Marocchina si ribella al marito-padrone

Fermo, 26 agosto 2007 - DOPO SEI ANNI di violenze e soprusi, trova il coraggio di ribellarsi al marito e di denunciare la vicenda alla polizia. È la storia di Fatna — così la chiameremo — una marocchina di 36 anni che ha deciso di dire basta alle brutalità del marito e, in segno di protesta, di non concedergli più di avere rapporti sessuali con lei. La decisione ha condotto a un epilogo drammatico e al violento pestaggio della donna, finita in ospedale a causa delle percosse subite per la sua reiterata ribellione. Sulla vicenda, destinata a diventare un controverso caso anche nel mondo islamico, indaga la procura di Fermo che, oltre al processo, potrebbe anche chiedere una misura cautelare di allontanamento dalla casa in cui il marito, un operaio di 40 anni, vive attualmente con la donna.

È UNA VICENDA drammatica, che si sviluppa nel contesto di una famiglia marocchina da oltre dieci anni residente nelle Marche, perfettamente integrata nel tessuto sociale del territorio. Una famiglia perbene composta dal marito operaio, conosciuto da tutti come un buon lavoratore, la moglie casalinga e due splendidi bambini.

LA SITUAZIONE degenera qualche anno fa, quando lui inizia a bere e quindi, sotto l’effetto dell’alcol, a diventare brutale e prepotente. Un atteggiamento che Fatna non accoglie di buon grado, ma che inizialmente accetta per amore e per rispetto della famiglia a cui si dedica con amore. Con il passare del tempo però la situazione peggiora: l’uomo diventa sempre più violento e la picchia anche per futili motivi. La donna è costretta a ricorrere per tre volte alle cure del pronto soccorso di Fermo.

A QUEL PUNTO, in segno di protesta e facendo riferimento agli insegnamenti della sua religione, l’Islam, decide di non consumare più rapporti sessuali con il marito e di non permettergli più di toccarla in alcun modo. Questa decisione alimenta l’aggressività del marito: un violento pestaggio costringe la donna a ricorrere per l’ennesima volta alle cure ospedaliere.

È LA GOCCIA che fa traboccare il vaso e così Fatna, esasperata dalla situazione, decide di denunciare l’accaduto alla polizia. Referti del pronto soccorso alla mano, la donna si presenta in commissariato e racconta la lunga storia di violenze e soprusi. «Lui non si comporta come un buon marito — dichiara Fatna agli inquirenti — e io ho deciso di interrompere qualsiasi tipo di rapporto sessuale, appellandomi ai princìpi della mia religione: l’Islam».

SCATTA l’indagine coordinata dalla procura di Fermo e l’uomo viene denunciato per lesioni aggravate e maltrattamenti continuati in famiglia. Ora il quarantenne nordafricano, come previsto dalla legge per evitare eventuali rappresaglie, rischia di finire sotto processo e di essere colpito da una misura di allontanamento dalla casa in cui vive con la moglie. La vicenda è destinata diventare un caso religioso, nel quale potrebbe essere chiesto anche l’intervento pacificatore dell’imam di Fermo.

INTANTO è intervenuto il consigliere provinciale rappresentante degli immigrati, Mohamed El Fanni, che preferisce non parlare di caso religioso, ma di una situazione socialmente deprecabile: «Non credo che l’imam interverrà se non sarà chiamato in causa dalla famiglia. Ci troviamo di fronte a una storia di rilevanza sociale simile ad altre accadute anche in famiglie cattoliche. Qualsiasi donna, al di là della religione di appartenenza, ha il diritto di valutare la propria situazione familiare e quindi comportarsi di conseguenza». E ancora: «Se esistono problemi nella coppia e la donna reputa di esserne la vittima, è libera di scegliere di rimanere o meno in quel contesto».

PIÙ LAPIDARIO Nour Dachan, presidente nazionale Ucoii (Unione nazionale delle comunità e organizzazioni islamiche in Italia), che preferisce non intervenire sulla questione, invitando i due coniugi a rivolgersi alla moschea più vicina per trovare consiglio.
di Fabio Castori - 26/08/07 - qn.quotidiano.net

Nessun commento:

Basta guerre nel mondo!