Dini stacca la spina al governo: "Voto no anche con la fiducia"

Sulle prime, Lamberto Dini usa l’arma
dell’ironia. «Abolire lo scalone previdenziale e sostituire le minori spese con
i risparmi della pubblica amministrazione? Con cosa, con il taglio dei
telefonini e delle auto blu?». Ma dura poco. «Queste cose, però, le dicono i
collaboratori del presidente del Consiglio. Voglio sentire Prodi in persona dire
le stesse cose. Così come l’ho sentito l’altra sera in tv dire che vuole abolire
lo scalone. Per farlo, però, deve andare prima in Consiglio dei ministri. E poi
venire in Parlamento».

Ora circola l’ipotesi di introdurre la modifica previdenziale nella
legge finanziaria...


«Non credo che il sindacato sia d’accordo. Comunque, l’abolizione dello scalone
costa. E questi mancati risparmi devono avere coperture sicure; che non possono
essere certo i proventi della lotta all’evasione o la riduzione dei cellulari
della pubblica amministrazione. Ma questo è compito delle Commissione Bilancio e
della Presidente della Repubblica. E se l’accordo per l’abolizione dello scalone
non sarà soddisfacente, lo emenderemo per ripristinare l’aumento dell’età
pensionabile. Una cosa è certa...».

Cosa?

«Che se il governo ricorre al voto di fiducia sulle pensioni, su un
provvedimento non condivisibile, non la voteremo e non parteciperemo al voto.
Sarebbe un insulto a tutti quei senatori della maggioranza che dissentono
dall’eliminazione di questa riforma strutturale».

Scusi, presidente, ma perché parla al plurale? Si riferisce ai suoi
colleghi che hanno firmato con lei una lettera contro l’abolizione dello
scalone?


«No, in Senato il numero dei parlamentari della maggioranza contrari
all’eliminazione dello scalone è più ampio, saremo una decina con idee
liberaldemocratiche. E non possiamo lasciarci insultare con la richiesta di un
voto di fiducia sulla finanziaria. Non possono tapparci la bocca. Su questo sono
inamovibile, e con me altri».

Ma a Palazzo Madama si può formare un gruppo parlamentare con dieci
iscritti... State pensando di fare un gruppo a parte? Ad uscire dall’Ulivo
?

«Sono in tanti che mi stanno chiedendo di avviare un’iniziativa di questo tipo.
Non mi interessa, io faccio parte della maggioranza. Eppoi, noi saremmo sempre
pronti a votare la fiducia a Prodi ogni volta che la chiederà; ma non su
qualsiasi provvedimento che elimini lo scalone, senza sostituirlo con altri
risparmi da ricercare all’interno del comparto “previdenza“. Vede, il ministro
Pecoraro Scanio dice: Dini sta consegnando il Paese in mano a Berlusconi. Gli
rispondo: non voglio, e farò qualunque cosa per impedirlo, che Prodi consegni
l’Italia in mano alla sinistra antagonista...».

Voleva dire, ai Centri sociali?

«Non sono la stessa cosa».

Un banco di prova lo avrete fra poco, quando a Palazzo Madama arriva il
decreto sull’utilizzo del tesoretto...


«Un grave errore prevedere l’aumento della spesa. Per carità, giustissimo
aumentare le pensioni minime: anche perché il costo è sostenibilissimo. Ma
questo governo non fa che far crescere la spesa poi rincorsa da maggiori
entrate. Credo che farebbe male il ministro dell’Economia a sottovalutare i
richiami che arrivano dalla Bce, dal Fondo monetario e Commissione europea al
Dpef: viene rallentata la riduzione del deficit e non c’è alcun riferimento alle
riforme strutturali».

Come quelle sulle pensioni, magari...

«Vede, se viene eliminato lo scalone aumentano i costi del sistema
previdenziale, che già assorbono il 15,5% del pil. Conservare lo scalone e
aggiornare i coefficienti è l’unica soluzione possibile per frenare la spesa.
Possono esistere anche soluzioni alternative; per esempio, come quella di
aumentare l’età pensionistica delle donne. Comunque, nella maggioranza, ed anche
nel governo, si sta allargando l’idea che sarebbe un errore l’eliminazione dello
scalone. Lo dicono Rutelli, lo dice Franceschini, ed anche il presidente del
Senato, Marini...».

Insomma, tutta la Margherita...

«Non è vero. Su queste posizioni di ragionevolezza per il futuro dei più
giovani, sulla sostenibilità della spesa previdenziale, c’è anche Piero Fassino
e Massimo D’alema. Anche lui è contrario all’eliminazione dello scalone. E lo ha
detto pubblicamente».


07-07-2007 - di Fabrizio Ravoni - ilgiornale.it

 Nisosia, 4 arresti per violenza sessuale di gruppo, di una ucraina di 24 anni

Nicosia 07/07/07 – Questa mattina personale del Commissariato centrale PS di Catania, in collaborazione con la squadra mobile della Questura di Enna e con il commissariato di Nicosia, ha eseguito 4 ordinanza di custodia cautelare nei confronti di altrettanti giovani – tutti incensurati – per i reati di violenza sessuale di gruppo, ai danni di una giovane ucraina di 24 anni.

I provvedimenti restrittivi sono stati emessi dal Gip del Tribunale di Catania a conclusione di complesse indagini, coordinate da quella procura della repubblica ed eseguite dal personale del commissariato centrale della questura etnea, in collaborazione con la squadra mobile di Eenna ed il commissariato di Nicosia.

Questi i fatti.

Nel mese di luglio dello scorso anno, la ragazza si recava da Catania a Nicosia per lavorare come “ragazza immagine” nella serata per giovani, organizzata in alcuni locali di quel centro, denominata “festa della birra”.
Al termine della serata gli odierni arrestati, due dei quali erano suoi conoscenti, si offrivano di riaccompagnare a Catania la giovane. I quattro, dopo averla condotta in una villa di campagna in territorio di Nicosia, ne abusavano sessualmente ripetutamente in gruppo e, in conclusione, si facevano consegnare con minaccia, il denaro dalla stessa posseduto e guadagnato nel corso della serata. Ulteriori violenze sessuali venivano realizzate all’interno della autovettura lungo il tragitto da Nicosia a Catania.Giunta a Catania la ucraina, dopo aver trascorso un giorno in stato di shock, sporgeva denuncia presso il commissariato centrale di quel centro, che avviava immediatamente le indagini volte alla identificazione dei violentatori, avvalendosi della collaborazione della squadra mobile di Enna e del commissariato di Nicosia.

Le indagini, svolte mediante ripetute ispezioni sui luoghi dei fatti, al fine di individuare la villa all’interno della quale era stata condotta la ragazza, nonché mediante intercettazioni ambientali e l’acquisizione di tabulati telefonici hanno consentito di accertare i fatti e di arrestare i 4 giovani, dei quali due, rispettivamente di 22 e di 23 anni, residenti a Nicosia e gli altri 2, di 31 e 28 anni, residenti a Cerami, tutti per il reato di violenza sessuale di gruppo ed inoltre a due di essi è stato contestato il reato di estorsione in concorso.
Determinanti per le indagini sono state anche le dichiarazioni rese, a fronte delle acquisizioni investigative, da uno degli arrestati, il quale è stato sottoposto alla misura meno affittiva degli arresti domiciliari, mentre gli altri 3 soggetti sono stati condotti presso la casa circondariale di Nicosia.
L’A.G. etnea, nell’ambito dello stesso provvedimento, dichiarava la propria incompetenza territoriale, trasmettendo gli atti alla procura della repubblica di Nicosia, per gli ulteriori adempimenti di legge.

07/07/2007 - vivienna.it

 Nuova ondata di violenza in Iraq:: uccisi 50 civili, 6 soldati Usa

BAGHDAD (Reuters) - Cinquanta persone hanno perso la vita nelle ultime ore in Iraq in una sequenza di attacchi con autobombe e colpi di mortaio, hanno riferito oggi polizia e funzionari locali, mentre sono sei i soldati statunitensi uccisi negli ultimi due giorni.

La nuova ondata di violenza segue un periodo di relativa tranquillità in Iraq, dove decine di migliaia di soldati americani e iracheni sono impegnati in una offensiva contro gruppi di insorti, nel tentativo di frenare la deriva del Paese verso una guerra civile interconfessionale.

Un'autobomba ha colpito stamattina oggi un affollato mercato all'aperto, nella città settentrionale di Tuz Khurmato, uccidendo 20 persone e ferendone 40, ha riferito la polizia. Un bilancio che, secondo le autorità, è destinato a salire.

Non è ancora chiaro se sia stato un attacco suicida con autobomba o se a esplodere sia stata una vettura parcheggiata.

Nella notte, un colpo di mortaio ha ucciso una famiglia di sette persone che dormivano sul tetto della loro casa per trovare refigerio dal caldo estivo, che talvolta arriva a superare i 40 gradi, anche di sera. L'attacco è avvenuto nel quartiere sunnita di Fadhil nel centro di Baghdad, ha detto la polizia, aggiungendo che le vittime sono una coppia, i loro quattro figli, di età compresa tra i nove e i 17 anni, e un familiare.

Ieri sera un attentatore suicida ha ucciso 22 persone e ne ha ferite altre 17, lanciandosi con la sua auto contro un gruppo di curdi sciiti vicino al confine dell'Iraq con l'Iran.

Ibrahim al-Bajilam, capo del consiglio locale nel villaggio di Garghoush, ha riferito che le vittime tornavano da un funerale.

Il villaggio è situato nella provincia di Diyala, dove le forze Usa e irachene hanno lanciato un'offensiva contro il gruppo sunnita di al Qaeda il mese scorso.

L'esercito ha fatto sapere a sua volta che quattro soldati sono stati uccisi a Baghdad nell'esplosione di ordigni nascosti lungo la strada, dei quali tre militari ieri e uno giovedì scorso.

Due marines sono stati uccisi in combattimento nella provincia di Anbar giovedì.
Il periodo da aprile a giugno è stato il più sanguinoso per le truppe americane dall'invasione a guida Usa nel marzo 2003.

Dal 1 luglio sono stati uccisi finora 20 militari, metà dei quali a Baghdad. Finora quasi 3.600 soldati statunitensi hanno perso la vita nel conflitto.

© Reuters 2007.- 07.07.2007 - today.reuters.it

 In autostrada aree di servizio per Fido

Autogrill per cani. Non è il giudizio sulla qualità delle aree di servizio, ma
una vera e propria iniziativa della catena di ristoro per automobilisti che si è
attrezzata per favorire i viaggi estivi con i nostri amici a quattro zampre.

Anche nelle aree di servizio Stura Est e Stura Ovest sulla A26 della Provincia
di Alessandria verranno installati i FidoPark, installazioni come per i padroni.
Lì si potrà fare pipì, sgranchirsi un po’ le zampe, stare al fresco, magari
mangiare qualcosa. Come fanno gli stessi proprietari quando si fermano agli
Autogrill.

I Fido Park sono aree collocate all’esterno dei punti di ristoro Autogrill
dotate, oltre che di acqua corrente, di cucce all’ombra di un gazebo. Le cucce -
realizzate da Cucciamica - sono isolate termicamente per garantire una
temperatura ideale anche nei mesi più caldi e sono provviste di un impianto di
spurgo per eliminare tutti i residui organici e di un sistema di igienizzazione
a spruzzo per la disinfezione dell’ambiente.

Inoltre in ogni area Fido Park viene segnalato l’ambulatorio veterinario più
vicino con il rispettivo recapito telefonico e il numero d’emergenza Pronto Fido
per cani smarriti e ritrovati.

Grazie alla collaborazione con i medici nei Fido Park, durante i week-end più
frequentati, ci si potrà avvalere della consulenza di un veterinario.

Presidio Veterinario: dal 16 giugno al 27 agosto dalle 12.30 alle 14.30 tutti i
venerdi e domenica sui locali Fido Park di partenza e tutti i sabato e domenica
sui locali Fido Park di rientro.

07-07-07 - giornal.it

 Rifiuti: Pansa, "Basta applicare la legge"

NAPOLI - Nessuna correzione, basta applicare la legge. Questa la ricetta proposta dal neo commissario per l'emergenza rifiuti in Campania, il prefetto di Napoli, Alessandro Pansa, per non far precipitare di nuovo la regione nel caos immondizia. "Il percorso da fare e' segnato" ha spiegato Pansa, aggiungendo di essere "fiducioso" pur avendo coscienza di aver assunto un "incarico gravoso". (Agr)

07.07.2007 - corriere.it

 Violentata dal branco, dopo 11 mesi arrestati quattro ragazzi

I ragazzi sono accusati accusati di violenza sessuale di gruppo aggravata,
minacce ed estorsione


ENNA

La polizia di Catania ed Enna ha eseguito nella notte quattro arresti a
Nicosia e Cerami, nella provincia ennese, nei confronti di altrettanti
giovani, tutti incensurati, accusati di violenza sessuale di gruppo aggravata,
minacce ed estorsione. Si tratta di D. M., 23 anni, di Nicosia, al quale sono
stati concessi gli arresti domiciliari, M. M., 22 anni di Nicosia, M. P., 28
anni di Cerami e C. G. G., 30 anni di Cerami, tutti rinchiusi nel carcere di
Nicosia.

Ai quattro giovani, definiti di buona famiglia e descritti come
«bravi ragazzi», la polizia è risalita dopo undici mesi di indagini su un
episodio denunciato a Catania da una cittadina ucraina di 24 anni. La giovane,
che è laureata, risiede a Catania e si trova in Italia con regolare permesso
di soggiorno, nel luglio del 2006 aveva fatto da «ragazza immagine» per un
noto marchio alla festa della birra, organizzata nella cittadina ennese. Al
termine della festa i quattro si erano offerti di riaccompagnarla a Catania,
ma a pochi chilometri da Nicosia avevano imboccato un vialetto e avevano
portato la ragazza nella villa di proprietà di uno di loro.



Qui l’avevano violentata a turno per diverse ore. La ragazza era stata quindi
fatta risalire in macchina e costretta a consegnare 50 euro dei quali era in
possesso, dietro la minaccia di essere abbandonata nelle campagne. Giunti nei
pressi di Catania i quattro l’avevano nuovamente violentata e l’avevano
lasciata alle porte della città.


La giovane sotto choc aveva denunciato tutto alla polizia di Catania. Le
difficoltà a risalire al branco sono derivate dal fatto che sono incensurati.
La giovane li avrebbe comunque riconosciuti e avrebbe anche riconosciuto la
villa in cui è stato consumato lo stupro di gruppo.


07.07.07 - lastampa.it

 UNA notte di paura a Pescara.

Prima un boato. Poi pezzi di lamiera sparsi ovunque: vetri da una parte, parabrezza dall'altra. È quello che resta di una Renault Megane Scenic, intestata ad un pregiudicato del posto, con precedenti per droga, residente nel villino accanto. C'è mancato davvero tanto poco a che il rogo divorasse tutta la famiglia. Al momento dell'esplosione in casa vi erano il proprietario dell'autovettura, la moglie e i due figli gemelli di appena sei mesi. Fortunatamente sono riusciti a mettersi tutti in salvo. Sull’inquietante episodio indaga la Polizia.

sabato 7 luglio 2007 - iltempo.it

Estate sicura: una task force di 5000 Carabinieri

"Estate sicura", operazione del Comando regionale dei carabinieri. Oltre 5mila
uomini e 1500 automezzi in Puglia per garantire la sicurezza stradale, ma
anche notti tranquille. La provincia di Lecce ha fortemente bisogno di
tranquillità sull'asfalto. Unità radiomobili e motociclisti, coordinati da
moderni sistemi di radiolocalizzazione e l'ausilio del Nucleo elicotteri
controlleranno le strade e gli snodi viari più pericolosi. Previsti posti di
blocco e perlustrazioni, predisposti gli etilometri. Il sistema di rilevazione
"Falco", che è montato sulle auto dei carabinieri, consentirà di individuare
all'istante le auto rubate. Il dispositivo infatti svela se una targa
corrisponda un'auto trafugata e documenta anche in movimetno la velocità
elevata e le condotte di guida pericolose. Il sistema di videoripresa "Provida",
installato a bordo delle autoradio, permetterà di filmare e trasmettere le
immagini delle condotte automobilistiche trasgressive alla centrale operativa.

Per garantire notti tranquille i carabinieri si avvarranno della
collaborazione delle polizie municipali delle marine. Il prefetto ha già
convocato i sindaci delle città di maggior richiamo in estate. Controlli
previsti davanti alle discoteche. Il tenente colonnello Maurizio Spada,
presentando l'operazione stamattina, ha sottolineato la collaborazione dei
gestori delle discoteche con le forze dell'ordine. Controlli dunque a
carattere preventivo, gli stessi titolari dei luoghi da ballo sono stati
sensibilizzati dalla prefettura. Azione mirata al contrasto della diffusione
di stupefacenti, dell'abuso di alcol, della prostituzione in strada, del
disturbo della quiete pubblica Ma task force anche delle zone residenziali
lasciate dagli abitanti partiti per le vacanze, controlli per scoraggiare i
furti in casa e per tutelare gli anziani rimasti isolati. Il Nucelo cinofili
sarà impegnato nei porti, negli aeroporti, nelle stazioni ferroviarrie, sulle
autolinee, oltre che nei locali del divertimento notturno, alla ricerca di
droga, armi e refurtiva.

Nel mirino le speculazioni degli operatori turistici. Previsti controlli del
Nas (Nucleo antisofisticazioni e Sanità), del Nucelo operativo ecologico, del
Nucleo ispettorato del lavoro. Saranno controllati esercizi pubblici,
alberghi, ristoranti, stabilimenti balneari sia sotto il profilo igienico-
sanitario che riguardo alla normativa ambientale. Ma anche a tutela di
lavoratori e di consumatori. Nella provincia di Lecce, su cui insistono sei
Compagnie dei carabinieri, una tenenza e 61 Stazioni, agiranno 100 militari e
71 di rinforzo, sarà attivata la Stazione di Santa Cesarea Terme, che è
stagionale. Tre le stazioni mobili previste: a Casalabate, a Santa Maria di
Leuca e a Santa Cesarea Terme. Due dovrebbero essere attivate a Ugento e a
Santa Maria al Bagno. Quattro motovedette perlustreranno le acque del Leccese,
il servizio navale sarà coadiuvato dal Nucleo subacquei. Alta la guardia su
litorali, traffico marittimo, sugli scooter marini, sull'inquinamento
ambientale e sulla salute pubblica.

07.07.2007 - lecceprima.it

Italia. Iss identifica interruttori per produrre staminali del sangue

Dimostrata per la prima volta, nei laboratori dell'Istituto Superiore di
Sanità, la possibilità di "pilotare" la produzione in vitro di cellule del
sangue e di cellule primitive, le cosìdette staminali. Lo studio, pubblicato lo
scorso 24 giugno su Nature Cell Biology, apre la strada alla produzione
in laboratorio di cellule del sangue e cellule staminali ad uso terapeutico.



Si tratta, spiega lo studio pubblicato su Nature, di "un trattamento molecolare,
basato su alcuni micro-RNA (miR-17-5p, miR-20a, miR-106a), ovvero sui relativi
inibitori (anti-microRNA), ha permesso di produrre in vitro cellule
indifferenziate staminali del sangue (nello specifico globuli bianchi monocitari)".
La scoperta è opera di un team di ricercatori italiani dell'ISS, guidati da
Cesare Peschle, Direttore del Dipartimento di Ematologia e Oncologia, in
collaborazione con i colleghi dell'Università di Perugia,



L'importanza di queste ricerche è testimoniata anche dal fatto che la rivista le
ha presentate in un articolo-leader di estensione eccezionale. Questo articolo,
tra l'altro, rivaluta l'importanza di uno studio precedente dello stesso
laboratorio dell'ISS, apparso nel dicembre 2005 su Proceedings of the National
Academy of Science, in cui veniva dimostrata la possibilità di pilotare in vitro
la produzione di globuli rossi o di cellule primitive staminali, rispettivamente
attraverso il trattamento con i miR-221/222 o gli anti-miR corrispondenti.



"L'identificazione e l'utilizzo di questi microRna, e dei rispettivi "anti-microRna"
-ha dichiarato Enrico Garaci, presidente dell'ISS- apre la strada alla
realizzazione di quella che potremmo chiamare la "fabbrica del sangue e delle
cellule staminali". Il trattamento studiato, infatti, rappresenta una sorta di
"interruttore molecolare" in grado di pilotare la proliferazione e
differenziazione delle cellule primitive: sia impedendo loro di differenziarsi
al fine di ottenere l'espansione delle cellule staminali, sia invece inducendo
la loro differenziazione terminale al fine di ottenere una produzione massiva di
cellule del sangue circolante. Si tratta di un risultato rivoluzionario, che
testimonia ancora una volta la validità del Programma scientifico Italia-USA
promosso dall'ISS, e si aggiunge ad altri importanti risultati ottenuti dallo
stesso laboratorio sulle cellule staminali tumorali e sui microRNA, pubblicati
in due altri articoli su Nature negli ultimi sei mesi.



"È ben nota la attuale carenza di sangue per le trasfusioni -spiega Cesare
Peschle
-, come d'altra parte è nota la necessità di espandere in laboratorio
le cellule staminali del sangue da utilizzare successivamente a fini di
trapianto (ad esempio, nel caso delle cellule staminali di cordone ombelicale da
trapiantare in pazienti adulti). Finora, non era possibile produrre in
laboratorio cellule del sangue ad uso trasfusionale e cellule staminali per il
trapianto. Infatti, non era possibile guidare le cellule primitive verso
un'attività proliferativa senza differenziamento (per la espansione delle
cellule staminali), o viceversa verso un'attività proliferativa assai marcata ed
associata a differenziazione terminale (per la produzione massiva di cellule del
sangue). Il trattamento con i microRNA e gli anti-microRNA su menzionati
rappresenta un "interruttore molecolare" in grado di pilotare le cellule
primitive a produrre cellule staminali o cellule del sangue. Nello specifico,
l'espansione delle cellule staminali viene favorita dal trattamento con
miR-17-5p/20a/106a e anti-miR-221/222; mentre la differenziazione massiva per la
produzione di monociti o globuli rossi viene indotta rispettivamente dal
trattamento con anti-miR-175p/20a/106a o con miR-221/222".



"Per quanto concerne il meccanismo di azione di questi microRNA -conclude
Peschle- la loro funzione di interruttori molecolari è dovuta al fatto che essi
regolano l'espressione di recettori preposti al controllo della proliferazione e
differenziazione cellulare. Specificamente, i miR-17-5p/20a/106a regolano
l'espressione del recettore del fattore di crescita monocitario (M-CSF),
preposto al controllo della differenziazione delle cellule primitive in monociti.
Viceversa, i miR-221/222 regolano l'espressione del c-kit, recettore del fattore
di crescita staminale (SCF), preposto alla proliferazione ed autoreplicazione
delle cellule staminali stesse".


06-07-2007 - aduc.it

 L´Operaio Italiano: una monografia di grande valore

Presentiamo la monografia, patrocinata dalla Regione Lombardia, dedicata al periodico sindacale in lingua italiana dei Liberi Sindacati Tedeschi L’Operaio Italiano (Amburgo, 1898-1914).
Il giornale era destinato agli immigrati italiani operanti nell’area di lingua e cultura tedesca.



Con le celebrazioni del Cinquantenario dell’Anwerbevertrag (1955-2005) si è
constatato in più sedi e occasioni l’importanza e la necessità di rimarcare la
storia dell’antica presenza italica e italiana nell’area di lingua e cultura
tedesca. I luoghi deputati a tale attività formativa / informativa risultano
le scuole (primarie e secondarie), le università e le associazioni culturali
sia italiane che autoctone. Come iniziative e progetti legati alle
programmazioni degli assessorati alla cultura locali e alle istituzioni
italiane operanti in Germania. Diversi progetti hanno sottolineato la
necessità di “riscoprire” la nostra storia: mostre, CD-rom, iniziative che
hanno coinvolto studenti e scolari di origine italiana e non. La monografia de
L’Operaio Italiano, periodico in lingua italiana dei Liberi Sindacati tedeschi
(1898-1914), è tra i maggiori ricuperi storico-culturali degli ultimi decenni.
L’opera è stata curata dallo storico Luigi Rossi, rodigino residente a Bochum,
autore di rilevanti ricerche sulla presenza italica e italiana nell’area di
lingua e cultura tedesca.

L’Operaio Italiano ci aiuta a far luce sugli sforzi diretti all‘organizzazione
delle masse e delle tensioni degli emigranti italiani. Il periodico dei Liberi
Sindacati tedeschi sarà, per più di quindici anni (1898 – 1914), un punto di
riferimento per gran parte degli immigrati italiani nell‘area di lingua e
cultura tedesca. Esso offrirà una continua e incessante azione didascalica,
impegnandosi su temi e realtà che, tra il proletariato di fine Ottocento-primo
Novecento, mietevano migliaia di vittime. Mentre le polemiche avviate, sia
verso i rappresentanti di quelle forze politiche ed economiche che dall‘emigrazione
traevano i maggiori profitti, che verso forze sociali tendenti a controllare e
contenere le tensioni che l‘emigrazione porta con sé, non saranno mai fini a
sé stesse o sterili. Lo studio è basato sui numeri disponibili de L‘Operaio
Italiano, considerato «pubblicazione molto pericolosa».

La ricchezza de L‘Operaio Italiano è nella sua lunga testimonianza e impegno a
favore degli immigrati italiani, per la costituzione d‘una forte unità operaia
e un‘integrazione da compiersi sul posto di lavoro. Una chiave che ci permette
di conoscere l‘emigrazione non solamente come fenomeno di natura
socio-economica, ma fenomeno socioeconomico che cambia modi di vita, anche
secolari. Che trasferisce e rimodella culture, anche millenarie. Che ci
riporta a contatto con popolazioni sradicate e, grazie alle relazioni
invernali dai luoghi di propaganda, mettiamo piede nei siti di partenza.
Conosciamo paesi e borghi, cittadine e città. Piazze, circoli, Case del
Popolo. Persino chi, nei luoghi d‘origine, cerca d‘arginare e contrastare
informazione e propaganda. L‘Operaio Italiano testimonia che, grazie all‘emigrazione
italiana, non solo quella diretta nell‘area tedesca, il Paese entrò in
«contatto con la moderna civiltà industriale, con una società nuova e pervasa
da fermenti libertari, con una più moderna e consapevole visione dell‘uomo
come individuo capace di prendere atto dei propri diritti sia di singolo
cittadino, sia di parte concreta e cogitante di una più ampia collettività».
Salta agli occhi, immediato, il rimando al sindacalismo e all’impegno civile
negli Stati Uniti e nel Sud America e alla denuncia di sfruttamento di
minatori, braccianti, operai e operaie. A personaggi come Joe Ettor, Arturo
Giovannitti, Efrem Bartoletti (solo per fare qualche nome). Alle riviste e
pubblicazioni che fioriscono in quegli anni Oltreoceano

La monografia L’Operaio Italiano (1898-1914), la cui introduzione storica,
curata da Marco Pezzoni, approfondisce in modo esemplare personaggi e
movimenti politici e sociali dell’epoca, focalizza la plurisecolare presenza
lombarda nell’area di lingua e cultura tedesca. Tra le città e aree lombarde
toccate a più riprese dagli inviati e propagandisti del periodico, troviamo:
Varese (e provincia, 1912); Como (e provincia, 1912); Brescia (e provincia,
1912); Bergamo (e provincia, 1912); la Valtellina (1912); Lecco (e provincia,
1913); Brescia (e provincia, 1913); Val Camonica (1913); il gallaratese
(1913); il varesotto (1913); una lunga relazione dall‘Ufficio Emigrazione di
Bergamo (1913) e una relazione riassuntiva delle campagne per il 1914. I
centri minori e maggiori delle province visitate sono centinaia. Grazie a
queste relazioni abbiamo, forse per la prima volta, la possibilità di dare uno
sguardo a strutture sociali ed economiche all’origine del fenomeno
dell’emigrazione lombarda di massa nell’area tedesca nel primo Novecento.

Il periodico L’Operaio Italiano è anche una fonte documentaria di grande
interesse per altre aree geografiche italiane (Piemonte, Veneto, Friuli,
Emilia-Romagna, Liguria, Marche...). Rilevante è la denuncia dei padroncini e
fornaciai friulani. La prima parte della monografia tocca i seguenti aspetti:
Il fenomeno de L‘Operaio Italiano; Immigrati italiani nei Liberi Sindacati
tedeschi tra 1898 e 1914; Contenuti, messaggi e rubriche; Il linguaggio de
L‘Operaio Italiano; L‘Operaio Italiano e l‘altra stampa d‘emigrazione;
L‘Operaio Italiano e i suoi lettori; Rapporti tra L‘Operaio Italiano e la
stampa italiana d‘emigrazione nell‘area di lingua e cultura tedesca; Immigrati
italiani nell‘area tedesca (fine 1800 -1914); Il problema degli alloggi;
Italiani, immigrati e criminalità; L‘inferno dei lavoratori; Il buon cuore di
padron Krupp; Campagna contro l‘alcolismo; Interventi per l‘istruzione e
contro l‘analfabetismo; Il pacifismo.

Nella seconda parte vengono riportate le relazioni apparse su L‘Operaio
Italiano relative alle campagne di propaganda e informazione tenute nei mesi
invernali in molti paesi e città lombarde (e non solo).



Grande sorpresa destano informazioni storiche e culturali, offerte da
conferenze, articoli o prodotti come l’ultimo CD-rom bilingue
didattico-informativo a cura dei Comites di Dortmund e Colonia, che rimandano
alla presenza “lombarda” nel periodo medievale e a personaggi che appartengono
alla storia europea, come i bergamaschi Tasso, la dinastia comasca dei
Brentano, quella valtellinese dei Grillo, l’opera dell’artigiano - stuccatore
varesino G. A. Bossi (solo per riportare alcuni nomi). Ciò sollecita la
creazione di “occasioni” che possano mettere in rilievo questa antica
“coabitazione” di carattere sociale, economico e culturale, in modo da
interessare i media e coinvolgere maggiormente la cittadinanza tedesca,
riunendo quei cittadini d’origine lombarda che risiedono nell’area
dell’evento.



La monografia dedicata a L’Operaio Italiano è il primo frutto del progetto
“Lombardia – Germania nel corso dei secoli ” avviato dall’Associazione
Mantovani nel Mondo. Altri ne potrebbero seguire, riservando particolari
sorprese sulla ricca e antica presenza lombarda nell’area di lingua e cultura
tedesca. Un invito alla creazione di “occasioni” che possano mettere in
rilievo una plurisecolare “coabitazione” di carattere sociale, economico e
culturale che ha plasmato dinastie del calibro dei bergamaschi Tasso, dei
comaschi Brentano, dei valtellinesi Grillo e infiniti personaggi attivi nei
settori dell’arte, della politica, commercio e artigianato.


Fonte: lombardi nel mondo - 06.07.2007 - italianosdargentina.com

Sporchi dentro, brutti fuori

Omini di burro capipartito, boia mediatori di pace, narcotrafficanti internazionalsocialisti, contras palestinesi al servizio di Sion, Al Qaida dappertutto: le manovre estive della “Guerra globale al terrorismo”.


"Puliti dentro belli fuori"
è la panzana di un’industria delle acque rubate. Sporchi dentro brutti
fuori ne è la nemesi da cui si può vedere colpita la classe dirigente nostrana e
mondiale. Metteteli un po’ in fila, come per una foto scolastica, e voglio
vedere se non vi scappa qualche osservazione lombrosiana. Che non sarebbe poi
proprio da Lombroso, il quale traeva convinzioni piuttosto razziste sui
caratteri dei soggetti dalle fisionomie di partenza: ladro, assassino,
prostituta, idiota, galantuomo, artista e via classificando. Qui guardiamo alle
fisionomie d’arrivo, quelle che vita, comportamenti, pensieri, sentimenti, vizi
e bagordi, porcate e ruberie hanno inesorabilmente scolpito sull’innocente
materia prima.



La pulizia dentro e la bellezza fuori dell’omino di burro



E quelle sono davvero una documentazione che nessun discorso del Lingotto
(Walter Veltroni, all’incoronamento da sovrano del Partito Democratico), o
nessuna benedizione urbi et orbi possono smentire. Ricordate "l’omino di burro"
che, tra scampanellii, ghirlande e festoni, trascinava i farlocchi nel Paese dei
Balocchi da dove, dopo qualche fugace pippa, sarebbero poi usciti somari da
macello? "Omino di burro", il gigantesco Collodi aveva definito così il
conducente di quella spedizione di morte travestita da perenne festa, facendoci
immaginare un sorridente e untuoso figlio di puttana dalle flaccide gote in via
di prolasso. Beh, (tirate il fiato, il periodo è lungo), non corrisponde forse,
in perfetto combacio, al sindaco fuffa dai canini di caimano, quello della
piazzetta dedicata al compagno Dino Frisullo, combattente della causa della
minoranza turco-curda in via di cancellazione e anche quello della simultanea
cacciata dei quattro rom di Roma nel deserto oltre il Raccordo anulare, via da
scuole e ospedali? Contributo a quell’idea della sicurezza che, sotto Veltroni,
tanta strada ha fatto da far cacciare a sassate due signore berbere che, alla
Magliana, avevano voluto dar vita a un progetto di conoscenza con l’erezione in
piazza di un autentico villaggio berbero, con relativa cultura, arte e
gastronomia. Ma Veltroni non è quello delle pere vippiste cinematografiche e
quello del degrado delle periferie e di tutti i servizi urbani; quello dell’ I
care (mi prendo cura) e quello dell’inno alla sicurezza - leggi repressione –
per reprimere gli effetti della macelleria sociale? Quello che, concepito, nato
e allattato nel CC del PCI, ha fatto per 17 (diciassette) anni il leader della
gioventù bolscevica italiana e ora – mai stato comunista! - fa il leader di un
partito-fuffa che fa il verso ai Kennedy degli assalti a Cuba e al Vietnam e
delle commistioni mafiose, al Clinton dei massacri balcanici e iracheni, a
Sharon, uomo di pace – e a Olmert - Viva la Sinistra per Israele. Una genìa di
serialkiller da far impallidire Re Leopoldo I (ne fece fuori 20 milioni in
Congo, a proposito di "unicità dell’Olocausto")?



Diamo un’occhiata dall’alto della storia. Cosa va facendo questo omino di burro,
cocchiere di carri funebri? Non sta forse portando a termine, con il Partito del
Vuoto Pneumatico, il Grande Disegno della via italiana al socialismo, col quale
hanno intrappolato per tre generazioni l’autonomia, la forza, la creatività, la
rabbia e il destino delle masse di questo paese? Quel disegno che l’onesto
Be-Be-Be-Berlinguer iniziò a realizzare accucciandosi nella Nato e lavorando,
col Compromesso Storico, all’inciucio di classe totale, alla fine del conflitto.
Fine del conflitto operato ovviamente da chi abita al pianoterra o nel
sottoscala, non certo quello di coloro che sgavazzano ai piani alti che,
infatti, hanno continuato a menare come matti quelli di sotto. Da allora c’è
voluto un quarto di secolo, una ricca stagione di opposti estremismi con
occasionali spruzzate di brigate rosse, ma alla fusione completa tra ex-PCI ed
eterni democristiani ci è arrivato, appunto, il primatista assoluto del
trasformismo all’italiana, l’omino di burro. Chi è dotato di zanne più
luccicanti e al tempo più taglienti da affondare nel corpo inerme e inerte del
proletariato italiano? Chi si è abbeverato quanto lui ai poteri forti (è una
bella gara, tra Bertinotti, D’Alema, Rutelli, ma con Veltroni non c’è partita)
azzerando ogni sfumatura di laicità e promettendo una gabbia della sicurezza che
neanche il nerboruto Sarkozy. Tanto da essersi meritato il logico plauso del
portabelinate di Forza Italia, Bonaiuti, che è andato profetizzando una non
innaturale combine tra il PD e la cosca di Berlusconi. Tanto da essere convolato
a nozze con l’ex-picchiatore fascista Alemanno, giurando i due eterna fedeltà a
quel coronamento del neoprotocapitalismo che si chiama sussidarietà, ossia morte
del pubblico e briglia sciolte all’idrovora del profitto privato. Come i
burattini Lanzillotta e Bersani, appesi ai burattinai FMI, Ocse, BCE, UE e
l’uomo Goldman Sachs di Bankitalia, insegnano. Tanto da essere il cocco di una
comunità ebraica che quanto a identificazione con la destra e, dunque, con i
macellai di Tel Aviv, dà punti perfino ad Adriano Sofri e Magdi Allam Ce lo
presentano, soffuso di aureole buoniste, il Veltrusconi, questo eroe della più
sublime doppiezza nazionale e ci intimano: badate, se non vi sta bene Veltroni,
poi arriva il bau-bau vero, quello di Arcore (null’altro che un alter ego con in
bocca guano anziché melassa). E il ricatto, vedrete, funzionerà di nuovo. Non è
così che le sinistre di complemento ci hanno fatto trangugiare gli assalti al
Libano, all’Afghanistan, il massacro del territorio, la demolizione di ogni
residua garanzia di sopravvivenza alle vampiresche
liberalizzazioni-privatizzazioni, il vaiolo delle basi Usa sulla pelle della
Nazione, la dittatura di una cosca di banchieri e bankitaliani? E non abbiamo
subito, a sinistra, quel capolavoro dell’inversione della verità con cui la
mafia mediatico-politica sion-colonialista, bulimica di territori e stragi, ha
trasferito ai musulmani in corso di decimazione l’ intenzione di eliminarci e
schiavizzarci tutti e poi dominare il mondo? Con il che ancora una volta il bue
ha dato del cornuto all’asino.Rimane da esigere una risposta al quesito che ha
sconvolto l’intera, vera sinistra: perché un gruppuscolo romano, collocato nella
sinistra antimperialista e pro-palestinese, ha dato del suo (per la verità poco,
lo 0,6%) alla glorificazione elettorale del "rabbino" Veltroni? Cosa ha fatto
credere ai vernacolari della retina dei comunisti, quelli della compagnia di
giro guidata dallo scaltro Vasapollo, che, allestendo alle amministrative del
2005 una lista "di movimento" a favore del più insidioso nemico di classe della
nostra scena politica, potessero continuare a esibirsi come cantuccio romano
dello schieramento antagonista nazionale? L’esperienza insegna che non si
procede tanto bene tenendo il piede in due staffe. Prima o poi ci si fa male.



Occhio, sennò arriva Berlusconi!



Una riflessione s’impone: le più grandi vittorie dei subalterni storici le si
sono conseguite quando s’aveva di fronte un governo di destra (chiamatelo pure
"di centro", che è la definizione chic della destra). Pensate alla quasi
insurrezione nazionale – regolarmente tradita - dopo l’attentato a Togliatti,
ultima chance di portare a compimento la lotta di liberazione. Pensate alla
rivolta delle "magliette a righe" quando Tambroni volle fare una mussolinata; al
grandioso arco eversivo dal ’68 al ’77 che ha guadagnato a classe operaia e
società tutta le migliori promozioni sul campo della storia. E invece le
peggiori sconfitte – dalla scala mobile rubata, alle scuole sfasciate, alle
libertà coartate, all’impoverimento generale, alle guerre inflitte - le si sono
subite quando al potere stava, nelle sue varie edizioni, il centrosinistra, cioè
quando la sinistra, nenniana, berlingueriana, craxista, occhettiana, dalemiana
che fosse, si offriva da castigamatti al padronato interno e internazionale. E’
sotto Berlusconi che si sono messi in piazza tre milioni contro la guerra
all’Iraq – e se a capo non ci fosse stato un ciarlatano, quei tre milioni
avrebbero avuto vita più lunga - e mezzo milione a Genova ha affrontato Bush e i
suoi sanguinolenti ascari locali. Dal che si dovrebbe dedurre che la fine del
mondo sono i compromessi storici perché sono disarmi unilaterali, perché, come
diceva Gramsci, peggio di un governo di destra c’è solo un governo di sinistra
che fa la politica della destra. E sotto i centrosinistri di Prodalema e
Prodinotti che si sono promossi al valore un capo della polizia, responsabile
istituzionale e sul terreno della "macelleria cilena" di Genova (il termine è di
un suo sottoposto), e tutti i suoi centurioni sul campo. E che si è fatto nuovo
capo della polizia uno che, nel raccapriccio della Procura di Palermo, ha
esaltato il noto picciotto,Totò Cuffaro, per grazia di Casini re di Sicilia,
come "massimo collaboratore nella lotta alla mafia". Del resto, l’uomo è
coerente: ha subito dichiarato che, con un Sud dove non si percepiscono
eccessive minacce alla sicurezza (sic!), è della sicurezza al Nord, minacciata
dagli immigrati, che bisogna fare una priorità. La Moratti, podestà di Milano,
ha trovato il suo partner di tango argentino…



Il boia di Londra, mediatore portatore di patiboli



Quella di Tony Blair è la faccia di un tappo di bottiglia tirolese. Sotto due
occhi da iguana si apre un sorriso da coccodrillo, talmente fisso da far
sospettare la perenne attesa di una gazzella da sventrare. Questo parvenu tirato
su a sangue operaio, ha poi allargato la sua voracità al sangue ed ai nervi di
interi popoli. Vocato al vampiraggio di complemento, dato il decadimento del suo
castello ex-imperiale, ha agevolato con vera libidine di servilismo lo stragismo
del bamboccio teleguidato dalla criminalità organizzata statunitense.
Accreditatosi presso qualche milione di utili idioti con l’avvertimento che
Saddam Hussein avrebbe potuto incenerirci tutti in 45 minuti, ha aiutato a
stringere il nodo scorsoio atlantico-sionista intorno al collo di mezza umanità,
compresa la propria classe lavoratrice. Ha anche contribuito alla costruzione di
quella forca caudina chiamata "scontro di civiltà", sotto la quale si vorrebbero
si vorrebbero far passare quei quattro quinti dell’umanità che hanno
l'impertinenza di non essere bianchi, cristiani, ricchi o, comunque, di abitare
dove sono importuni: sulle risorse che fanno gli orgasmi dell’élite. E quello
che questa spalla di Bush riusciva a fare in Iraq, o Afghanistan, perché mai non
avrebbe dovuto praticarlo anche nella metropolitana e per le vie a di casa, così
zeppe di plebaglia superflua e, a volte, anche irriverente? Non sia mai che il
maggiordomo non sappia ripetere in sedicesimo il capolavoro che il signore ha
realizzato l’11 settembre!



Lombrosianamente a Sharm el Sheik



Altre tre facce di irrimediabile segno lombrosiano (nel senso indicato sopra)
sono quelle che ci hanno provocato la solita nausea a Sharm el Sheik, località
che il tiranno egiziano suole prestare al compare israeliano, o a fiduciari
dinamitardi beduini, quando occorra tagliare qualche altro membro al corpo
mutilato del popolo palestinese. Lì, giorni fa, il sovrano giordano Abdallah, il
faraone egizio Mubarak e il capo dei contras palestinesi, Abu Mazen, si sono
incontrati, abbracciati e baciati nel nome della loro ribadita unità, trina e
armoniosamente al servizio di USraele. Mubarak, lo spappolamento fisionomico da
corruzione psicofisica a 360 gradi; Abdallah, una specie di ratto in cravatta,
di quella specie che mogli da gossip e ufficiali pagatori d’oltreoceano elevano
al rango di comparsa di corte; Abu Mazen, sotto lo sguardo del suo sodomizzatore
Olmert, con un sorriso da paresi per la consapevolezza di averlo fatto mettere
in quel posto anche al suo popolo, ora anche vietandone ogni resistenza agli
assassini e invocando, d’accordo con i padrini, una forza di mercenari
internazionali che, come in Libano, riesca a Gaza là dove i suoi sbirri hanno
fallito. Sorridente banda di gangster abbracciati, in lieta navigazione su mari
di sangue: erano appena usciti i documenti, scoperti da Hamas a Gaza nelle
stanze della tortura dei gerarchi Fatah, che rivelavano l’intesa
Rice-Olmert-Mubarak-Abu Mazen per la liquidazione del governo del legittimo
primo ministro Haniyeh, da attuare con un bagno di sangue sotto la guida del
fidato sicario Mohammed Dahlan. Il quale, appropriatamente, aveva anche
confezionato, come suole quando il principale prepara qualche carneficina di
arabi, cellulette di Al Qaida da inserire tra i "terroristi" di Hamas (lo hanno
rivelato le autorità egiziane sulla base di questi documenti scoperti di Fatah).
Come sappiamo, le cose andarono poi diversamente: le forze democraticamente
elette dai palestinesi prevennero il golpe e nel giro di tre giorni cacciarono i
contras dal territorio e Dahlan dal suo palazzo di marmi di Carrara, tempestato
di opere d’arte e casseforti, collocato nella miseria di Gaza come un rolex sul
moncherino di un lebbroso.



Narcotrafficanti, ma nostri narcotrafficanti



A quei tre, come sequenza horror, andrebbe aggiunta un’altra, di pochi giorni
appresso, a Ginevra, dove si è riunita quella bella accolita, per la quale tanto
spasima il sinistrocratico Mussi , la quale, nonostante che ospiti un
trucidatori di elevatissima professionalità come Simon Peres, insiste a
chiamarsi Internazionale Socialista. Come chiamare aquila un papataccio.
C’erano, graditi ospiti e soci onorati, i due narcotrafficanti a cui, fin dagli
anni ’70, Israele, l’Iran e gli Usa hanno dato in appalto lo squartamento
dell’Iraq: Talabani, presidente della macelleria nazionale e Barzani, presidente
del Curdistan iracheno elevato a colonia di Israele. Personaggi che a furia di
vendersi a qualunque sterminatore di passaggio, da Khomeni ai Bush, dalla Cia al
Mossad, dalla Exxon alla Total, dai coltivatori di papaveri afgani sotto egida
Nato al miglior offerente mafioso occidentale, all’Internazionale
dalemian-peresiana non avevano da offrire che le proprie affinità elettive.



Alì, perentoriamente "il chimico"



Si chiamava Ali Hassan al Majid, era un generale di Saddam, ma lo chiamavano "Alì
il chimico". Militare ma colto, lo intervistai nel 1989, quando i mercenari
curdi di Khomeini e di Reagan, del tutto simili ai briganti dell’UCK kosovaro,
avevano, per il momento, terminato di mettere a rischio l’unità del paese e
potevano dedicarsi ai massacri dei loro fratelli del PKK in fuga dai turchi. Mi
spiegò come l’esercito stava intervenendo in difesa dei curdi perbene, appunto
quelli nel mirino degli ascari Talabani e Barzani Oggi alzi la mano chi non ha
chiamato così, Alì il chimico, quell’uomo, o non si è sciacquato le orecchie
dopo averlo udito chiamare così. Un meschinello del tutto inconsapevole del 90%
di quello che dice, e che quindi fa il conduttore del TG3, ha ripetuto il
nomignolo infamante tre volte in ventidue secondi e, nel successivo servizio, il
velinaro all’uopo adibito l’ha detta sette volte. Non si sono astenuti neppure
quelli del "manifesto", figurarsi poi "Liberazione". Come se alla sua morte
Andreotti venisse onorato da un coccodrillo che ripetesse a giaculatoria "Giulio
il mafioso", senza mai citarne nome e cognome. Sarebbe come minimo scorretto. Se
sarebbe disinformazione, non so. Nel caso di Ali al Majid sicuramente lo fu. Ma
andare oltre lo stereotipo confezionato nelle centrali Usa della demonizzazione
del nemico, funzionale alle guerre quanto l’invenzione di Osama e del terrorismo
islamico, questo no, questo non compete al comunicatore nostrano. Né a nessun
altro, che almeno io abbia ascoltato o letto. E invece Ali non era "il chimico".
Perché "chimici" erano gli iraniani. Basterebbe che questi professionisti,
coccolati dal sindacato esclusivamente per le loro prebende, avessero
l’elementare sensibilità deontologica di andare a leggere la documentazione
ufficiale, non mediatizzata. Che so, i rapporti dei servizi segreti di tutto il
mondo, dei testimoni oculari, dei giornalisti sul posto, dell’analista capo
della Cia per la guerra Iraq-Iran, Stephen Pellettiere (New York Times,
31/1/2003). Nella campagna del 1988, detta Anfal, delle truppe regolari irachene
contro i secessionisti curdi di Talabani e Barzani, quinta colonna Usa-Iran che
per conto dell’Occidente avrebbe dovuto completare l’opera che a Khomeini non
era riuscita, ci sarebbero stati dai 200.000 ai 400.000 morti (secondo
l’iniziatore della bufala, il noto Human Rights Watch, a direzione sionista).
Non se ne sono trovati più di qualche centinaio, miliziani curdi caduti nello
scontro con le truppe governative che, a loro volta, ebbero un numero analogo di
caduti. Ma l’episodio per il quale Al Majid è stato condannato a morte dal
solito tribunale burletta supervisionato dagli Usa e poi giustiziato (non
impiccato, ma dagli sgherri iraniani di Moqtada al Sadr preso a calci e
decapitato lentamente), si riferiva ai fatti di Halabja. Il villaggio curdo nel
marzo ’88, durante una battaglia tra truppe irachene e iraniane, fu investito da
una nuvola di gas nervino, al cianuro, che fece alcune decine di vittime, poi
cresciute a seimila, ottomila, diecimila (si chiama "sindrome di Sebrenica", il
villaggio bosniaco dove, a carico dei difensori della Jugoslavia unita, si sono
inventate sei-otto-diecimila vittime dei serbi). Le fonti sopra citate,
ampiamente consultabili in internet (vedere l’inestimabile uruknet.info),
confermano tutte la versione dell’epoca, quando non si era arrivati ancora a
criminalizzare l’Iraq a scopo di aggressione: quel gas fu sparato dagli
iraniani, unici a disporne (gli iracheni avevano il più primitivo gas iprite) e
fu indirizzato contro gli avamposti del nemico. Fu un vento infausto a sviarlo
verso il villaggio curdo. Chi restituirà ad Ali Al Majid, neanche la vita ma il
suo nome vero e la verità?



[nota di uruknet: Fulvio, hai avuto un lapsus! Il Generale Ali Hassan al Majid è
stato condannato a morte il 24 giugno dopo un processo farsa, ma per il momento
è ancora vivo. Non Ali Hassan al Majid, bensì Barzan Ibrahim al-Hasan al-Tikriti,
fratellastro del Presidente Saddam Hussein, è stato torturato e decapitato
lentamente, probabilmente dai ragazzi di Moqtada, sempre più idolatrato da una
"sinistra" ormai oltre l'indecenza. Due settimane fa abbiamo pubblicato il
referto autoptico ufficiale di Barzan Ibrahim

(

http://www.uruknet.info/?p=33927
), tradotto da un amico iracheno e caduto
nell'indifferenza più generale.]



La "Dottoressa Antrace"



Non è dissimile l’altro caso della propaganda, complicemente o vilmente
spappagallata da politici e mediatici di sinistra: quello della "Dottoressa
Veleno". Si chiama Ouda Hammash, è una biologa, era uno dei sei membri del
Consiglio della Rivoluzione, massimo organo dello Stato iracheno. Fu catturata e
sbattuta nell’inferno di Camp Bucca. E’ malata di cancro. Non se ne conosce la
sorte. La intervistai pochi giorni prima dell’invasione del 2003. La conoscevo
fin dagli anni ’90, quando, avendo studiato gli effetti spaventosi dell’uranio
238, lanciato a tonnellate sugli iracheni presenti e futuri, teneva conferenze
in cui illustrava gli agghiaccianti risultati dei suoi studi. Fu promotrice
dell’incontro tra vittime irachene e militari statunitensi colpiti dalla
cosiddetta "sindrome del Golfo" (400.000 nella spedizione di 600.000, 50.000
deceduti), rivelò l’identità degli effetti sui vivi e sui neonati, denunciò al
mondo il crimine dell’uso di un’arma proibita e che uccide nei millenni. Questa,
la sua colpa. Questo le meritò il titolo di "Dottoressa Veleno", o "Dottoressa
Antrace", basato sulla menzogna che Ouda avrebbe sparso quell’antrace che,
invece, si dimostrò uscito dai laboratori militari Usa e da lì spedito agli
oppositori di Bush, subito dopo l’altro crimine di Stato, le Torri Gemelle.



Autobomba Al Qaida con conducenti ignari



E veniamo alle bombe, autobombe, agli aerei da abbattere, ai kamikaze. Tutta
roba senza spiragli di dubbio accreditata, nelle versioni Scotland Yard o
Pentagono, dal "manifesto", a maggiore avallo dello "scontro di civiltà". Al
Qaida invincibile più di Alessandro Magno, onnipresente più del padreterno,
universalmente terrorizzante più della peste (che era vera) o dell’Aids (che è
fasulla), le cui operazioni, tuttavia, paradossalmente sono condotte da degli
sprovveduti che non li prenderebbe per garzoni neanche il più sfigato
mortarettaro napoletano. E sì che Al Qaida di mezzi ne dovrebbe avere per
addestrare alla perfezione brigate di fanaticoni, visto che ha saputo spandersi,
inarrestabile perfino nel concorso di ogni potenza repressiva, per tutto il
globo terracqueo e far sfracelli a un ritmo tale che ormai, se ti mettono sotto
il gatto, sei portato a intravedere alla guida Osama bin Laden. Da Londra a
Glasgow, da Algeri a Casablanca, dallo Yemen a in capo al mondo, tra pasticcioni
della porta accanto e professionisti delle caverne afgane saggiamente assortiti,
l’inizio estate 2007 ha visto un arroventarsi tale della tensione terroristica
da rendere il riscaldamento globale un fresco ponentino romano. Hanno ridotto
l’Iraq peggio della Cartagine di Catone, da sei anni stanno polverizzando
l’Afghanistan. Al Libano hanno messo la museruola e alla Palestina sparano da
cinquant’anni al cuore. Le società occidentali sono ridotte come microbi sotto
il vetrino di un controllo sociale che Hitler e Mussolini si sarebbero sognati.
Scudi spaziali, satelliti, servizi segreti che reclutano metà della popolazione
terrestre, ci mettono in condizione di afferrare per la coda le lucertole tra i
muretti a secco di Alberobello… Eppure Al Qaida, eppure il "terrorismo
islamico", eppure le autobomba e i kamikaze da sei anni imperversano peggio del
virus dell’aviaria l’altr’anno. Fasullo l’uno, fasulli gli altri?



Autobombe di reclute Cia e MI5, tanto inconsapevoli quanto squinternate (l’idea,
in effetti inquietante, è di convincerci che qualsiasi vicino può far saltare in
aria il quartiere), a Londra e a Glasgow, città natale del nuovo premier Gordon
Brown. Avvertimento, o pagamento di cambiale all’internazionale terrorista che
lo ha messo in quella poltrona? Autobombe in Yemen e, prima, in Algeria, Marocco
e Sharm el Sheik, per distogliere i viaggiatori della civiltà superiore
dall’inoltrarsi tra le tenebre barbariche e letali del medioevo islamico.
Assalti agli spagnoli dell’Unifil e agli spagnoli turisti (segnali a uno
Zapatero troppo fuorilinea?). Stronzate securitarie fino al grottesco del bando
dello shampoo dalle borse dei viaggiatori, presuntamente per evitarci di saltare
per aria in volo, ma in effetti per confermarci in una paura cosmica, come gli
eserciti di robocop a ogni angolo (e nelle scuole, propone la previdente Livia
Turco: acchiapparli da piccoli!), i pedofili che incombono sui nostri bimbi
(mentre nessuno fa caso agli stupratori pubblicitari di bambini-tv) e le
telecamere che registrano ogni nostro smoccolamento e lo archiviano a futura
memoria inquisitoria. Ed ecco che su Al Qaida e terrorismo islamico, diventati
in tempi recenti oggetto di sghignazzi universali per abuso d’uso e
smascheramenti ricorrenti, possono tornare ad esercitarsi i difensori ad alto
reddito mercenario di una superiore civiltà a rischio di finire rinchiusa nel
burka, se non dai "mori" divorata viva. E se non c’è più Oriana Fallaci, ci sono
Magdi Allam e Renzo Guolo, Giuliano Ferrara e Mario Pirani, ci sono, nel
"manifesto", le Sgrene e le Forti che in Afghanistan intervistano solo le brave
persone che si augurano la permanenza degli occupanti, "a fini di sicurezza".
C’è un’intera, affollatissima madrassa dell’integralismo giudaico-cristiano,
frequentata anche da una sinistra che sguazza compiaciuta nella fanghiglia del
suo inveterato "né-né" , ribadito dall’equivoco collaborazionista della "spirale
guerra-terrorismo". Insomma, la situazione, al volger dell’estate 2007, era
segnata da troppi buchi nella cortina a copertura della criminalità militare
occidentale da rischiare di sfuggire di mano. Anche in Italia ci voleva un colpo
d’ala, dopo la nemesi Hanefi, il dirigente afgano di Emergency catturato e
carcerato dagli sbirri del narcopresidente nostro alleato, per aver fatto
liberare un giornalista italiano dal sequestro taliban. Allo sputtanamento di
quest’altro regime di Vichy, narcotrafficante ma filoccidentale, addizionato
alle quotidiane stragi di donne e bambini da parte di "liberatori" agevolati dai
"nostri ragazzi" nelle retrovie, il geniale D’Alema, praticissimo di queste cose
fin da Belgrado, rispose con la "Conferenze di Roma su diritto e giustizia in
Afghanistan". Bel colpo, i criminali di guerra c’erano tutti: il caporione Nato
De Hoop Scheffer, il terminator Usa, già ambasciatore in Iraq, Khalilzad, il
fantaccino Onu Ban Ki-Moon, lo stesso pusher, già omino di Cheney in Halliburton,
Karzai. Si è anche udito qualche farfuglio di Prodi e una serie di squittii del
falsetto dalemiano. Pensate, "diritto e giustizia" come tema di coloro che
stanno sfracellando il paese! Davvero un virtuoso, quello che invece sembra solo
un barbiere di Gallipoli. Nessuno, quanto il baffino, si diverte a prendere per
il culo la gente. Vantandosi, perfino, di aver speso 50mila euro per infiliggere
agli afgani un sistema giudiziario tipo Mastella o Gonzales ( ministro della
tortura Usa), consistente essenzialmente nella costruzione di Guantanamo locali,
con personale addestrato dai guardiani di quel centro Usa dei diritti umani.



Al Qaida tra i palestinesi. E dove sennò?



Ero stato a Nahr el Bared, il campo dei 40.000 profughi del ’48, all’inizio
della guerra civile. Allora erano ancora ventimila. Il colera da denutrizione e
acqua inquinata faceva in quel campo quel che poi avrebbero fatto le soldataglie
di Beirut. Litigai con il mio compagno Tano D’Amico, famoso fotografo, quando
alcune donne palestinesi ci presentarono, piene d’orgoglio, i loro cinque,
sette, dieci figli. Era il 1975, pieno fervore femminista contro le filiazioni
multiple e Tano non gradì il mio plauso a queste madri che, consapevolmente,
generavano combattenti contro chi voleva estinguerne la comunità. E ancora lo
fanno, ultima risorsa contro infiltrati, rinnegati e sterminatori. Se da noi
numeri così significavano arcaico sfiancamento della donna nel nome della
funzione riproduttrice patriarcalmente assegnatale, quaggiù era la sua autonoma
e cosciente partecipazione alla lotta per la sopravvivenza, lotta per la specie
e per la giustizia. Questo,Tano non lo condivideva. Sono passati oltre trent’anni
da allora. Quelle madri oggi sono nonne e, quando non uccise dalle bombe, da
Nahr el Bared sono state cacciate a ferro e fuoco. Che i 400.000 palestinesi del
Libano aprano gli occhi: basta infiltrare un qualche Al Qaidino ben
lobotomizzato o pagato. E pagheranno una volta per tutte quell’insistenza a
vivere. Donne sterminate o disperse da un mese di cannonate contro qualche
decina di utili idioti della provocazione antipalestinese, prodromo a quella
conclusiva contro Hezbollah e, quindi, al ripulisti coloniale del Libano,
umanitariamente sostenuto dall’Unifil. Tra stermini di palestinesi, attentati ai
politici "antisiriani", tribunali-farsa sull’assassinio di Hariri, sanguinosi
attacchi ai "pacificatori" Unifil, continui inneschi di guerra civile che solo
la grande intelligenza di Hezbollah ha fin qui neutralizzato, la più elementare,
ma trascurata, logica del due più due dice che si sta preparando quel piattino
che dovrebbe fare del Libano il solito non-Stato e la base d’attacco alla Siria.
Ma qualcosa è andata storta. Qualcosa va sempre storta quando impunità e
tracotanza provocano eccessi di disinvoltura e scoprono fianchi alla verità.
Basta pensare alla fin patetiche fandonie sulle Torri Gemelle, incenerite da
piloti funamboli con mezzo serbatoio di kerosene e sul Boeing 157 contro il
Pentagono, largo 39 metri e che ha fatto un buco di cinque e mezzo. Oggi il
"Movimento per la verità sull11/9", di scienziati, tecnici, piloti, testimoni,
analisti, è diventato uno Tsunami.



Appassionarsi ai tasselli, ignorare il mosaico, vedere l’albero, mai il bosco



Un’amplissima e documentata controinformazione, del tutto ignorata dai pigri
gentiluomini dei media radical-chic, ha messo insieme i tasselli di questa
ciclopica offensiva di Al Qaida: Afghanistan, Libano, Iraq, Palestina, Europa,
Filippine, America Latina…E ha fatto quello che i bravi giornalisti della stampa
di sinistra evitano come il fuoco: ha messo i tasselli nel contesto. Il
gruppetto di quasi tutti stranieri, finanziati e armati dal clan Hariri,
famiglio di Israele e dell’Arabia Saudita, che viene spedito nei campi
palestinesi in Libano per allestire provocazioni che permettano ai militari di
sfoltirli un bel po’, quei campi di straccioni, e inaugurare il nuovo ruolo di
un esercito, del tutto inerte davanti alle aggressioni sioniste, ma ora armato
dagli Usa perché costuisca la colonna dello Stato proconsolare contro "le
milizie". I quattro katiuscia sparati contro Israele e l’attentato agli spagnoli
dell’Unifil, perché si possa parlare di "complotto Al Qaida e anche siriano"
contro la sicurezza del paese e coinvolgere la Folgore (che ha intenerito
Bertisconi) e domani Tsahal, nella "rimessa in ordine" del Libano. I già citati
documenti scoperti nelle segrete di Fatah a Gaza e che rivelano l’invenzione di
cellule Al Qaida da parte del fantoccio israelo-statunitense Dahlan (con dietro
lo sponsor Abu Mazen). Mentre nulla ci mette un arnese corrotto e al guinzaglio
degli Usa e di Riad, come il presidente yemenita Ali Saleh, a spedire
un’autobomba nella reggia della regina di Saba per ribadire l’immenso odio dei
musulmani contro l’evoluto occidente cristiano. Anche lui narcotrafficante, come
quasi tutti i fantocci insediati dagli Usa, visto che campa della vendita a
mezza Africa dello stupefacente anfetaminico Khat.



Colonialismo e stato di polizia in difficoltà? Vai con il terrorismo!



Già, le autobombe, i kamikaze! Altro tassello straripante sono gli indizi,
Indizi tanto urlanti quanto muti ai nostri informatori. Quando non hai per le
mani qualche poveraccio lobotomizzato - come quelli educati dai manuali Cia
(stampati in Texas e distribuiti in Asia dalla statunitense "Fondazione
Nazionale per la Democrazia") nelle madrassa afgane e pakistane - che si avvolga
nel tritolo e si faccia esplodere per un Bush chiamato Allah, ci sono le
autobombe. Guidate, ma anche teleguidate. Più facile che telesbattere due aerei
contro grattacieli. Ne ho parlato io, che conto pochissimo, ma ne hanno parlato
addirittura grandi media anglosassoni, francofoni, asiatici. Con tutto questo,
l’automuseruola delle vestali di sinistra dell’11 settembre non si è allentata.
Fin dal 2004, quando gli Usa, utilizzando i neopoliziotti del governo fantoccio
e, soprattutto, le milizie scite, di obbedienza iraniana, di Moqtada e Al Hakim,
venivano riferite testimonianze che gettavano abbagliante luce sulla tecnica
stragista delle autobombe anti-civili. Decine di autisti iracheni, spesso
tassisti, si erano viste sequestrare le vetture per qualche controllo. Poi
avevano potuto riprendersele da uffici militari o di polizia, ma con
l’intimazione di recarsi a fare qualche commissione in un dato luogo, sempre
affollatissimo, mercato, moschea. Arrivati sul posto dovevano avvertire il
committente per telefono e… saltavano per aria con tutto il circondario. La
vettura era stata segretamente rimpinzata di esplosivo. Molti, ovviamente, non
hanno potuto, dai loro brandelli sparsi, denunciare nulla. Ad altri è andata
meglio: si sono fermati prima, hanno scoperto il carico, il telefonino non gli
ha funzionato, o, prima di telefonare, si erano allontanati dall’auto. Perlopiù
sono scappati in Siria o Giordania, tra quei quattro milioni di polvere umana,
cacciata da casa e dal mondo, di cui il mondo non vuole sentire parlare.



I SAS all’opera, da Belfast a Basra



Qualche volta i mandanti si fanno direttamente sicari. E la storia che segue
l’hanno riferita tutti, per poi prontamente dimenticarla al fine di non doverne
trarre le ovvie conclusioni quando, per esempio, si trovano autobombe a Londra,
o si vanno a infilare nell’aeroporto di Glasgow. Gennaio del 2005: a Basra un
posto di blocco di polizia ferma un camioncino con due arabi in jallabiah e
kefìah. I due sparano e buttano giù alcuni poliziotti, fuggono, ma vengono
fermati. Sorpresa, ma per gli iracheni mica tanto: sono due militari britannici
delle famigerate – in Yemen, India e Irlanda - squadre della morte SAS,
travestiti da arabi. Erano diretti a una gran mercato pieno di gente. Il veicolo
trabocca di esplosivo e di innesco a distanza. I due scherani vengono chiusi in
prigione. Tempo due ore, arriva una colonna di carri britannici, sfonda il muro
della prigione, ammazza alcune guardie e si porta via i commilitoni. Spariti per
sempre. E’ da operazioni così, quando riescono e diventano di Al Qaida, che si
fa passare "l’odio immenso dei musulmani per l’Occidente". Avrebbe dovuto
bastare per far crescare sui fogli del "manifesto" un albero del dubbio, vasto
quanto l’intero giornale, ogni giorno della sua vita. Chissà se, coltivando
quell’albero, il "quotidiano comunista" non avrebbe più da piangere miseria.
Forse quella miseria deriva anche da quegli omaggi incondizionati e inconsulti
inevitabilmente offerti dai suoi cronisti alle più surreali e sospette versioni
di Washington, dall’11/9 in poi, e di Scotland Yard ("La cellula dei medici
iracheni per far saltare il Regno Unito", tanto per citare l’ultima ). Non si
rende conto, il "manifesto", che gran parte dei suoi lettori è chilometri più
avanti?



Kamikaze funamboli: il caso Amman



Ma poi ci sono i kamikaze con la cintura esplosiva. E chi ne dubita? Peccato
che, a volte non sono nemmeno pupazzi psicoteleguidati. Non ci sono proprio. 11
novembre 2005, Amman. Entrano quattro kamikaze, saltano per aria tre alberghi.
In uno un clan palestinese festeggiava il matrimonio. Tutti morti, 56. Tosto
rivendica Al Zarkawi, capo di Al Qaida in Iraq, ma defunto e ufficialmente
sepolto da due anni. Solo che: 1) non c’erano kamikaze, perché avrebbero dovuto
camminare sui soffitti come le mosche: le bombe erano esplose dal soffitto (lo
documentano foto e filmati), previa loro collocazione passando davanti a tutti i
controlli del hotel; 2) la sera prima i turisti israeliani in quegli alberghi
erano stati prelevati dai servizi giordani su imbeccata di quelli israeliani. Lo
confermano con orgoglio il quotidiano Haaretz<7i> e un vecchio capo-intelligence
israeliano; 3) Nella saletta accanto al matrimonio erano riuniti alcuni
personaggi di straordinaria preoccupazione per Israele: tre alti funzionari
dell’intelligenze e del sistema finanziario palestinese, critici di Abu Mazen, e
tre delegati del Ministero della Difesa cinese. Disintegrati. Traete voi le
facili conclusioni. Non sono cose da indurre anche la nostra parte almeno a quel
sospetto che è lo strumento del quale loro fanno arma antisociale e con cui
filtrano e decimano la popolazione avversa. Sospetto come matrice di una paura
generale che ci taglia le palle, stordisce le ovaie e esaspera fino alla
depressione solipsista l’individualismo dei votati a perdere?



Il burattinaio e i suoi duelli tra Pulcinella e il diavolo



Tessere per un mosaico che traccia l’immagine dell’apocalisse. Potete
scommetterci che non appena da Cuba, dal Venezuela, dal Sudamerica in marcia
antimperialista e anche rivoluzionaria, arriva qualche notizia che susciti
approvazione, invidia, magari imitazione (le socializzazioni di Chavez, le
vittorie di Cuba, l’avanzata di Bolivia o Ecuador), vi verrà rovesciato uno
tsunami di rigurgiti di malelingue prezzolate sulle nefandezze di Castro, la
prepotenze di Chavez, l’incoscienza di Morales. A volte il capo trombettiere è
il giornaletto del presidente della Camera. E 'un ping-pong. Tu batti un colpo?
E io ne batto dieci. Tu mi rifili un sinistro (!)? e io ti abbatto sotto una
gragnola di diretti sotto la cintura. Così per le guerre stellari tra Occidente
e mondo islamico. Il sincronismo è perfetto. MI rifili Abu Ghraib? E io ti sparo
qualche video di tagliateste di Al Qaida.Tanto è tutto armamentario mio.



In Libano gli israeliani fanno tabula rasa violando ogni articolo della
convenzione di Ginevra, oltre alla nostra soglia della nausea? Prontissimo, il
10 agosto 2006, Blair assorda il mondo con la storia dei dieci aerei passeggeri
in partenza da Londra per gli Usa e dei kamikaze, dotati di liquidi esplosivi
che, per renderli attivi avrebbero dovuto bruciare sei ore e impestare di fumo
il gabinetto della cabina. Dopo una settimana, passato lo scandalo Libano, non
se parla più. Mai più. Però si continuano a bandire gli shampoo dal bagaglio.
Sennò che paura sarebbe? Quanto all’offensiva terroristica della guerra globale
nel giugno-luglio del 2007, embè di motivi per correre alla riconquista
dell’opinione pubblica a forza di botti di Al Qaida tra Gran Bretagna, Libano e
Yemen se ne erano assommati diversi. In Afghanistan, oltre a prenderle da tutto
un popolo insorto, la nostra coalizione non faceva passare giorno senza
estinguere la vita di un villaggio: F15, F16, bombardieri pesanti guidati dai
nostri Predator, migliaia di bombe a grappolo, bombe spaccabunker da mezza
tonnellata, missili da crociera. 1.200 missioni la settimana. Tutte impegnate a
distinguere nettamente tra taliban e donne e bambini. E se di taliban non ce
n’è, si prende il tizio disintegrato e gli si mette accanto un AK-47. "I taliban
usano i civili come scudi umani!" Mica lavorano come i topgun, a diecimila
chilometri dai loro compatrioti. Già, stanno tra i civili, sono i combattenti di
quel posto, di quel villaggio, di quella città. La guerra di popolo lì si
svolge, non dispone di campi di battaglia nel deserto. L’orrore per le
efferatezze Usa si estende, oltrechè agli scontati "estremisti", a un bel po’ di
gente. Esclusi gli inossidabili Magdi Allam, Giuliano Ferrara e Walter Veltroni.



In Palestina si scopre che un popolo già massacrato decide di votare per chi lo
difende con la Resistenza e allora lo si decima, imprigiona, affama. Tanto di
Gaza interessava solo l’acqua. E quella la si è presa, lasciando ai palestinesi
le falde ormai salmistrate dal mare, in pozzi che non devono scendere sotto i
130 metri (quelli israeliani fino a 800!). Poi la striscia si chiude e
vaffanculo. Del resto lo diceva il vecchio capoccia Weizman e lo ripetevano
tutti da Ben Gurion in giù, che era per l’acqua che Israele doveva predare fino
al Litani in Libano, allo Yarmuk in Siria, alle fonti del Golan, alla riva est
del Giordano. E magari, poi, fino al Nilo e all’Eufrate. Ma ecco che un po’ di
gente, neanche tanto sprovveduta, come l’ex-presidente Jimmy Carter e l’ondivaga
Amnesty, iniziano ad arricciare il naso. Il golpe contro Hamas da parte di
forchettoni venduti non fa pensare proprio a una rettifica democratica. C’è
sconcerto e le voci della verità riprendono volume.



Più figuracce fanno, più Al Qaida fanno



In Iraq la tragedia e i crimini contro l 'umanità che la determinavano
assumevano proporzioni tali da far riflettere perfino un fautore dell’armagheddon
come Brzezinski. Contemporaneamente, campagna Usa di sicurezza dopo campagna Usa
di sicurezza, surge dopo surge fallita, altri inutili 30mila marines, i
cinquanta sunniti al giorno trovati trapanati, le carneficine e gli attentati ai
luoghi sacri, tipo Samarra, tutta farina del sacco iraniano-statunitense
protagonizzato da Moqtada al Sadr (che perciò deve far finta di essere
"antiamericano"), i quattro milioni di profughi e sfollati, dannati della Terra
come neanche Franz Fanon avrebbe potuto immaginare, Bakuba, Samarra, Falluja,
Adhita, Hilla assediate dagli USA e uccise per fame, sete, peste, peggio di
Gengis Khan, i furti con scasso della più preziosa e grande ricchezza
archeologica del mondo, tutto questo stava facendo vacillare non poco la fede
assoluta nel bene – noi - e nel male - quelli. Occorreva rispondere, troncare,
sopire i perplessi, accendere ovunque la fiaccola dello scontro di civiltà.
Occorreva un bel po’ di Al Qaida, da Glasgow a Khiam in Libano, da Londra a
Sanaa. Occorreva ripristinare il genoma del capitalismo feudatario e
colonialista attraverso il rilancio della catena consequenziale: strategia del
terrorismo islamico, strategia della paura, strategia del controllo e della
repressione sociale e della guerra imperialista.



Il terrorismo islamico compensa la perdita del nemico sovietico, è universale,
perenne, invincibile. Se non ci fosse, bisognerebbe inventarlo. Così l’hanno
inventato. La paura – in particolare quella preziosissima dei "mori" - è da
duemila anni lo strumento più riuscito per il dominio dei pochi sui molti, dei
delinquenti sui giusti, per cui diffondere a piene mani bombe, cellule dormienti
o sveglie, arresti di imam, pandemie assassine, dati pompati sulla criminalità (purchè
non mafiosa), una spruzzatina di pornopedofili ogni tanto, e poi
telesorveglianza, tecnologie della sicurezza, ogni tre mesi l’invocazione "più
poliziotti, più carabinieri" (abbiamo più guardie per persona di tutta Europa),
e tanto Magdi Allam. Quanto a Sofri, ora che sta a casa, oltrechè su "Foglio",
"Panorama", "Repubblica", lo vogliamo anche sulla carta igienica… Così è se vi
pare. Basta che grattiate appena un po’ dietro a ogni autobomba, dietro a ogni
sito fondamentalista e ci troverete un texano. O grattiamo, o siamo fregati..

07.07.2007 - uruknet.info

 Incidenti stradali, aumenta il numero dei giovani

Una della prime cause di mortalità tra i giovani sono, purtroppo, gli
incidenti stradali, ma questo non riguarda solo i giovani ma tutti.

Giusto per fare delle statistiche: in Italia nel 2006 sono rimasti vittime di
incidenti mortali 3446 persone, mentre nel mondo si stimano un milione e
duecentomila morti e circa 50 milioni di feriti anche con invalidità permanenti.
Le cifre sono molto preoccupanti non soltanto sotto il profilo umanitario ma
anche sociale; infatti, il costo degli incidenti arreca un danno di 34,733
milioni di euro (dati riportati dall'ACI) ripartiti per spese mediche, legali,
amministrative, giudiziarie...


Le cause degli incidenti stradali sono svariate e molte volte gli stessi
avvengono anche per colpa di molte strade non idonee che alcuni definiscono
“strade killer”.

Secondo la Polizia Stradale un'infrazione in aumento nel 2006 è stata quella di
utilizzare il cellulare in auto in maniera impropria.


Rimangono sempre in primo piano l'alta velocità, la guida in stato
d'ebbrezza, l'imprudenza che rappresentano le cause principali che provocano
incidenti anche mortali e molte di queste stragi avvengono proprio il sabato
sera e coinvolgono nella maggioranza dei casi i giovani.

Spesse volte è stato “puntato il dito” contro le discoteche che, detto da
alcuni, sono la causa di questi incidenti dovuti alla vendita di super alcolici,
allo spaccio di droga, agli orari e all’inquinamento acustico verso i quali il
giovane è sottoposto ma qui il responsabile è anche il giovane che
irresponsabilmente fa uso di droghe, si ubriaca e poi “normalmente” si mette
alla guida della propria auto (magari anche di grossa cilindrata) mettendo a
rischio la propria e altrui vita.

Guidare ad alta velocità per molti rappresenta un piacere, ma anche un forma di
competizione tra gli stessi automobilisti.


Le case automobilistiche fabbricano auto (anche utilitarie) sempre più
potenti e veloci che vanno oltre i 200 km/h, ma anche qui la responsabilità non
può ricadere solo sulla vettura veloce ma sulla prudenza e sulla responsabilità
di chi guida. Sulle nostre strade ci sono limiti di velocità che molto spesso
non si rispettano, ci sono strade poco illuminate, strette, con segnaletica
inadeguata o insufficiente che richiederebbero manutenzione e per questo occorre
essere prudenti.

E poi c'è la mancanza di senso civico o peggio ancora di inciviltà da parte di
quelle persone (spesso anche prepotenti) che non rispettano i semafori, non si
fermano sulle strisce pedonali, non indossano il casco, non danno la precedenza.


Una valida iniziativa tutta italiana dal titolo “Obbiettivo 2010 un traguardo
per la vita”, vede protagonista l'ACI che si impegna per quattro anni a
realizzare campagne di sensibilizzazione, corsi di guida sicura con l'obbiettivo
di cercare di dimezzare entro il 2010 gli incidenti mortali e i feriti sulle
nostre strade. Tutti dovremmo essere partecipi di questo impegno che, come ho
detto prima, riguarda la responsabilità dei cittadini, le case automobilistiche
(auto più sicure), la realizzazione di strade efficienti e sicure e,
soprattutto, la buona volontà del Governo italiano a realizzare il tutto.



© Copyright Comincialitalia.net - di Francesco Martino - comincialitalia.net


 Eutanasia, indagine dell'Ordine dei medici

Presentati ad Udine i risultati di un sondaggio interno

Ma solo il 18,2% degli interpellati ha risposto al questionario


Lo 0,7% ammette di averla praticata


UDINE - In tempi di dibattito politico su testamento biologico e
eutanasia, sono i medici a prendere la parola. E si tratta di un
intervento scientifico, per quanto il dato vada preso con cautela.
Secondo un'indagine interna all'Ordine, infatti, lo 0,7% dei camici
bianchi italiani ha praticato l'eutanasia o il suicidio assistito.



Il risultato dell'inchiesta è stato diffuso oggi, a Udine, al convegno
"Etica di fine vita", organizzato dalla Federazione nazionale degli
Ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri, incontro al quale
partecipa, tra gli altri, anche il ministro della Salute Livia Turco.




L'Ordine dei medici ha svolto nei primi mesi del 2007 un'indagine
campione, composta da 54 domande, sul rapporto tra etica e cure
palliative di fine vita. Il questionario è stato inviato a 8.950
dipendenti del Servizio sanitario nazionale e a 5.710 medici di medicina
generale, compresi nella fascia di età tra 30 e 65 anni.



Al questionario ha risposto solo il 18,2 % degli interpellati. Una
percentuale bassa, secondo il presidente della Federazione, Amedeo
Bianco, per il quale "la proporzione di risposta è limitata rispetto ad
analoghe ricerche internazionali", spia di un coinvolgimento solo
parziale dei medici italiani in argomenti per certi aspetti
professionalmente nuovi. La medicina, però, ha sempre fatto i conti con
l'etica, tant'è che, secondo Bianco, "il 72% di chi ha risposto ha
ritenuto importanti le proprie convinzioni religiose o filosofiche nella
pratica professionale".



La domanda più scottante del questionario era proprio quella relativa
all'eutanasia e al suicidio assistito. Lo 0,7% dei medici italiani ha
riconosciuto la propria pratica in questa definizione. Di qui a parlare
di un cambiamento culturale o di una tendenza in atto a pratiche
clandestine, la strada è lunga. E' lo stesso Bianco, infatti, a spiegare
che il campione preso in esame è troppo esiguo, e soprattutto che coloro
che hanno risposto, "oltre ad essere protetti da assoluto anonimato,
sono dotati di maggior interesse culturale per questi temi".



6 luglio 2007 - repubblica.it

Terralba, abusava delle figlie: 11 anni di condanna

Padre padrone violentava le figlie. La vicenda è accaduta nel Terralbese e
andò avanti per undici lunghi anni, finché non arrivò la denuncia alle forze
dell'ordine.



Le violenze erano andate avanti per undici lunghi anni sulla figlia più
grande. Mentre con la più piccola il padre, un operaio di mezza età, aveva
tentato una serie di approcci, non abusi consumati. Così ha stabilito il
Tribunale di Oristano che ieri ha condannato un operaio del Terralbese di 55
anni a undici anni di reclusione per violenza sessuale nei confronti delle due
figlie. I giudici gli hanno inflitto una pena perfino più severa di quella
sollecitata dal pm Elisa Marras che aveva chiesto dieci anni.



LE INDAGINI. A denunciare questa squallida vicenda accaduta
nel Terralbese era stata la figlia maggiore, che oggi ha 25 anni e che ne
aveva appena 8 quando il padre per la prima volta aveva abusato di lei. Un
incubo per la giovane che per tutto quel tempo si è tenuta dentro un peso
opprimente e che all'apertura del processo aveva dovuto raccontare ai giudici
i contorni della storia. L'uomo (il nome non viene pubblicato per tutelare le
ragazze) ha sempre respinto le accuse senza capire i motivi di quella vicenda,
finita al centro di una denuncia alle forze dell'ordine. E ieri nella
discussione, il difensore, l'avvocato Andrea D'Andrea (il quale ha annunciato
ricorso in Appello) ha sostenuto che non era possibile che ad aver abusato
della giovane per anni fosse stato il padre. Soprattutto perchè nessuno in
quella casa così piccola si era accorto di niente.



IL RACCONTO. La giovane aveva raccontato di aver subito abusi
sessuali e di aver trovato il coraggio di denunciare tutto alle forze
dell'ordine quando si era resa conto che il padre aveva cominciato a posare
gli occhi anche sulla sorellina, di 7 anni più giovane di lei. Tutto sarebbe
cominciato nel 1990. Una notte, mentre dormiva, la più grande delle due
sorelle (parte civile con gli avvocati Alessandra Borrodde e Stefano Coco) si
era ritrovata il padre nel suo letto e lì si era consumata la prima violenza.
Secondo quanto denunciato, l'abuso si era ripetuto con cadenza bisettimanale
per undici lunghi anni. Ogni volta nella stanza da letto dove, per giunta,
dormiva anche il fratellino. Compiuti i 18 anni, la giovane si era sposata e
aveva continuato a tenersi dentro quella storia. Finché un giorno la sorellina
non le ha raccontato che il padre la osservava insistentemente mentre si
vestiva. Secondo quanto confessato dalla ragazzina alla sorella, ripetuto poi
durante un incidente probatorio nel corso delle indagini, il padre l'avrebbe
invitata a rivolgersi a lui nel momento in cui avesse deciso di avere il primo
rapporto sessuale.

07/07/2007 - di PATRIZIA MOCCI - unionesarda.it

Continue violenze dal marito, donna salva grazie al 113

Per 5 anni vittima degli abusi del coniuge. Giovedì l´ennesima lite stava
per sfociare in violenza sessuale


Quando gli agenti di Polizia sono entrati nell´abitazione,
S.M., manovale bagherese, era in preda ad un raptus di gelosia. Tra le sue mani
la moglie 21enne con lividi al volto e i vestiti letteralmente strappati via.
Sarebbero bastati pochi minuti, secondo gli agenti, per fare sfociare la lite
furiosa in violenza sessuale.



L´uomo, 31 anni, è stato denunciato dalla Polizia ed è al momento indagato. Il
contesto della storia è quello di un matrimonio difficile celebrato dopo 4 anni
di convivenza. La giovane vittima - succube, secondo quanto ricostruito dagli
agenti, dell’autorità del marito - è stata costretta per anni a subire percosse
e abusi di ogni genere, tacendo tutto per amore dei due figli nati nel corso
della relazione.



La notte del 4 luglio, dopo l´ennesima lite, la donna ha scelto di scappare
dalla propria abitazione per trascorrere la notte fuori e fare rientro intorno
alle 6 del mattino. Una decisione che è stata vissuta come un affronto dal
marito, che al suo ritorno ha ritenuto di far valere ancora una volta la sua
autorità: in preda alla gelosia, ritenendo che la donna avesse una relazione con
un altro uomo, ha colpito la moglie al volto fino a strapparle di dosso i
vestiti e tentare di violentarla. Ma la vittima è riuscita a divincolarsi e ad
avvertire il 113. In pochi minuti una pattuglia di polizia è giunta nei pressi
dell´abitazione della coppia, strappando la ragazza dalle mani del marito prima
di assisterla e consolarla.


G.R. - 07.07.2007 - 90011.it

Germania: tasso zero di alcol per i minori di 21 anni al volante

(AGI/AFP) - Berlino, 6 lug. - Tolleranza “zero” all’alcol in Germania per gli automobilisti minori di 21 anni. Il Bundesrat, la Camera alta tedesca, ha approvato il provvedimento che a maggio aveva ottenuto il via libera dal Bundestag, la Camera bassa: dal mese prossimo nel sangue dei giovani automobilisti non dovra’ esserci traccia di alcolici. Secondo il ministro federale dei Trasporti, Wolfgang Tienfensee, la legge mira a eliminare una delle principali cause di incidenti stradali. “Dobbiamo mandare un segnale chiaro, non ambiguo: bere e guidare sono due cose inconciliabili”, ha detto. (AGI)

Lui - 06-07-2007 - trasporti-oggi.it

 Dietro a una patente "a orologeria"

Proteste. Proteste. E ancora proteste. Perché la patente è
sentita come un diritto: così il non dare l'idoneità alla guida, oppure il
condizionarla a frequenti visite mediche, viene considerato come
un'incomprensibile punizione. Quello che non si sa, però, è che in caso di
incidente causato dalla propria patologia - ipotesi che, come vedremo, non è
così remota - l'assicurazione non paga. E si finisce nei guai.



Proteste telefoniche. Il dr. Sergio Lafisca, medico legale, direttore del
Dipartimento di Prevenzione dell'Ulss 12, è al telefono con un mestrino che
protesta perché la commissione cui spetta decidere sull'idoneità alla guida gli
ha sì rinnovato la patente, ma in base al suo stato di salute gli ha imposto di
ripassare tra sei mesi (anziché dieci anni come tutti). Il che implica disagi e
spese: e il cittadino non ci sta. Anzi, protesta perché la sua onestà - ha
segnalato la patologia di cui soffre - viene "punita" con una "patente a tempo";
mentre chi fa il furbo, nascondendo il suo vero stato di salute, mantiene
l'idoneità a prendere in mano il volante. Tanto che si racconta di un vecchietto
con la Porche, che ci vede meno di un pesce degli abissi e ci sente meno di una
vipera, che guida indisturbato passando di incidente in incidente...



Chi scopre i “furbi”. Ma il dr. Lafisca non cede. «L'onestà di chi
dichiara i suoi "malanni" non può essere un motivo per aggirare la legge»,
riflette, «il punto di riferimento non possono essere i furbi». Ma è vero che
rimangono dei problemi aperti: non è compito dell'Ulss andare a scovare chi non
è più potenzialmente in grado di guidare. Ci si imbatte in queste persone il
giorno in cui scade la loro patente di guida, se è una patologia evidente. Ma se
il guidatore è, ad esempio, cardiopatico, o diabetico, e non lo segnala... O se
capita che, appena rinnovata la patente per altri dieci anni, una persona si
ammali a livello neurologico o subisca un'invalidità e si tenga il documento per
la guida per altri nove anni... che si fa?



Dopo un incidente... «Purtroppo oggi questo è un limite», ammette il dr.
Lafisca. «Bisogna trovare il modo per far sì che i medici curanti segnalino la
patologia. Oggi uno esce dall'ospedale con un serio pregiudizio alla guida e può
ancora mettersi al volante. Per legge si dovrebbe segnalare: lo dice il codice,
lo dicono sentenze, la Motorizzazione ha cercato di coinvolgere i medici
eppure... Il fatto è che in questi casi, se c'è un incidente, si potrebbe anche
andare in giudizio». L'assicurazione, infatti, non paga i danni se l'incidente è
causato da una patologia non segnalata dal guidatore. «Ho seguito un caso del
genere in un'altra provincia: un diabetico, con difetti visivi, ha investito una
donna. E' stato incriminato anche chi gli ha dato l'idoneità alla guida».



I numeri. Bisogna tener conto infatti che il numero di incidenti
provocati da patologie del guidatore è relativamente basso (7/8 casi su 1000),
ma diventa importante sui grossi numeri. Sui quasi 250 mila incidenti stradali
con feriti o morti che avvengono ogni anno in Italia, si avrebbero quasi 2000
incidenti causati da patologia del guidatore. Un'ecatombe.



Chi “boccia”. Come dovrebbero andare le cose? Se il medico, durante la
visita per il rinnovo della patente, evidenzia una delle patologie previste dal
codice della strada, non può dare l'idoneità; a questo punto interviene una
commissione medica provinciale, istituita presso l'Ulss capoluogo di provincia
(nel nostro caso appunto Venezia), composta da due medici legali dell'azienda
sanitaria (tra cui appunto il dr. Lafisca) e un medico di quelli abilitati per
le visite per le patenti (che provengono dalle file dell'Esercito, della Polizia
o delle Ferrovie dello Stato). E' questa commissione che può "bocciare"
definitivamente il soggetto o può obbligarlo a periodiche visite per il rinnovo,
per verificare come la malattia evolve.

«Ma il mio medico dice che sto benissimo...», è l'obiezione più comune. «Lo dice
- commenta il medico legale - rispetto alla vita consueta del paziente, se si
tratta di soggetti ben stabilizzati. Guidare un'auto a 130 all'ora è un altro
paio di maniche...».



La soluzione: annullare i costi. Certo, un problema esiste: ed è quello
che fa dopotutto più arrabbiare i cittadini. Il rinnovo della patente, tra
visite e balzelli vari, costa: e doverlo fare ogni 6 mesi invece che ogni 10
anni... «Il fatto è che la patente viene vista dalla legge in maniera
assolutamente superata», spiega Lafisca, «come un fatto ludico e non una
necessità della vita odierna. Io e i medici legali di tutta Italia proponiamo
che questi controlli rientrino nella diagnostica preventiva e siano dunque
gratuiti. Più prevenzione di questa... Le vittime di incidenti stradali,
infatti, sono la maggiore "epidemia" con effetti mortali d'Italia».


Paolo Fusco - Tratto da Gente Veneta, no.27 del 2007 - gvonline.it

 Minori a rischio

Corte di Giustizia europea ha condannato l’Italia per non aver sottoposto, prima della concessione dell’autorizzazione alla costruzione, il progetto della terza linea dell’inceneritore dell’ASM di Brescia alla procedura di valutazione di impatto ambientale.

SENTENZA DELLA CORTE (Seconda Sezione) 5 luglio 2007 (*) «Inadempimento di uno Stato - Valutazione dell’impatto ambientale di determinati progetti - Recupero dei rifiuti - Realizzazione della “terza linea” dell’inceneritore di rifiuti di Brescia - Pubblicità della domanda di autorizzazione - Direttive 75/442/CEE, 85/337/CEE e 2000/76/CE» Nella causa C 255/05, avente ad oggetto un ricorso per inadempimento ai sensi dell’art. 226 CE, proposto il 16 giugno 2005, Commissione delle Comunità europee, rappresentata dal sig. M. Konstantinidis, in qualità di agente, assistito dagli avv.ti F. Louis e A. Capobianco, avocats, con domicilio eletto in Lussemburgo, ricorrente, contro Repubblica italiana, rappresentata dal sig. I.M. Braguglia, in qualità di agente, assistito dal sig. M. Fiorilli, avvocato dello Stato, con domicilio eletto in Lussemburgo, convenuta, sostenuta da Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda du Nord, rappresentato dal sig. T. Harris, in qualità di agente, assistito dal sig. J. Maurici, barrister, interveniente, LA CORTE (Seconda Sezione), composta dal sig. C.W.A. Timmermans, presidente di sezione, dai sigg. P. Kūris, J. Makarczyk (relatore), L. Bay Larsen e J. C. Bonichot, giudici, avvocato generale: sig. M. Poiares Maduro cancelliere: sig. R. Grass vista la fase scritta del procedimento, vista la decisione, adottata dopo aver sentito l’avvocato generale, di decidere la causa senza conclusioni, ha pronunciato la seguente Sentenza 1 Con il suo ricorso, la Commissione chiede che la Corte voglia dichiarare che:
non avendo sottoposto, prima della concessione dell’autorizzazione alla costruzione, il progetto di «terza linea» dell’inceneritore della società ASM Brescia SpA (in prosieguo: la «terza linea dell’inceneritore»), impianto di cui all’allegato I della direttiva del Consiglio 27 giugno 1985, 85/337/CEE, concernente la valutazione dell’impatto ambientale di determinati progetti pubblici o privati (GU L 175, pag. 40), come modificata dalla direttiva del Consiglio 3 marzo 1997, 97/11/CE (GU L 73, pag. 5; in prosieguo: la «direttiva 85/337»), ad una valutazione di impatto ambientale a norma degli artt. da 5 a 10 della citata direttiva, e non avendo reso accessibile al pubblico, in uno o più luoghi aperti al pubblico, per un adeguato periodo di tempo affinché esso potesse esprimere le proprie osservazioni prima della decisione dell’autorità competente, la domanda di autorizzazione all’esercizio della «terza linea» dell’inceneritore di Brescia, e non avendo messo a disposizione del pubblico la decisione relativa a tale domanda e una copia dell’autorizzazione, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi ad essa derivanti dagli artt. 2, n. 1, e 4, n. 1, della direttiva 85/337 nonché dall’art. 12, n. 1, della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 4 dicembre 2000, 2000/76/CE, sull’incenerimento dei rifiuti (GU L 332, pag. 91). Contesto normativo La normativa comunitaria La direttiva 75/442/CEE 2 L’art. 1 della direttiva del Consiglio 15 luglio 1975, 75/442/CEE (GU L 194, pag. 47), relativa ai rifiuti, come modificata dalla decisione della Commissione 24 maggio 1996, 96/350/CE (GU L 135, pag. 32; in prosieguo: la «direttiva 75/442»), ha il seguente tenore: «Ai sensi della presente direttiva, si intende per: a) “rifiuto”: qualsiasi sostanza od oggetto che rientri nelle categorie riportate nell’allegato I e di cui il detentore si disfi o abbia deciso o abbia l’obbligo di disfarsi; (...) d) “gestione”: la raccolta, il trasporto, il recupero e lo smaltimento dei rifiuti, compreso il controllo di queste operazioni nonché il controllo delle discariche dopo la loro chiusura; e) “smaltimento”: tutte le operazioni previste nell’allegato II A; f) “ricupero”: tutte le operazioni previste nell’allegato II B; (...)» 3 L’art. 4 di tale direttiva dispone quanto segue: «Gli Stati membri adottano le misure necessarie per assicurare che i rifiuti siano recuperati o smaltiti senza pericolo per la salute dell’uomo e senza usare procedimenti o metodi che potrebbero recare pregiudizio all’ambiente e in particolare:
senza creare rischi per l’acqua, l’aria, il suolo e per la fauna e la flora;
senza causare inconvenienti da rumori od odori; senza danneggiare il paesaggio e i siti di particolare interesse. (...)» 4 L’art. 9, n. 1, della detta direttiva è formulato nei seguenti termini: «Ai fini dell’applicazione degli articoli 4, 5 e 7 tutti gli stabilimenti o imprese che effettuano le operazioni elencate nell’allegato II A debbono ottenere l’autorizzazione dell’autorità competente di cui all’articolo 6. (...)». 5 L’art. 10 della medesima direttiva così dispone: «Ai fini dell’applicazione dell’articolo 4, tutti gli stabilimenti o imprese che effettuano le operazioni elencate nell’allegato II B devono ottenere un’autorizzazione a tal fine». 6 L’art. 11, n. 1, della direttiva 75/442 prevede quanto segue: «Fatto salvo il disposto della direttiva 78/319/CEE (...) possono essere dispensati dall’autorizzazione di cui all’articolo 9 o all’articolo 10: (...) b) gli stabilimenti o le imprese che recuperano rifiuti. Tale dispensa si può concedere solo:
qualora le autorità competenti abbiano adottato per ciascun tipo di attività norme generali che fissano i tipi e le quantità di rifiuti e le condizioni alle quali l’attività può essere dispensata dall’autorizzazione e qualora i tipi o le quantità di rifiuti ed i metodi di smaltimento o di ricupero siano tali da rispettare le condizioni imposte all’articolo 4». 7 L’allegato II A della direttiva 75/442, intitolato «Operazioni di smaltimento», è inteso a ricapitolare le operazioni di smaltimento così come esse sono effettuate in pratica. In esso si afferma che, conformemente all’art. 4 di tale direttiva, i rifiuti devono essere smaltiti senza pericolo per la salute dell’uomo e senza usare procedimenti o metodi che possano recare pregiudizio all’ambiente. 8 L’allegato II B della medesima direttiva, intitolato «Operazioni che comportano una possibilità di ricupero», mira a ricapitolare le operazioni di recupero così come esse sono effettuate in pratica. Anche in tale allegato si afferma che, conformemente all’art. 4 della stessa direttiva, i rifiuti devono essere recuperati senza pericolo per la salute dell’uomo e senza usare procedimenti o metodi che possano recare pregiudizio all’ambiente. La direttiva 85/337 9 L’art. 1, nn. 2 e 3, della direttiva 85/337 prevede: «2. Ai sensi della presente direttiva si intende per progetto:
la realizzazione di lavori di costruzione o di altri impianti od opere, altri interventi sull’ambiente naturale o sul paesaggio, compresi quelli destinati allo sfruttamento delle risorse del suolo; committente: il richiedente dell’autorizzazione relativa ad un progetto privato o la pubblica autorità che prende l’iniziativa relativa a un progetto; autorizzazione: decisione dell’autorità competente, o delle autorità competenti, che conferisce al committente il diritto di realizzare il progetto stesso. 3. L’autorità o le autorità competenti sono quelle che gli Stati membri designano per assolvere i compiti derivanti dalla presente direttiva». 10 Ai sensi dell’art. 2, nn. 1, 2, e 3, primo comma, della stessa direttiva: «1. Gli Stati membri adottano le disposizioni necessarie affinché, prima del rilascio dell’autorizzazione, per i progetti per i quali si prevede un notevole impatto ambientale, in particolare per la loro natura, le loro dimensioni o la loro ubicazione, sia prevista un’autorizzazione e una valutazione del loro impatto. Detti progetti sono definiti nell’articolo 4. 2. La valutazione dell’impatto ambientale può essere integrata nelle procedure esistenti di autorizzazione dei progetti negli Stati membri ovvero, in mancanza di queste, in altre procedure o nelle procedure da stabilire per raggiungere gli obiettivi della presente direttiva. (...) 3. Fatto salvo l’articolo 7, gli Stati membri, in casi eccezionali, possono esentare in tutto o in parte un progetto specifico dalle disposizioni della presente direttiva». 11 L’art. 3 della detta direttiva stabilisce quanto segue: «La valutazione dell’impatto ambientale individua, descrive e valuta, in modo appropriato, per ciascun caso particolare e conformemente agli articoli da 4 a 11, gli effetti diretti e indiretti di un progetto sui seguenti fattori:
l’uomo, la fauna e la flora;
il suolo, l’acqua, l’aria, il clima e il paesaggio;
i beni materiali ed il patrimonio culturale;

l’interazione tra i fattori di cui al primo e secondo trattino». 12 L’art. 4, n. 1, della medesima direttiva prevede quanto segue: «Fatto salvo l’articolo 2, paragrafo 3, i progetti appartenenti alle classi elencate nell’allegato I formano oggetto di valutazione ai sensi degli articoli da 5 a 10». 13 Al punto 10 dell’allegato I della direttiva 85/337 vengono citati gli impianti di smaltimento dei rifiuti non pericolosi mediante incenerimento o trattamento chimico, quali definiti nell’allegato II A, punto D 9, della direttiva 75/442, con capacità superiore a 100 tonnellate al giorno. La direttiva 2000/76 14 Ai sensi dell’art. 3, punto 12, della direttiva 2000/76, ai fini di questa, si intende per: «“autorizzazione”: la decisione o più decisioni scritte da parte dell’autorità competente che autorizzano l’esercizio dell’impianto a determinate condizioni che devono garantire che l’impianto sia conforme ai requisiti della presente direttiva. Un’autorizzazione può valere per uno o più impianti o parti di essi, che siano localizzati sullo stesso sito e gestiti dal medesimo gestore». 15 L’art. 4, n. 1, di tale direttiva è redatto come segue: «Fatto salvo l’articolo [11] della direttiva 75/442/CEE, o l’articolo 3 della direttiva 91/689/CEE, il funzionamento di qualunque impianto di incenerimento o di coincenerimento è subordinato al rilascio di un’autorizzazione a svolgere l’attività». 16 L’art. 12, n. 1, della direttiva 2000/76, relativo all’accesso alle informazioni e partecipazione del pubblico, è redatto come segue: «Fatte salve la direttiva 90/313/CEE del Consiglio e la direttiva 96/61/CE del Consiglio, le domande di nuove autorizzazioni per impianti di incenerimento e di coincenerimento sono accessibili in uno o più luoghi aperti al pubblico, quali le sedi di istituzioni locali (...), per un periodo adeguato di tempo affinché possa esprimere le proprie osservazioni prima della decisione dell’autorità competente. La decisione, comprendente almeno una copia dell’autorizzazione e di qualsiasi suo successivo aggiornamento, è parimenti accessibile al pubblico». La normativa nazionale 17 L’art. 6 della legge 8 luglio 1986, n. 349, istitutiva del Ministero dell’Ambiente (GURI n. 59 del 15 luglio 1986), ha recepito la direttiva 85/337 nell’ordinamento italiano. Successivamente, l’art. 40 della legge 22 febbraio 1994, n. 146, recante disposizioni in materia di valutazione di impatto ambientale (Supplemento ordinario alla GURI n. 52 del 4 marzo 1994), ha affidato al governo italiano il compito di definire, con apposito atto di indirizzo e di coordinamento, condizioni, criteri e norme tecniche per l’applicazione della procedura di valutazione di impatto ambientale ai progetti inclusi nell’allegato II della direttiva 85/337. 18 L’art. 1, n. 3, del decreto del presidente della Repubblica 12 aprile 1996, intitolato «Atto di indirizzo e coordinamento per l’attuazione dell’art. 40, comma 1, della L. 22 febbraio 1994, n. 146, concernente disposizioni in materia di valutazione di impatto ambientale» (GURI n. 210, pag. 28; in prosieguo: il «DPR») dispone: «Sono assoggettati alla procedura di valutazione di impatto ambientale i progetti di cui all’allegato A». 19 L’art. 3, n. 1, del decreto del presidente del Consiglio dei ministri 3 settembre 1999 intitolato «Atto di indirizzo e coordinamento che modifica ed integra il precedente atto di indirizzo e coordinamento per l’attuazione dell’art. 40, comma 1, della legge 22 febbraio 1994, n. 146, concernente disposizioni in materia di valutazione dell’impatto ambientale» (GURI n. 302 del 27 dicembre 1999, pag. 17; in prosieguo: il «DPCM»), che ha modificato la versione iniziale dell’Allegato A del DPR, è redatto come segue: «Nell’allegato A al decreto del Presidente della Repubblica in data 12 aprile 1996 le lettere i), l) (...) sono sostituite dalle seguenti: i) Impianti di smaltimento e recupero di rifiuti pericolosi, mediante operazioni di cui all’allegato B ed all’allegato C, lettere da R1 a R9, del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22 [GURI n. 38 del 15 febbraio 1997; in prosieguo: il «decreto legislativo»], ad esclusione degli impianti di recupero sottoposti alle procedure semplificate di cui agli articoli 31 e 33 del medesimo decreto legislativo (...). l) Impianti di smaltimento e recupero di rifiuti non pericolosi, con capacità superiore a 100 t/giorno, mediante operazioni di [incenerimento] o di trattamento di cui all’allegato B, lettere D2 e da D8 a D11, ed all’allegato C, lettere da R1 a R9, del [decreto legislativo], ad esclusione degli impianti di recupero sottoposti alle procedure semplificate di cui agli articoli 31 e 33 del medesimo decreto legislativo (...)». 20 Le disposizioni del decreto legislativo, che descrivono le caratteristiche dei rifiuti e le attività che permettono di beneficiare della procedura semplificata, sono state adottate ai fini del recepimento dell’art. 11 della direttiva 75/442. 21 Risulta, in particolare, dall’art. 33, n. 1, del decreto legislativo, che, fatto salvo il rispetto di talune norme tecniche, le operazioni di recupero dei rifiuti possono essere intraprese decorsi 90 giorni dalla comunicazione di inizio di attività alla provincia territorialmente competente. 22 L’art. 33, n. 2, del citato decreto specifica, tanto per i rifiuti non pericolosi, quanto per i rifiuti pericolosi, il contenuto delle norme tecniche. 23 Ai termini dell’art. 33, n. 3, di tale decreto legislativo, la provincia iscrive in un apposito registro le imprese che effettuano la comunicazione di inizio attività e, entro il termine di cui al n. 1, verifica d’ufficio la sussistenza dei presupposti e dei requisiti richiesti. 24 Infine, risulta dall’art. 33, n. 4, del decreto legislativo che, qualora la provincia accerti il mancato rispetto delle norme tecniche e delle condizioni di cui al n. 1, dispone con provvedimento motivato il divieto di inizio ovvero di prosecuzione dell’attività, salvo che l’interessato non provveda a conformare dette attività ed i suoi effetti alla normativa vigente entro il termine prefissato dall’amministrazione. Il procedimento precontenzioso 25 Con lettera del 28 aprile 2003, la Commissione richiedeva informazioni alla Repubblica italiana, in particolare sull’applicazione alla «terza linea» dell’inceneritore delle procedure previste dalle direttive 85/337 e 2000/76. 26 Tale Stato membro precisava, da un lato, di aver escluso il progetto di «terza linea» dell’inceneritore dal procedimento di valutazione dell’impatto ambientale, in quanto esso rientrava nell’eccezione di cui all’allegato A, lett. l), del DPR, come modificato dal DPCM, e, dall’altro, di aver proceduto a diversi atti di pubblicità e a misure di consultazione conformemente all’art. 12 della direttiva 2000/76. 27 Alla luce delle risposte così fornite dalla Repubblica italiana, giudicate insoddisfacenti, la Commissione avviava il procedimento precontenzioso con l’invio di una lettera di diffida datata 19 dicembre 2003. 28 Con lettera dell’8 giugno 2004, le autorità italiane competenti rendevano nota la volontà del gestore della «terza linea» dell’inceneritore di sottoporre quest’ultima, la cui messa in servizio era stata autorizzata nel dicembre 2003, ad una valutazione d’impatto ambientale. 29 In seguito, con parere motivato del 9 luglio 2004, la Commissione invitava la Repubblica italiana ad adottare le misure necessarie per conformarsi, in particolare, agli obblighi derivanti dalla direttiva 85/337 entro un termine di due mesi dalla data di ricevimento di detto parere. 30 In una lettera del 31 gennaio 2005, la Repubblica italiana confermava che il gestore della «terza linea» dell’inceneritore aveva presentato formale richiesta di valutazione dell’impatto ambientale, pubblicata in data 11 dicembre 2004. In seguito, con lettera del 3 maggio 2005, essa produceva taluni documenti sullo stato di avanzamento del procedimento di valutazione in corso e indicava che quest’ultimo era in via di completamento. 31 La Commissione, avendo ritenuto insoddisfacente la posizione adottata dal governo italiano nelle summenzionate lettere di risposta, ha proposto il presente ricorso ai sensi dell’art. 226 CE, secondo comma. Sul ricorso Sulla ricevibilità Argomenti delle parti 32 La Repubblica italiana sostiene che il ricorso della Commissione è irricevibile per mancanza di interesse ad agire da parte di quest’ultima. La Commissione non avrebbe, infatti, alcun interesse ad esigere l’adempimento di un obbligo già adempiuto. Pertanto, in ragione del giudizio positivo circa la compatibilità ambientale della «terza linea» dell’inceneritore che risulterebbe dal decreto interministeriale 3 giugno 2005, adottato a conclusione del procedimento di valutazione avviato nelle condizioni ricordate al punto 30 della presente sentenza, il ritardo nell’effettuazione della valutazione dell’impatto ambientale non avrebbe provocato alcun pregiudizio all’ambiente. Vi sarebbe stata esclusivamente una situazione di illegittimità formale connessa all’assenza di valutazione dell’impatto ambientale, cui sarebbe stato posto rimedio. 33 La Repubblica italiana aggiunge che la Commissione esige il rispetto di obblighi illogici e pertanto ha commesso un eccesso di potere agendo in violazione dei principi di buona amministrazione e di proporzionalità. 34 La Commissione osserva che essa mantiene un interesse diretto, specifico e concreto nella presente causa. A tale proposito, riguardo all’interesse a proseguire l’azione a seguito della violazione della direttiva 85/337, essa sostiene che poco importa che le autorità competenti abbiano effettuato una valutazione dell’impatto sull’ambiente della «terza linea» dell’inceneritore, poiché ciò non risponde agli obblighi della detta direttiva in quanto è prima del rilascio dell’autorizzazione che i progetti che possono avere un notevole impatto ambientale, in particolare per la loro natura, le loro dimensioni e la loro ubicazione, devono essere sottoposti ad un procedimento di autorizzazione e ad una valutazione di tale impatto. 35 Secondo la Commissione, la sola volontà del gestore della «terza linea» dell’inceneritore di sollecitare la sottoposizione di tale impianto ad una valutazione di impatto ambientale, mentre tale impianto era già stato realizzato e messo in funzione, è, di conseguenza, indifferente, in quanto la domanda di valutazione è stata presentata solo il 7 dicembre 2004 e si è proceduto a tale valutazione solo dopo la scadenza del termine impartito nel parere motivato. 36 Peraltro, la Commissione fa osservare che, secondo una giurisprudenza costante della Corte, nell’esercizio delle competenze di cui è investita in forza dell’art. 226 CE, la Commissione non è tenuta a dimostrare il proprio specifico interesse ad agire. Giudizio della Corte 37 Risulta da costante giurisprudenza che, nell’esercizio delle competenze di cui è investita in forza dell’art. 226 CE, la Commissione non è tenuta a dimostrare il proprio interesse ad agire. La Commissione ha, infatti, il compito di vigilare d’ufficio e nell’interesse generale, sull’applicazione, da parte degli Stati membri, del diritto comunitario e di far dichiarare l’esistenza di eventuali inadempimenti degli obblighi che ne derivano, allo scopo di farli cessare (v. sentenze 1º febbraio 2001, causa C 333/99, Commissione/Francia, Racc. pag. I 1025, punto 23; 2 giugno 2005, causa C 394/02, Commissione/Grecia, Racc. pag. I 4713, punti 14 e 15 nonché giurisprudenza ivi citata, e 8 dicembre 2005, causa C 33/04, Commissione/Lussemburgo, Racc. pag. I 10629, punto 65). 38 Peraltro, spetta alla Commissione valutare l’opportunità di agire contro uno Stato membro, determinare le disposizioni che esso avrebbe violato e scegliere il momento in cui inizierà il procedimento per inadempimento nei suoi confronti, mentre le considerazioni sulle quali si fonda tale decisione non possono avere alcuna incidenza sulla ricevibilità del ricorso (v. sentenze 18 giugno 1998, causa C 35/96, Commissione/Italia, Racc. pag. I 3851, punto 27, e Commissione/Lussemburgo, cit., punto 66). 39 A tale riguardo, la Corte è tenuta ad accertare se l’inadempimento contestato sussista o meno, senza che le spetti pronunciarsi sull’esercizio del potere discrezionale della Commissione (v., in particolare, sentenza 13 giugno 2002, causa C 474/99, Commissione/Spagna, Racc. pag. I 5293, punto 25, e Commissione/Lussemburgo, cit., punto 67). 40 In ogni caso, anche supponendo che la realizzazione di una valutazione a posteriori dell’impatto sull’ambiente della «terza linea» dell’inceneritore sia di natura tale da far cessare l’inadempimento censurato, è giocoforza constatare che una valutazione di tal genere non era stata avviata alla scadenza del termine stabilito nel parere motivato, data in relazione alla quale la situazione dello Stato membro deve essere esaminata per valutare l’esistenza di un inadempimento (v., in particolare, sentenza 14 luglio 2005, causa C 433/03, Commissione/Germania, Racc. pag. I 6985, punto 32). 41 Dalle considerazioni che precedono risulta che l’eccezione di irricevibilità relativa alla mancanza di interesse ad agire della Commissione deve essere respinta. Nel merito 42 A sostegno del proprio ricorso la Commissione fa valere due censure. Sulla prima censura, relativa alla violazione degli artt. 2, n. 1, e 4, n. 1, della direttiva 85/337

Argomenti delle parti 43 Secondo la Commissione, la «terza linea» dell’inceneritore, classificata come impianto che effettua operazioni di ricupero ai sensi dell’allegato II B della direttiva 75/442, con capacità superiore a 100 tonnellate al giorno, ricade nell’ambito di applicazione dell’allegato I, punto 10, della direttiva 85/337 e, di conseguenza, avrebbe dovuto essere sottoposta al procedimento di valutazione di impatto ambientale prima di essere autorizzata e poi costruita. La Commissione rileva che, se il progetto non è stato oggetto di una valutazione di impatto ambientale, è a causa della normativa italiana stessa, che non prevede l’assoggettamento ad una tale valutazione degli impianti di trattamento dei rifiuti sottoposti alle procedure semplificate. 44 La Commissione aggiunge che, escludendo dalle procedure di valutazione di impatto ambientale gli impianti che effettuano operazioni di recupero dei rifiuti grazie ad un’autorizzazione concessa con procedura semplificata, il DPCM viola gli obblighi che derivano dalla direttiva 85/337. 45 La Repubblica italiana nega l’esistenza dell’inadempimento censurato e ribadisce, a sua difesa, gli argomenti da essa esposti nella causa che ha dato luogo alla sentenza 23 novembre 2006, causa C 486/04, Commissione/Italia (Racc. pag. I 11025). 46 Così, essa sostiene, in via principale, che, in quanto la «terza linea» dell’inceneritore procede al recupero dei rifiuti ed è sottoposta alle procedure semplificate di cui agli artt. 31 e 33 del decreto legislativo, adottati per recepire l’art. 11 della direttiva 75/442, essa è sottratta alla procedura di valutazione di impatto ambientale. Stabilendo, da un lato, un collegamento tra la direttiva 85/337 e la direttiva 75/442 riguardo ai termini tecnici usati in materia di rifiuti e riferendosi, dall’altro, al testo stesso dell’allegato I, punto 10, e a quello dell’allegato II, punto 11, lett. b), della direttiva 85/337, che menzionano solo la nozione di smaltimento dei rifiuti, la Repubblica italiana ritiene che tale ultima direttiva escluda dal suo ambito di applicazione gli impianti che procedono al recupero di questi ultimi. 47 La Repubblica italiana sostiene anche che la finalità delle modifiche apportate dalla direttiva 91/156 alla direttiva 75/442 era quella di stabilire una terminologia comune e una definizione armonizzata dei rifiuti che permettesse di ravvicinare, sia sul piano comunitario sia su quello nazionale, le differenti norme che concernono i rifiuti. Ne conseguirebbe che, quando la direttiva 97/11 menziona la nozione di rifiuti, i termini e le definizioni che essa impiega debbono essere mutuati dalla disciplina propria di settore, cioè dalla direttiva 91/156. 48 Tale Stato membro aggiunge che, dal momento che in materia di recupero dei rifiuti le emissioni non oltrepassano i limiti autorizzati dalla normativa comunitaria, non è necessario procedere all’applicazione del procedimento di valutazione in quanto il recupero dei rifiuti ha esso stesso l’obiettivo di proteggere l’ambiente. 49 Con memoria di intervento del 7 aprile 2006, il Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord sostiene le conclusioni della Repubblica italiana in merito alla prima censura.

Giudizio della Corte 50 A titolo preliminare, occorre rilevare che, nella citata sentenza 23 novembre 2006, Commissione/Italia, la Corte ha dichiarato che la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi che le incombono in forza degli artt. 2, n. 1, e 4, nn. 1, 2 e 3, della direttiva 85/337, avendo adottato l’art. 3, n. 1, del DPCM, il quale consente che i progetti di impianti di recupero di rifiuti pericolosi e i progetti di impianti di recupero di rifiuti non pericolosi con capacità superiore a 100 tonnellate al giorno, rientranti nell’allegato I della stessa direttiva e che sono oggetto di una procedura semplificata ai sensi dell’art. 11 della direttiva 75/442, siano sottratti alla procedura di valutazione di impatto ambientale prevista ai detti artt. 2, n. 1, e 4, n. 1. 51 L’inadempimento contestato dalla Commissione nella presente censura è solo la conseguenza dell’applicazione ad un caso particolare della normativa nazionale che, come è stato esposto al precedente punto, è già stata considerata contraria al diritto comunitario. 52 Infatti, l’applicazione di tale normativa, che esclude l’assoggettamento alla procedura di valutazione di impatto ambientale degli impianti per il recupero dei rifiuti rientranti nell’ambito di applicazione delle procedure semplificate previste agli artt. 31 e 33 del decreto legislativo, ha avuto il risultato di dispensare dallo studio sull’impatto ambientale la «terza linea» dell’inceneritore, mentre quest’ultima rientra nella categoria degli impianti di smaltimento dei rifiuti non pericolosi mediante incenerimento o trattamento chimico con capacità superiore a 100 tonnellate al giorno, previsti all’allegato I, punto 10, della direttiva 85/337. In quanto tale, la «terza linea» dell’inceneritore avrebbe dovuto essere assoggettata, prima di essere autorizzata, alla procedura di valutazione del suo impatto ambientale, posto che i progetti rientranti nel detto allegato I devono essere sottoposti ad una valutazione sistematica a norma degli artt. 2, n. 1, 4, n. 1, e da 5 a 10 di tale direttiva (v. sentenza 23 novembre 2006, Commissione/Italia, cit., punto 45). 53 Tenuto conto di quanto precede, occorre dichiarare che, non avendo sottoposto, prima della concessione dell’autorizzazione alla costruzione, il progetto di «terza linea» dell’inceneritore alla procedura di valutazione di impatto ambientale prevista dagli artt. da 5 a 10 della direttiva 85/337, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi ad essa derivanti dagli artt. 2, n. 1, e 4, n. 1, di tale direttiva. Sulla seconda censura, relativa ad una violazione dell’art. 12, n. 1, della direttiva 2000/76

Argomenti delle parti 54 La Commissione contesta alla Repubblica italiana il fatto di non aver proceduto alla pubblicazione della domanda di autorizzazione all’esercizio della «terza linea» dell’inceneritore, né a quella del relativo provvedimento d’autorizzazione, e ciò in violazione delle disposizioni dell’art. 12 della direttiva 2000/76. 55 La Repubblica italiana ha sostenuto durante il procedimento precontenzioso che l’art. 12 non si applica alla presente fattispecie in quanto non è stata presentata alcuna domanda di autorizzazione all’esercizio per la detta «terza linea». Quest’ultima è stata oggetto solo di una comunicazione di inizio attività il 24 luglio 2003, in conformità alla procedura stabilita dal decreto legislativo.

Giudizio della Corte 56 Risulta dall’art. 33, n. 1, del decreto legislativo che l’esercizio delle operazioni di recupero dei rifiuti può essere intrapreso decorsi 90 giorni dalla comunicazione di inizio attività alla provincia territorialmente competente. Entro tale termine, ai sensi del n. 3 dello stesso articolo, le autorità provinciali interessate verificano d’ufficio la sussistenza dei presupposti e dei requisiti richiesti perché possa procedersi al recupero. 57 Nella fattispecie, la «terza linea» dell’inceneritore ha formato oggetto, nell’ambito della procedura semplificata istituita dal decreto legislativo, di una comunicazione di inizio attività in data 24 luglio 2003. Tale comunicazione è stata seguita da due decisioni adottate dalle autorità provinciali competenti: un divieto di inizio attività il 21 ottobre 2003 e, successivamente, un’autorizzazione, il 19 dicembre 2003. 58 Risulta peraltro dall’art. 12, n. 1, della direttiva 2000/76 che le domande di nuove autorizzazioni devono essere rese accessibili in luoghi aperti al pubblico per un adeguato periodo di tempo al fine di consentire al pubblico di esprimere le proprie osservazioni prima della decisione dell’autorità competente. Tale decisione, comprendente almeno una copia dell’autorizzazione e di qualsiasi suo successivo aggiornamento, deve essere parimenti accessibile al pubblico. 59 Lo scopo di tale disposizione, come risulta in particolare dal trentunesimo ‘considerando’ della direttiva 2000/76, è quello di assicurare la trasparenza del processo di autorizzazione, permettendo al pubblico di essere coinvolto nelle decisioni da prendere in seguito alle domande relative a nuove autorizzazioni. 60 Pertanto si deve ritenere che la nozione di domanda di nuova autorizzazione debba ricevere un’accezione tale da rispondere pienamente alla finalità perseguita dall’art, 12, n. 1, della direttiva 2000/76. Pertanto, tale nozione deve essere intesa in senso lato come comprendente ogni procedimento assimilabile ad un procedimento per la concessione del permesso o dell’autorizzazione. 61 La comunicazione di inizio attività menzionata al punto 56 della presente sentenza, cui ha dato luogo la «terza linea» dell’inceneritore, alla luce delle sue caratteristiche e in particolare del ruolo riservato alle autorità provinciali, deve essere assimilata ad una domanda di nuova autorizzazione ai sensi della direttiva 2000/76. 62 In quanto tale, la citata comunicazione avrebbe dovuto essere resa accessibile, in uno o più luoghi aperti al pubblico, per un adeguato periodo di tempo affinché il pubblico potesse esprimere le proprie osservazioni dirette alle autorità provinciali competenti prima della scadenza del termine di 90 giorni impartito a queste ultime per verificare se sono soddisfatte le condizioni di legge richieste per poter procedere al recupero. Orbene, è accertato che, in violazione delle disposizioni dell’art. 12, n. 1, della direttiva 2000/76, la comunicazione di cui trattasi non è stata oggetto di alcuna misura di pubblicità. 63 Inoltre, neanche le differenti decisioni adottate dall’autorità provinciale interessata per quanto riguarda la «terza linea» dell’inceneritore, cioè il divieto di inizio attività e l’autorizzazione, menzionati al precedente punto 57, sono state messe a disposizione del pubblico, contrariamente alle prescrizioni dello stesso articolo. 64 Alla luce di quanto precede, occorre dichiarare che, non avendo reso accessibile in uno o più luoghi aperti al pubblico la comunicazione di inizio attività della «terza linea» dell’inceneritore per un adeguato periodo di tempo affinché il pubblico potesse esprimere le proprie osservazioni prima della decisione dell’autorità competente e non avendo messo a disposizione del pubblico stesso le decisioni relative a tale comunicazione insieme ad una copia dell’autorizzazione, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza dell’art. 12, n. 1, della direttiva 2000/76. Sulle spese 65 Ai sensi dell’art. 69, n. 2, del regolamento di procedura, il soccombente è condannato alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché la Commissione ha chiesto la condanna della Repubblica italiana, che è rimasta soccombente, quest’ultima dev’essere condannata alle spese. 66 Conformemente all’art. 69, n. 4, dello stesso regolamento, il Regno Unito sopporta le proprie spese. Per questi motivi, la Corte (Seconda Sezione) dichiara e statuisce: 1) Non avendo sottoposto, prima della concessione dell’autorizzazione alla costruzione, il progetto di una «terza linea» dell’inceneritore appartenente alla società ASM Brescia Spa alla procedura di valutazione di impatto ambientale prevista dagli artt. da 5 a 10 della direttiva del Consiglio 27 giugno 1985, 85/337/CEE, concernente la valutazione dell’impatto ambientale di determinati progetti pubblici o privati, come modificata dalla direttiva del Consiglio 3 marzo 1997, 97/11/CE, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi ad essa derivanti dagli artt. 2, n. 1, e 4, n. 1, di tale direttiva. 2) Non avendo reso accessibile in uno o più luoghi aperti al pubblico la comunicazione di inizio attività della «terza linea» del detto inceneritore per un adeguato periodo di tempo affinché il pubblico potesse esprimere le proprie osservazioni prima della decisione dell’autorità competente e non avendo messo a disposizione del pubblico stesso le decisioni relative a tale comunicazione insieme ad una copia dell’autorizzazione, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza dell’art. 12, n. 1, della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 4 dicembre 2000, 2000/76/CE, sull’incenerimento dei rifiuti. 3) La Repubblica italiana è condannata alle spese. 4) Il Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord sopporta le proprie spese.

07.07.2007 - isolapossibile.it

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