Sesso e droga nel paese dei balocchi

TORINO
Il Grande Ufficiale Conte Mario Bagno nacque a Vercelli il 24 febbraio 1901. Dopo il matrimonio con Edmea Beretta, si affermò come impresario edile, specializzandosi nelle realizzazione di strade e infrastrutture. Acquistò il borgo di Consonno negli Anni 60, a 22.500 lire. Nel 1961 il consiglio comunale di Olginate approvò il primo progetto: la costruzione di una strada. Bagno lasciò l'area in eredità alla società di famiglia, all'epoca controllata dai due figli, Maria Teresa e Osvaldo. Da città del divertimento a ghost town. Dalla stradina tutta tornanti, che si arrampica da Santa Maria Hoè al borgo di Consonno, passa al massimo una macchina per volta. Quindici chilometri di prati e boschi di castagno. Poi, svoltata l’ennesima curva, il panorama si apre all’improvviso: un portone decadente in stile medievale conduce a quel che resta della «Città dei balocchi».

Paese fantasma, sospeso sui pendii verde smeraldo che scendono verso «quel ramo del lago di Como». Che non è quello di villa D’Este e di George Clooney, ma il cugino lecchese. All’orizzonte la cresta frastagliata del Resegone. Per gli occhi pagode in stile cinese, minareti arabeggianti, fontane rinascimentali. Per le orecchie un silenzio quasi spettrale. Con le colonne doriche che si sgretolano sotto il sole, l’asfalto aggredito dalle erbacce e i vetri delle finestre distrutti. E’ quel che resta di Consonno, frazione di Olginate, la Las Vegas della Brianza, cittadella del divertimento costruita mattone dopo mattone, e stravaganza dopo stravaganza, negli Anni 60. Creatura, ma forse sarebbe meglio mostruosità, partorita dalla fervida immaginazione del commendator Carlo Bagno, imprenditore biellese trapiantato a Milano. Fino ad allora magnate delle betoniere, del cemento e delle strade provinciali.

Bagno aveva capito che il boom economico avrebbe portato ricchezza. E che la vera svolta non sarebbe stata rispondere alle esigenze dei consumatori, ma crearle. Sognava un parco dei divertimenti per la Milano del dopoguerra: spettacoli notturni, feste danzanti, giochi d’acqua, fuochi artificiali. A metà fra un tempio votato allo shopping e un casinò, con un retrogusto di decorazioni kitsch e pacchianità. Arte e spettacolo, un po’ Walt Disney un po’ Silvio Berlusconi, quando ancora bazzicava le navi da crociera. Il sogno è durato il tempo di due album dei Dik Dik, uno dei tanti gruppi che si contendevano il palcoscenico della sala da ballo. Oggi della gloriosa balera rimane solo un’insegna al neon blu, barcollante fra una colonna del porticato e l’altra. Come tutto il resto.

«Il conte Carlo Bagno era un uomo particolare - racconta Roberto Milani, ultima sentinella del borgo con la sua famiglia -. Si svegliava la mattina e faceva costruire un arco sormontato da un cannone napoleonico. Il giorno dopo non lo convinceva più. E lo faceva abbattere. Nei suoi progetti la cittadella sarebbe dovuta crescere anno dopo anno». Campi da calcio, piscine, campi da tennis e poi un minigolf, un piccolo circuito automobilistico, una pista da pattinaggio e uno zoo. Probabilmente Bagno stava esagerando. Una frana, causata proprio dai lavori di costruzione, che avevano deturpato la collina, bloccò l’accesso al «Paese dei balocchi». L’inizio della fine. La burocrazia esigeva i suoi tempi, il compromesso con il Comune per costruire una nuova strada non arrivava e gli Anni 70 avanzavano al ritmo della Premiata Forneria Marconi. La Milano da bere era alle porte: la musica, e il via vai di Alfette e di 128 Rally, abbandonarono il piccolo borgo a se stesso. I cartelli di benvenuto - «A Consonno il cielo è più azzurro», «A Consonno è sempre festa», «Consonno è il paese più piccolo ma più bello del mondo» - rimasero ad arrugginirsi sul bordo della strada.

La «ghost town» diventò meta di qualche affezionato del genere horror, di coppiette in cerca di intimità e di ragazzi a caccia di un po’ di adrenalina a buon mercato, sulle orme dei Goonies. Nel frattempo gli avvocati della «Immobiliare Consonno Brianza» e i consiglieri comunali di Olginate cercano di trovare il bandolo della matassa, di riqualificare il belvedere sul lago di Como. Anche le associazioni ambientaliste cominciano ad alzare la voce. Nulla da fare: tutto rimane così com’è. Nel 1981 decidono di ristrutturare una parte del Grand Hotel Plaza per costruirci una casa di riposo per anziani: la «Associazione servizio anziani di Consonno». Infermieri e degenti dell’ospizio rimarranno nel paese per oltre 20 anni, ultimi custodi di questo microcosmo spettrale.

Nel maggio 2007 la decisione di trasferire anche la casa di cura a Introbio, nella vicina Valsassina. Tutto finito? No. La «ghost town» torna ad essere un’attrazione, ma per un pubblico diverso. Negli ultimi mesi Consonno è diventata una delle mete per organizzare «rave» e festini «after hour». «Non è rimasto più nessuno e non vediamo niente di buono - continua Roberto Milani -. Anzi, c’è sempre più spesso gente che viene qui la notte a fare un casino bestiale. Rave, o come li chiamano: droga, alcool e musica a tutto volume». La voce si sparge su Internet, tramite i blog e gli sms: arrivano a centinaia da tutto il Nord Italia. Due mesi fa, esasperati, i Milani hanno chiamato i carabinieri. E’ arrivata una gazzella, ma i ragazzi erano quasi 2 mila. Ogni weekend le stesse scene. «Mi tocca stare sveglio a fare la guardia perché vogliono distruggere quel poco che è rimasto. Ho parlato con gli avvocati dei proprietari, ma loro se ne lavano le mani». Poche settimane, e anche l’ospizio è stato sventrato e ricoperto di graffiti.

Pinocchio l’aveva pagata cara: raggiunto il paese dei balocchi, si era trasformato in un asino. Per sua fortuna, a toglierlo dai guai, c’era sempre la fata turchina. A Consonno la fata non si è mai fatta vedere. E il paese dei balocchi è rimasto dov’è. Pericolosamente in bilico fra realtà e immaginazione, come un’Atlantide di provincia condannata per l’eternità.


27/08/07 - FRANCESCO MOSCATELLI - lastampa.it

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