, il ministro Giuseppe Fioroni ha annunciato ai ciellini festanti (ma un po' scettici) il suo favore all'aumento degli stanziamenti per le scuole private. Che, dall'introduzione della parità scolastica (centrosinistra) ai buoni scuola regionali (centrodestra) non sono mai state dimenticate, senza però mai decollare davvero. Nell'anno scolastico 2005-2006 gli iscritti alle scuole superiori paritarie erano 79.200 (1.904 in meno rispetto all'anno precedente): il 4 per cento del totale, concentrati a Nord. In parte sono scuole a pieno titolo, in parte sono quei diplomifici che hanno dato pessimo spettacolo agli ultimi esami di maturità, spedendo ragazzi che avevano pagato fior di quattrini a sostenere gli esami di Stato da privatisti anche laddove, in base a regole note da mesi e mesi, non potevano sostenerli perché c'era un tetto numerico. Quanto al rendimento, i dati 'Pisa' dell'Ocse dicono che in Italia la scuola privata non è affatto d'eccellenza. Anzi: le competenze in matematica di un quindicenne in un istituto privato sono, nella media, pari a quelle del suo collega nella scuola pubblica (cioè basse). Altrove, specie nei contesti anglosassoni, si evidenzia invece un divario netto, a favore della scuola privata: ma solo a causa di una autoselezione basata sul reddito. Depurati dall'effetto-background (cioè dal peso del contesto familiare e sociale), ecco che anche i bei risultati delle scuole private inglesi non brillano più tanto. Quanto all'Italia, depurati dall'effetto-background, i risultati della scuola privata crollano, e quella pubblica sale in vantaggio (sempre nei test ai quindicenni) di 27 punti.

Il quindicenne? È un bel problema

Le pagelle del fallimento ce le danno gli organismi internazionali e sono quelli dell'indagine 'Pisa' dell'Ocse. Sono i voti dati ai quindicenni italiani dopo test specifici sulle competenze in lettura, matematica, scienze e problem solving: la capacità di risolvere i problemi, il ramo più secco del nostro sapere. Ma i numeri del fallimento li abbiamo anche in casa, e ci dicono che il disastro si concentra nel Mezzogiorno e nella scuola media.

I dispersi Sono i giovani tra i 18 e i 24 anni che hanno lasciato la scuola senza un diploma superiore né una qualifica professionale. Hanno solo la licenza di terza media. L'obiettivo europeo è portarli entro il 2010 sotto quota 10 per cento. In Europa sono intorno al 15, in Italia il 20,6. Vale a dire: un giovane su cinque è uscito da scuola senza un titolo utile, né sta facendo formazione in alcun modo. La Sicilia ha il record negativo, con il 30,4 per cento di giovani fuori da ogni formazione, pur avendo il record degli enti di formazione professionale: 2.700 (contro i 600 della Lombardia).

Le medie Alla fine delle elementari, i bambini in ritardo sul regolare corso di studi sono il 4,2 per cento. Alla fine del terzo anno delle medie la percentuale dei ritardi è salita all'11. E ben il 37,3 ottiene la licenza di terza media per un soffio, con il voto 'sufficiente'. Nella stessa direzione vanno le indagini internazionali sulle competenze dei ragazzi: una comparazione dei dati Iea e Ocse, contenuta in una ricerca fatta degli economisti Piero Cipollone e Paolo Sestito (Ufficio studi di Bankitalia), mostra che alle elementari i bambini italiani ne sanno quanto gli altri, mentre dalle medie si evidenzia un forte calo, soprattutto in matematica e scienze. Il non fatto delle medie si svela alla fine del primo anno delle superiori: un iscritto su cinque lascia e il 35 per cento è promosso con almeno un debito formativo.

Le conoscenze I punteggi conseguiti dai quindicenni italiani ci collocano al venticinquesimo posto nell'Ocse. Sulla base di tali dati, la ricerca di Cipollone e Sestito ha tracciato una mappa dei 'poveri in conoscenze': studenti che pur sapendo leggere non sono capaci di utilizzare la lettura per apprendere cose nuove, ragazzi che pur sapendo far di conto non sanno fare il cambio di una moneta. La quota di quindicenni 'poveri di conoscenze' nel Nord non supera il 5 per cento, nel Centro è sull'8 e nel Sud va dal 14 al 22. Insomma, a Nord siamo 'bravi come gli altri', per citare il titolo di uno studio curato da Luciano Abburrà che mette a confronto Lombardia, Veneto, Piemonte e Toscana con altre regioni Ue.

Le medie superiori In parallelo alle differenze Nord-Sud, corrono quelle tra istituti. Tutti i dati della ricerca migliorano nei licei, peggiorano negli istituti tecnici e soprattutto nei professionali. Quella dei professionali è un'area critica anche nel Nord, è qui che si concentrano le competenze più basse. Ma è qui che si concentra anche la maggior parte degli studenti: nei licei, anche dopo il recente boom, va un terzo dei ragazzi, il 32,5 per cento. Più della metà si divide tra tecnici e professionali.

La spesa La spesa pubblica per istruzione e formazione, in Italia, è scesa dal 4,75 al 4,66 per cento del Pil in dieci anni. A tirarla giù, nei confronti internazionali, è soprattutto l'università: nella scuola primaria e secondaria la spesa pubblica per studente (pari nel 2004 a 6.136 euro) è superiore alla media europea. Tale spesa è all'85 per cento statale. La parte affidata agli enti locali fa la differenza: si va dai 1.536 euro per studente del Trentino Alto Adige ai 537 della Puglia.


02/09/07 - aetnanet.org

Papa: la droga e' menzogna, truffa, e distrugge la vita

'La sete di infinito che e' nei nostri cuori ci dimostra proprio la realta' della droga: l'uomo vuole allargare lo spessore della vita, avere piu' della vita, avere l'infinito, ma la droga e' una menzogna, una truffa, perche' non allarga la vita, ma distrugge la vita'. E' quanto ha detto il Papa durante la veglia con i giovani dell'Agora' riuniti sulla piana di Montorso, rispondendo alle testimonianze di alcuni ragazzi.
'Vera e' la grande sete che ci parla di Dio e ci mette in cammino verso di Lui. Dobbiamo aiutarci reciprocamente, e Cristo e' venuto proprio per creare una rete di comunione nel mondo, dove tutti insieme possiamo aiutarci a trovare insieme la strada della vita e capire che i comandamenti di Dio non sono una limitazione della nostra liberta', ma le strade che ci guidano verso l'alto, verso la pienezza della vita'.
Qui il Papa ha ricordato un episodio del suo recente viaggio in Brasile, durante la visita a una comunita' di recupero di tossicodipendenti, dove 'i giovani ritrovano la speranza e la gioa di vivere'. 'Questi giovani mi hanno testimoniato che sapere che c'e' Dio era per loro la guarigione dalla disperazione, l'avere ritrovato la gioia di essere in questo mondo, la gioa di affrontare i problemi della vita umana'. 'In ogni cuore umano, nonostante tutti i problemi che ci sono c'e' la fede in Dio, e invece dove Dio scompare scompare il sole e scompaiono la luce e la gioia'.


02/09/07 - droghe.aduc.it

Ubriaco al volante aggredisce tre agenti

Fermato l’altra notte in corso Marconi, alla Foce, è stato trovato positivo ad alcol e droga


Non solo guidava ubriaco e con la droga in corpo, ma non ha gradito affatto la richiesta dei poliziotti che volevano controllarlo. E così li ha aggrediti. Protagonista di questa «bravata» è stato un trentenne incensurato genovese che l’altra notte è stato arrestato dopo avere ferito tre agenti del comando di polizia stradale di via Saluzzo di Genova durante un controllo «antistrage» teso a prevenire la guida in stato di ebrezza o sotto l’effetto di stupefacenti.
Il giovane, al volante di una Nissan Micra, è stato fermato intorno all’una in corso Marconi, nel quartiere della Foce. Sottoposto al pre test per accertare l’eventuale tasso alcolico nel sangue, il giovane è risultato positivo. Tanto doveva bastare affinché si mettesse l’animo in pace e accettasse di buon grado l’inevitabile sanzione. Ma quei controlli non gli andavano giù, per cui ad un certo punto il trentenne ha preso ad insultare gli agenti di polizia pretendendo poi di allontanarsi a piedi e lasciando lì la sua vettura.
Ma i poliziotti ovviamente non avevano alcuna intenzione di lasciarlo andare e, quando gli hanno intimato lo stop, l’uomo si è scagliato contro di loro ferendone due in modo lieve ed un terzo in maniera più significativa (lo ha colpito con una testata al naso) procurandogli una incrinatura della cartilagine).
Alla fine, però, il bellicoso trentenne è stato immobilizzato, condotto in stato di fermo al pronto soccorso dell’ospedale San Martino di Genova e sottoposto sia al test tossicologico sia a quello alcolimetrico. E, come ci si aspettava, è risultato positivo sia all’alcol, per un valore di 0,75 grammi per litro di sangue, che al cannabinolo.A quel punto il giovane è stato trasferito in carcere e ieri mattina il suo arresto è stato convalidato in stato di libertà dal tribunale di Genova in attesa di giudizio. Adesso dovrà affrontare il relativo processo durante il quale dovrà spiegare perché guidava in quello stato e, soprattutto, per quale motivo si è scagliato contro i poliziotti. Infatti difficilmente l’aggressione potrebbe essere spiegata con un’alterazione psichica così forte da aver causato una reazione tanto spropositata.


domenica 02 settembre 2007 - ilgiornale.it

Il ricco paga e la fa franca? Ingiusto

Vai a 200 km/h, ti arriva una multa a casa con perdita di punti della patente e sospensione della stessa. Come fai a non perdere punti e patente? Semplice: dici alla Polizia che non ricordi chi guidava. In compenso, oltre alla sanzione per infrazione (per esempio 370 euro), paghi una sanzione supplementare di 250 euro.


Si tratta di una norma iniqua: ne approfittano i ricchi, per i quali 250 euro sono nulla; mentre è una mazzata per i poveri. Giovanni D'Agata (Italia dei Valori) propone la modifica proprio di quella norma: dell'articolo 126-bis 2° comma del Codice della strada. Che comporta una grave discriminazione fra gli utenti della strada più e meno abbienti.


Dice D'Agata: "Nella normativa sussiste un profilo di illegittimità con riferimento all'articolo 3 della Costituzione, per discriminazione delle capacità finanziarie, costituito dall'ulteriore sanzione pecuniaria, tutt'altro che irrilevante, prevista in caso di inottemperanza all'obbligo di fornire i dati.


"In più - continua D'Agata - tale norma costituisce una violazione di un fondamentale diritto dell'utente della strada. Va evidenziato, infatti, come l'aver conseguito la patente di guida costituisca un'importante prerogativa dell'individuo e la perdita di tale qualità non può essere determinata da una previsione legislativa che ponga sul cittadino un obbligo di auto o di etero denuncia di un fatto (l'essere egli o altra persona il conducente del veicolo al momento della violazione) suscettibile di decurtare dei punti dalla patente di guida o determinare addirittura la sospensione a tempo indeterminato ed il ritiro del documento.


"Per questi motivi - conclude D'Agata - è necessaria una immediata modifica di tale articolo al fine di abolire tale grave discriminazione e lesione dei diritti dell'utente della strada e consentire la decurtazione dei punti della patente solo in caso di contestazione immediata dell'infrazione, anche ai fini della piena realizzazione della certezza della pena (amministrativa) e del diritto".


Concordo. Insomma, se ti beccano e ti fermano, via la patente. Altrimenti, patente da non toccare al proprietario dell'auto o della moto.


02/09/07 - dallapartedichiguida.blogosfere.it

Ztl, cittadini disabili ingiustamente penalizzati

Egregio direttore,

il sistema di controllo telematico degli accessi alla Ztl che interessa il nostro centro storico cittadino, oltre a determinare innumerevoli disagi a molti cittadini bresciani e ripercussioni negative sulle nostre attività commerciali, rappresenta anche una evidente violazione dei diritti legislativamente tutelati delle persone disabili. Una recente sentenza del giudice di pace di Arezzo del 27 giugno 2006 stabilisce che "la verifica fatta anche a posteriori, con strumenti di rilevazioni e controllo, negli accessi in Ztl, della titolarità del permesso in capo a chi si assume trasportato del veicolo, incombe sull’Ente ed è onere dello stesso Comune operare in concreto assumendo le iniziative utili ad evitare abusi."
L’attuale modello organizzativo di accesso alla Ztl, uniforme per tutti i cittadini indipendentemente dalle oggettive condizioni di disabilità, prevede la richiesta preventiva di autorizzazione mediante comunicazione della targa del veicolo con il quale si intende entrare in centro storico. Questo sistema non è però conforme alla normativa del vigente codice della strada, come ha anche rilevato il giudice di pace di Arezzo nella sentenza sopra ricordata, ma nonostante questo alcune associazioni bresciane che operano per l’integrazione sociale delle persone afflitte da disabilità non riescono a far comprendere all’assessorato alla viabilità del comune di Brescia la necessità di rivedere il funzionamento del vigile elettronico. Il regolamento di attuazione del vigente codice della strada stabilisce che il permesso di circolazione di veicoli a servizio di invalidi con deficit ambulatorio non è vincolato ad uno specifico veicolo e ha validità su tutto il territorio nazionale. Riconoscere in capo al portatore di handicap dotato del contrassegno succitato l’onere di chiedere preventiva autorizzazione ad accedere alla Ztl comporta una evidente limitazione alla libertà di movimento dei disabili, come ha riconosciuto il giudice, in palese contrasto con la normativa vigente e anche con l’orientamento del legislatore che da tempo, in tutti gli ambiti, cerca di promuovere la piena inclusione sociale dei cittadini afflitti da disabilità.
È necessario che l’amministrazione comunale si adoperi pertanto per rivedere le modalità organizzative di funzionamento di questo sistema controverso e per quanto ci riguarda sbagliato ed eccessivamente rigido. Una soluzione potrebbe essere quella di dotare questi permessi di circolazione rilasciati ai disabili di appositi chips elettronici che vengano letti e riconosciuti dalle varie telecamere cittadine.
Non è accettabile scaricare sui soggetti più deboli le inefficienze gestionali di un meccanismo che piuttosto che valorizzare il centro storico lo sta blindando ed impoverendo economicamente e socialmente. Così come non è accettabile che ben quattro realtà associative importanti e rappresentative del variegato mondo della disabilità bresciana (associazione "insieme per l’integrazione sociale e diritti persone handicappate onlus", associazione "genitori di bambini e ragazzi con difficoltà onlus", coop. L’Aliante, coordinamento associazioni di volontariato di Botticino) non riescano a farsi ascoltare, in merito a tematiche così chiare ed oggettive nonché giuridicamente fondate, e neppure a farsi ricevere dall’assessore preposto che fa spallucce pur sapendo che questo sistema di rilevazione degli accessi viola palesemente la legge.

Fabio Rolfi, segretario cittadino della Lega Nord


01.09.07 - quibrescia.it

Il governo vuol riaprire le case chiuse

Il governo vuol riaprire le case chiuse «La prostituzione va regolamentata»


Una qualche forma di «regolamentazione» che consenta a chi decide di prostituirsi «di potersi organizzare. Si parla spesso di cooperative, di luoghi che abbiano una loro protezione, una configurazione di assistenza e di contatto con quelle realtà e che aiutino anche ad uscire da questa situazione». Il ministro del Lavoro Cesare Damiano si schiera, a titolo strettamente personale, per legalizzare il lavoro più antico del mondo.
L’argomento, riconosce l’esponente, Ds, è delicato perché «c’è di mezzo la persona umana» e «tutte le implicazioni di carattere etico e morale». La prudenza, quindi, è necessaria. Anche perché il tema divide trasversalmente la politica fin dalla nascita della Repubblica.
A riportarlo di attualità questa volta è la notizia di un giro di vite contro i clienti delle lucciole di Genova che consiste nell’utilizzo di telecamere, l’invio delle multe direttamente a casa e il taglio dei punti della patente. Come nel caso della messa al bando dei lavavetri, la politica si è divisa trasversalmente, ma i toni sono meno accesi rispetto a quelli suscitati dalla decisione presa dal comune di Firenze.

Paola Binetti, teodem e coscienza critica della maggioranza sui temi etici, ha bocciato la proposta di Damiano: «Se si parla di sindacato o del pagamento delle tasse io non sono d’accordo. Non mi sembra si possa regolamentare la prostituzione secondo le stesse modalità che valgono per le professioni». Non vanno bene nemmeno i quartieri a luci rosse, come quelli proposti da poco a Bologna. La ricetta dell’esponente della Margherita consiste in un mix di «repressione» contro chi sfrutta i minori e gli immigrati. Poi nell’offrire aiuto e alternative «in termini di formazione e lavoro» a chi si prostituisce, fermo restando che «a casa propria ognuno fa quello che crede».
Contraltare di Binetti su questi temi è ancora una volta Franco Grillini, esponente di Sinistra democratica e leader storico dell’Arci gay, talmente convinto della necessità di fare emergere l’attività dei «sex worker» da aver presentato un provvedimento che, spiega, «cancella alcune norme repressive previste dalla legge Merlin, come il favoreggiamento e l’adescamento; ipotizza la zonizzazione» e consente a chi si prostituisce di di costituirsi in cooperative. Una proposta compatibile con l’idea di Damiano. Anche se Grillini è sicuro che non se ne farà niente, per «l’opposizione radicale dell’area clericale».


Sensibilità e opinioni diverse anche nel centrodestra. «Noi - ricorda il capogruppo dei deputati di An Ignazio la Russa - abbiamo sempre detto che una regolamentazione va fatta». Indigata Elisabetta Gardini di Forza Italia che accusa Damiano di fare un discorso «ideologico e contraddittorio». «Come donna mi da fastidio che si possa solo pensare di regolamentare la vendita del corpo femminile. Come madre mi chiedo che tipo di educazione potrei dare ad un figlio maschio se lo Stato consentisse di mercificare il corpo delle donne».


di Antonio Signorini - domenica 02 settembre 2007 - ilgiornale.it

Sistema nervoso e immunitario, ecco il legame

Finora il legame fra sistema immunitario e sistema nervoso era sempre stato sospettato, ma adesso per la prima volta uno studio italiano lo ha dimostrato. I due sistemi hanno in comune un gruppo di cellule, chiamate cellule di Langherans o dendritiche: agiscono nel sistema immunitario ma nascono dalla struttura dell’embrione, chiamata cresta neurale, che dà origine al sistema nervoso periferico, ai melanociti e alle cellule midollari della ghiandola surrenalica che producono sostanze, le catecolamine (adrenalina e nor-adrenalina), che in condizioni di stress possono indebolire le difese immunitarie. La scoperta, italiana, è pubblicata sull’International Journal of Surgical Pathology.

Lo stress e le difese del corpo

A scoprire che questo gruppo di cellule immunitarie ha origine in realtà dalla cresta neurale è stato il patologo Pietro Muretto, dell’ospedale San Salvatore di Pesaro. Oltre a questa origine finora insospettata, le cellule dendritiche hanno anche caratteristiche simili a quelle di altre cellule che nascono dalla stessa struttura: hanno la capacità di migrare in tutto l’organismo. In condizioni normali le cellule dendritiche si comportano come sentinelle del sistema immunitario: riconoscono agenti estranei all’organismo, come virus e batteri, oppure tessuti e organi ricevuti in un trapianto, o ancora cellule tumorali; quindi ne segnalano la presenza alle cellule killer del sistema immunitario, i linfociti T. Si farebbe allora strada l’ipotesi, rileva Muretto, che le cellule di Langherans «potrebbero avere verosimilmente una loro funzione negli stati di stress, indebolendo le difese immunitarie».

Una scoperta tutta italiana

La stretta parentela fra le cellule dendritiche e le cellule del sistema nervoso periferico è stata scoperta analizzando 30 teratomi, tumori composti da tessuti embrionari. «In questi - spiega Muretto -le cellule melanocitiche, universalmente riconosciute essere derivate dalla cresta neurale, sono sempre associate alle cellule di Langherans. Di qui la deduzione che entrambi i tipi di cellule nascono nella stessa sede, la cresta neurale». Da questa stessa struttura, quindi, nascono e migrano cellule apparentemente molto diverse, ma in realtà legate da una stretta parentela, come le cellule immunitarie di Langherans, i melanociti che determinano il pigmento della pelle e le cellule di Schwann che producono la mielina, ossia la guaina bianca che riveste le fibre lungo le quali si trasmettono gli impulsi nervosi.
Ulteriori conferme di questo legame stanno emergendo nello studio della cute di feti abortiti spontaneamente: «Le cellule di Langherans - prosegue Muretto - risultano anche in questo associato alle cellule melaniche». Il prossimo passo della ricerca, conclude, è «verificare se le cellule che derivano dalla cresta neurale hanno una loro importanza anche nella strutturazione delle formazioni linfatiche».


02/09/07 - lastampa.it

Basta guerre nel mondo!