Ecstasy in stanze nere, coca nei privée

Le discoteche e quegli arredi per la droga «Ecstasy in stanze nere, coca nei privée»


Il progettista Beppe Riboli: la notte è cambiata, come i locali


MILANO — Beppe Riboli, le piacciono le discoteche?
«Certo, sono la mia palestra di creatività. Ma non mi piace il degrado che in molti casi hanno raggiunto, e quel classismo discriminatorio m'innervosisce».

Scusi, ma lei non è stato premiato, per il quinto anno consecutivo, come «miglior progettista della notte »?
«"Notte" e "discoteca" non sono più sinonimi».

Sta dicendo che la discoteca è un simbolo, ma c'è ben altro intorno?
«E' così. Ci sono i disco-bar: cinquantamila, credo di aver progettato il primo in Italia, vent'anni fa. Poi ci sono i lounge-bar, più soft. Poi i risto- bar, dove si mangia. Poi i disco- risto, dove si cena. Poi i beach- bar, importati dalla Florida e dalla Spagna. Poi le hall degli hotel. Poi i bar dei negozi fashion. Poi i live spaces, dove mangi e ascolti musica dal vivo. Sono tutti locali low-cost, dove non si paga l'ingresso e stanno affossando le discoteche. Poi i lap-dance, in crescita esponenziale: 200 solo sul Garda».

Sarà l'aria del lago.
«Comunque in Italia abbiamo ancora la più alta concentrazione di discoteche. Cinquemila, contro mille negli Usa o in Inghilterra. Fra tre anni saranno la metà. La notte italiana è un viaggio. Si parte dall'aperitivo, la discoteca è solo l'ultima tappa, dove si arriva già carichi. Dopo, c'è solo il camioncino che vende panini ».

Quindi gli imprenditori della notte reagirebbero male, se venisse imposta una chiusura anticipata, come in altri Paesi. Perché questo ridurrebbe il mercato. Il cliente lo volete spremere dalle otto di sera alle quattro del mattino.
«Ma lo trattiamo bene. Da quando c'è il divieto di fumo, è cambiata la logica progettuale dei locali. Prima la luce utilizzava la barriera del fumo. Adesso il corpo illuminante diventa elemento scenico. I bar, sedie e tavoli, divani, tessuti assumono risalto e significato, perché improvvisamente visibili. Oggi la logica è vedere ed essere visti, in discoteca come nel ristorante».

Chi sono i protagonisti della notte italiana?
«I trentenni single d'assalto, coi soldi in tasca, le ragazzine, le auto esagerate. Ricordano in peggio i play-boy degli anni Sessanta. Sono appariscenti, volgari, griffati sin nelle mutande (metti che... ). Vogliono farsi notare a tutti i costi. Ecco spiegati i privée: sono recinti privilegiati, rialzati, con tavoli, divani e lampade di design, con l'immancabile bottiglia di Havana o di champagne e l'imperiale di frutta».

Una fauna interessante, di cui lei non sembra avere grande stima.
«Se è per quello, c'è di peggio. Prendiamo i quarantenni. Si aggirano aggressivi e carichi di soldi, su macchine potenti e cattive, di solito sono in coppia. Single (o con la fidanzata storica a casa), separati o divorziati, hanno riscoperto il mondo della notte, che li ha accolti a braccia aperte. Sono loro il nuovo business. Privée, super privée, tavoli, fiumi di Kristal, ragazze-immagine, tutto è al loro servizio».

Che lavoro fanno?
«Di solito liberi professionisti o manager, ma anche artigiani dell'ultima generazione, magari fabbri o falegnami, con la fabbrichetta che lavora con il Cad e le macchine a controllo numerico. Le donne sono molto più giovani, disponibili, sempre tiratissime, tacco, mini, scollature. Di solito provengono dall'entourage lavorativo del capo-branco. Quindi dentista con le infermiere, il manager con le segretarie, il capo della ditta con le impiegate o le operaie».

Esiste ancora l'acchiappo da discoteca?
«No: troppa fatica. Ecco perché va tanto la lap-dance: vengono loro, le ragazze. Non gratis, ovviamente ».

Ha parlato del divieto di fumo. Com'è possibile che le sigarette siano (finalmente!) vietate, e la droga circoli facilmente?
«La droga è un problema serio. Nella logica asettica del progetto dico provocatoriamente: oggi le discoteche sono arredate anche per il tipo di stupefacenti che si consumano. Gli enormi stanzoni neri per l'ecstasy hanno lasciato il posto ai privée della cocaina, con pista da ballo piccolissima e tanto colore bianco».

Però io sfoglio riviste del settore e non trovo accenno alla droga: come se non esistesse. Poi un figlio di amici — 17 anni — torna da Riccione e mi dice che nel celebre locale gli hanno offerto droga DIECI volte in una serata.
«Certo: l'industria della droga adesso punta sui ragazzini. La bustina di coca adesso è in vendita a 20 euro. Chi non li ha, 20 euro?».

Chi dobbiamo ringraziare per questo?
«Non so. Ma guardo la tv e mi chiedo come sia possibile quello che vedo (il Tg di Italia 1 è micidiale). Kate Moss con quel povero pirla del suo fidanzato. E che fighi che sono! Lei tira di coca e le hanno aumentato i contratti. Tu impiegatina della dittarella, tu piccolo giovane manager di poche speranze: potete essere come loro, santificati e glorificati da TV e giornali! Potete bypassare il lavoro, la fatica, l'impegno e lo studio. Sono certo che con Kate Moss il consumo di coca sia schizzato a livelli mai visti. I media si devono interrogare sulla gestione di questa cosa, è indegna».

Descriva una vittima di Kate Moss.
«La segretaria del professionista di una città di provincia che, il sabato sera, va con l'amica a farsi la striscia ai servizi».

Lei fa uso di stupefacenti?
«I creativi che si drogano sono pile a esaurimento: finita la carica, si buttano».

Non è patetico — e una forma di sfruttamento dei minori — vedere in giro ragazzini di 14 anni che fanno i «pierre» delle discoteche, cercando di accalappiare i coetanei?
«E perché? E' un modo di creare i manager di domani».

E gli adulti che bevono come spugne e poi si mettono in macchina? I manager di oggi, con quello che guadagnano nei locali, dovrebbero contribuire a fermare questi idioti al volante.
«Io sono per l'arresto immediato e il ritiro a vita della patente a chi guida ubriaco o sotto l'effetto di droghe. Non sono un bacchettone, anzi. Sono radicale e credo nella libertà: ognuno può rovinare il proprio corpo come meglio crede, ma deve rispettare le leggi e vita degli altri. Lo Stato deve essere chiaro e duro ».

Se così fosse, caro Riboli, quanti locali italiani resterebbero aperti, stanotte?




Beppe Severgnini - 12 agosto 2007 - corriere.it

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