«Donne nell'apartheid familiare»

Un appello disperato contro il dilagare dell'Aids in Sudafrica, un urlo contro lo stupro rituale, quello che gli uomini di colore compiono perfino su bambini piccolissimi nella folle convinzione di cacciare la malattia.
"No test, no sex" è lo slogan delle cinque amiche dell'autrice protagoniste di Questo è il mio corpo!, da poco giunto in libreria, (Gorée edizioni, pp. 320, euro 17) di Sindiwe Magona, la scrittrice sudafricana che partendo dal ghetto di Guguletu è riuscita con sacrificio e determinazione a laurearsi per corrispondenza allevando tre figli da single e sgobbando come donna delle pulizie.
64 anni, nel '76 chiamata a Bruxelles al Tribunale internazionale per i crimini contro le donne, poi all'Onu, un master negli Usa in Scienza delle organizzazioni sociali, infine il ritorno a Cape Town, sabato scorso a Otranto la piccola e rocciosa Sindiwe ha ricevuto il premio internazionale Grinzane Terra d'Otranto.
L'autrice, rivelatasi con un libro emozionante, Da madre a madre, sull'omicidio di una studentessa americana a Soweto, punta ora il dito sulla tragica emergenza Aids, che rovescia le intenzioni di Mandela. Già dal 1994 il leader della liberazione e dell'uguaglianza aveva lanciato l'Sos, chiedendo al mondo ricco e alla sua gente di rovesciare una tendenza che poteva rivelarsi letale per il progresso e la dignità. E invece?
Il Sudafrica è la nazione con il più alto tasso mondiale di sieropositivi: oltre 5 milioni, di cui 240 mila sotto i 15 anni, su 45 milioni di abitanti contro i 2.100.000 registrati negli Usa e in Europa. Nel 2005 il 17% della popolazione femminile risultava contagiata contro il 4% di quella maschile. Seicento morti al giorno per Aids. Più del 30% delle donne gravide sono infette.
I personaggi femminili di Sindiwe Magona sono chiusi nella morsa di un apartheid reale. È l'apartheid dei diritti che colpisce indifferentemente vecchie, giovani, colte, analfabete, sposate, single, metropolitane, contadine, povere, benestanti, professioniste, casalinghe, domestiche. Coprotagonista delle sue storie è Cuguletu, una delle sei township nella periferia di Capetown, dove più alto è il tasso di criminalità.

Magona, il suo libro esce in Italia prima che in Sudafrica. Come reagiranno nel suo Paese?
«Avevo paura a scrivere, ma ero triste e arrabbiata quanto basta per farlo. Per le donne vivere in Sudafrica oggi è peggio che stare in zone di guerra, ma quando la guerra è dentro la tua casa dove non sei sulle difensive, il tuo dio cade. Cerchi amore e protezione, trovi violenza e abusi. E in casa non ti aspetti che la famiglia, l'amico, il marito, il compagno, l'amante o il vicino ti uccida».

Com'è cambiato il Sudafrica dopo la fine della segregazione razziale?
«Posso andare in giro sicura che la polizia non mi fermi per chiedermi il pass, quindi c'è maggiore libertà di movimento. Non c'è più parte della popolazione reclusa nel luogo dove è nata. C'è libertà e speranza, ma non quanta ne avevamo nel '94. E c'è delusione perché il cambiamento in gran parte è rimasto sulla carta senza vera trasformazione sociale. E invece è proprio di questo che c'è bisogno e che forse sarà la rivoluzione prossima. Ci siamo disfatti dell'apartheid, ma i dislivelli con i bianchi anche nella scuola rimangono alti. Questo ha in buona parte ucciso la speranza».

E il flagello dell'Aids rimane lontanissimo da una soluzione accettabile.
«L'Aids è un terribile problema ed esiste ancora la superstizione che avere rapporti sessuali con un bambino maschio o femmina vergine liberi dal male. Addirittura sono state fatte violenze perfino su neonati di quattro mesi. Ma c'è pure la verginità di ritorno, quella che assurde credenze attribuiscono alle donne anziane da tempo inattive sessualmente. E' orribile, anche le nonne sono vittime della violenza da parte dei propri nipoti. E naturalmente la maggioranza degli stupri avviene dentro le famiglie».

Come risponde la politica?
«Sulla carta abbiamo buone leggi, ma la polizia non vigila come dovrebbe e in tribunale le vittime dello stupro diventano colpevoli come se la donna stessa lo avesse cercato. Il giudice vuol sapere da lei quali siano le sue abitudini sessuali fino al paradosso di rilasciare i colpevoli. L'azione politica contro questo crimine che è diventato una pandemia è assolutamente ridicola».

Per questo affida a cinque voci femminili il messaggio di indipendenza e di liberazione di questo suo libro intestato alla dignità del corpo?
«Proprio così anche se ho scritto cose che succedono realmente alle donne. Che non hanno il potere di negoziare il loro spazio sessuale all'interno della coppia. E come risultato della loro fedeltà muoiono di Aids. E' orribile leggere sui giornali di una donna che giustifica che il suo uomo stupri la figlia con il fatto che ha dato loro cibo e casa.
Così com'è difficile oggi trovare un uomo che non abbia bambini fuori dal matrimonio».

Cosa ha prodotto una degenerazione del genere scambiata per libertà sessuale?
«E' come se le donne avessero accettato di essere considerate spazzatura. Quando ero bambina la maggior parte dei padri non avevano figli al di fuori del matrimonio; oggi è la norma anche a causa della legge sui migranti che fa sì che per undici mesi l'anno l'uomo lavori lontano da casa sicché ha una moglie in città e le altre altrove, figli in città e figli altrove che non si incontreranno mai e in gran parte cresceranno senza padre andando ad ingrossare le file della criminalità».

Con una bella immagine, lei dice: sono troppo vecchia ormai per fare figli e così faccio libri. Ma poi chi li legge?
«Alcuni miei libri sono letti a scuola. Ma la maggior parte delle persone di colore non legge affatto. Spero che Questo è il mio corpo! provochi una discussione con gli uomini di colore ma soprattutto che le donne comincino a parlare tra loro e capiscano che la vita è molto più importante dell'amore sessuale o che non ha nessuna importanza se a 25 anni una donna è considerata male perché non ha ancora figli».


di SERGIO BUONADONNA - 13/12/07 - liberta.it

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