Abbandono delle comunità non è un fallimento

CROCE: "L'ABBANDONO DALLE COMUNITÀ NON È UN FALLIMENTO"


"L'abbandono dei malati da gioco d'azzardo patologico dalle comunità terapeutiche non è un fallimento, anzi. È un motivo in più per lavorarci e migliorare la terapia. Ogni tipologia di dipendenza ha delle fasi di abbandono e ricaduta, e spesso il paziente rientra in comunità per continuare la cura". Mauro Croce, presidente di Alea (Associazione per lo studio del gioco d'azzardo e dei comportamenti a rischio), commenta così il fenomeno riscontrato dalle strutture che curano le dipendenze, tra cui anche quelle da gioco d'azzardo. "I malati da gioco patologico avvertono poi un sentimento di diversità rispetto ai pazienti dipendenti da droga o alcol: non c'è una sostanza cui attribuire il loro male e dopo qualche giorno passato in comunità si sentono in grado di tornare alla vita di tutti i giorni". Rispetto a chi è in comunità per curare le tossicodipendenze o l'alcolismo, i malati da gioco non necessitano infatti di terapie farmacologiche specifiche e questo provoca un'ulteriore difficoltà nel riconoscere la propria dipendenza come un problema sanitario. "Il fatto è che purtroppo, in Italia, non esistono ancora strutture destinate alla sola cura della dipendenza da gioco. In alcuni casi ci si appoggia ai Sert delle Asl, dove vengono curate molteplici dipendenze. C'è già molta difficoltà da parte dei malati da gioco a riconoscere nel proprio disturbo una patologia, e anche se poi decidono di fare il grande passo, molti non accettano il fatto che la loro dipendenza debba essere curata e seguita come le altre".


04/10/07 - giocoegiochi.com

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