L'educazione mancante

di Elvira Naselli

Si torna tra i banchi e anche quest'anno sono molte le campagne che i ministeri (Politiche Agricole, Salute, Sport, Pubblica Istruzione) hanno messo a punto per migliorare complessivamente la qualità di vita degli studenti: campagne antiobesità e di educazione alimentare, di prevenzione delle dipendenze, come alcol e droghe, di educazione stradale, antibullismo, ma anche incentivi per lo svolgimento di attività fisica (con detrazioni fiscali). Ancora una volta, però, la grande assente è l'educazione sessuale, che pure faceva timidamente capolino nella riforma Moratti con una più ambigua "educazione all'affettività". Quasi dieci anni fa, l'8 gennaio del 1998 (vedi in alto) Salute annunciava l'impegno degli allora ministri della Solidarietà sociale, Livia Turco, e della Pubblica Istruzione, Luigi Berlinguer, per accorciare i tempi e rendere l'educazione sessuale obbligatoria. E invece, dopo più nove anni, non solo non è obbligatoria, ma non se ne parla più.

Senza fare raffronti con la Svezia, dove è obbligatoria dal 1955, è bene ricordare che si studia educazione sessuale anche in paesi con una forte componente cattolica, come la Spagna o la Polonia. L'Italia è rimasta ultima e nulla fa pensare che la situazione possa cambiare a breve. Oggi, sempre più spesso, i ragazzi sono catturati da internet e subissati di messaggi sbagliati, subdoli, se non da vera pornografia o peggio ancora. Ci sarebbe un gran bisogno di chiarezza, di spiegazioni scientifiche ma non maliziose, di informazioni "tradotte" in un linguaggio appropriato. Un compito delicato, che la famiglia quasi mai assolve. E allora, quale migliore contesto della scuola?"In famiglia si parla pochissimo", premette Elvira D'Alò, pedagogista clinica, dieci anni di esperienza didattica a Brindisi, "men che meno di educazione sessuale. Spesso poi i genitori si sentono in imbarazzo e mentono, il risultato è che i ragazzi le domande le fanno agli amici, o navigano in rete o, peggio, comprano giornali pornografici. Noi seguiamo un modello messo a punto dall'Irf da più di 20 anni: i nostri incontri con gli studenti sono sempre preceduti da riunioni con i genitori. Ai dubbi dei ragazzi bisogna dare delle risposte, senza malizia e imbarazzi, con molta chiarezza. Le domande più frequenti? I maschi ne fanno tante sull'omosessualità, per esempio come si fa a sapere se si è gay oppure no, e sulle misure del pene. Le ragazze si preoccupano invece di restare incinta, anche solo con un bacio o con un abbraccio appassionato".Ma come funziona una "lezione"? "Incontriamo le classi, in genere terze o seconde medie, ma abbiamo fatto esperimenti anche alla primaria, una o due volte alla settimana", continua D'Alò, "e affrontiamo alcuni argomenti, lasciando sempre molto spazio alle domande. Ovviamente partiamo da com'è fatto il nostro corpo, utilizzando 16 belle tavole a colori studiate per i ragazzi, ma poi continuiamo affrontando temi cone il concepimento, la contraccezione, con tutti i metodi, naturali e non, l'aborto, il ciclo mestruale. Ma i ragazzi ci fanno molte domande sugli stupri, sul sesso a pagamento, sulla pedofilia, su quando si diventa uomini e donne, sulla prima polluzione e la prima mestruazione, e sulla "prima volta". Ci chiedono quando è giusto fare l'amore e noi cerchiamo sempre di far capire che la cosa più importante è scegliere, che non si deve fare soltanto perché l'hanno fatto tutti gli amici".

Un argomento particolarmente spinoso quello della prima volta, conferma Franca Ciofi, insegnante di matematica e scienze, da 20 anni alla media di Borghetto Santo Spirito (Savona), antesignana dell'educazione sessuale nelle scuole, visto che ha cominciato nel 1979. "I ragazzi sono circondati da sesso", racconta, "ma ne sanno poco e sono insicuri, anche se spesso hanno atteggiamenti provocatori per mettere in imbarazzo gli insegnanti. Per insegnare educazione sessuale ci vuole un pò di esperienza, ma anche di ironia bonaria. Bisogna mettersi un po' in gioco, ma anche trovare il linguaggio adatto, e affrontare il sesso come si tratterebbe un'ulcera duodenale. Ma è importante anche saper parlare di affetto, amicizia, amore, spesso i ragazzi confondono l'amicizia totalizzante per un coetaneo dello stesso sesso per omosessualità o pensano di dover fare l'amore soltanto perché l'hanno già fatto tutti o perché se non lo fanno, la storia finisce. Questi ragazzi con i genitori non parlano e io credo sia importante che invece riescano a farlo a scuola, e che la scuola insegni a pensare ai valori, a non sprecarsi per conformismo. E insegni loro anche a capire ed accettare la diversità, sia quella sessuale che culturale. Per questo studiamo anche i diversi comportamenti sessuali degli altri, per capirli e accettarli, o per condannarli, come è successo quando abbiamo parlato di infibulazione".


06/09/07 - repubblica.it

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