Cogne, così falsificarono le prove

«Pur sapendolo innocente, hanno accusato Ulisse Guichardaz dell’omicidio del piccolo Samuele». Il capo di imputazione del «Cogne-bis» - appendice storica del processo principale ad Annamaria Franzoni - suona pesantissimo nella sua stringatezza. Per quanto i fatti siano tutti noti da tempo, l’avviso di conclusione dell’inchiesta ricevuto ieri dagli 11 indagati riapre una pagina fra le più oscure di tutto il caso.

Nessuno più discute che l’impronta dell’assassino sulla porta della stanza del delitto sia di un consulente della difesa. Dirlo così non fa però l’effetto che consegna l’atto del procuratore capo Marcello Maddalena, dell’aggiunto Maurizio Laudi e dei pm Anna Maria Loreto e Giuseppe Ferrando. Accusando di calunnia e frode processuale i coniugi Lorenzi-Franzoni, il loro primo difensore, l’avvocato Carlo Taormina, e alcuni dei loro più stretti collaboratori, i magistrati torinesi scrivono: «Apposero, agendo materialmente il Dürst (fotografo svizzero, ndr.), impronte digitali sulla porta della camera da letto matrimoniale dei coniugi Lorenzi e 35 false tracce sul pavimento del garage. E le utilizzarono nelle denunce di Guichardaz, al fine di richiedere alla magistratura ulteriori perizie sulle impronte e sulle tracce da loro stessi apposte». Nella migliore delle ipotesi per la difesa: un pasticciaccio mai visto in un’indagine difensiva. Le indagini si sono orientate sul dolo: «Il Taormina presentò un’integrazione della prima denuncia contro Guichardaz ad una settimana dal sopralluogo dei suoi tecnici (notte fra il 28 e il 29 luglio 2004, ndr.). Per dare atto degli ulteriori risultati delle comparazioni delle impronte digitali della Franzoni con quelle rinvenute dai propri consulenti sulla porta della camera da letto. Si escludeva che fossero della Franzoni e si affermava che erano a “forte vocazione di appartenenza dell’assassino”...».

La procura torinese ricorda che i consulenti della difesa scrissero su quelle tracce: «Prendono origine dalla stanza in cui Samuele fu ucciso e proseguono per le scale giungendo sino al garage e alla porta d’uscita». La difesa richiese subito «accertamenti urgenti per verificare l’esistenza di tracce ematiche correlabili a Samuele sugli indumenti, scarpe, automobile, abitazione ed ogni altro luogo collegabile a Guichardaz».

Il 19 luglio 2004 Annamaria Franzoni fu condannata in primo grado a 30 anni di carcere. Fu una botta durissima e inattesa. Si decise di far proprio il dossier Gelsomino e si puntò sul sopralluogo nella villetta di Cogne. Da mesi Taormina ripeteva di conoscere il nome del «vero assassino». Di questa storia è anche noto come si concluse la perizia disposta dal gip Pier Giorgio Gosso sulle tracce di Ulisse: con l’infortunio dell’idrossiapatite «di origine chimica» scambiata come la prova regina del dolo dei consulenti di Taormina, in realtà prodotto di deiezioni animali. Mutato lo scenario della difesa, uno dei nuovi avvocati dei Lorenzi, Paolo Chicco, si sente di dire di questo avviso di conclusione delle indagini: «E’ un atto dovuto che non pregiudica alcuna successiva scelta della procura, nemmeno quella dell’archiviazione».


15/09/07 - lastampa.it

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