''La verità non si doveva sapere''

di Marco Zavagli

“Erano le 10.30. Arrivarono tre poliziotti. Due in divisa e uno in borghese. Era Nicola Solito, nostro amico di vecchia data. Aprimmo la porta per dire qualcosa ma le parole ci rimasero in bocca. Il suo viso era più eloquente di qualsiasi parola”. È il 25 settembre 2005 e gli Aldrovandi stanno cercando da ore il loro figlio Federico, 18 anni, che non è ancora rincasato. Sarà quel loro amico di famiglia a dirgli che Federico non tornerà.

E le ore precedenti sono fatte di angosciosa attesa per quel figlio che non rincasava e quel letto vuoto, “intatto come era stato lasciato la sera prima”. È Lino, il padre, ad accorgersene la mattina. Sono le 7.15 e fa chiamare Federico dalla moglie. Nessuna risposta. Dopo diversi tentativi prova con il suo cellulare (“nel display di Federico Patrizia era registrata come “mamma”, io ero “Lino””). Risponde una voce che chiede di qualificarsi e spiega che “avevano trovato il cellulare di mio figlio sopra una panchina in via Ippodromo e che stavano facendo degli accertamenti”. “Poi nulla – continua Lino -; ho richiamato ma nessuno rispondeva più; anche in questura non sapevano darci spiegazioni”. Poi alle 10.45 arrivano i tre poliziotti.

Inizia così il calvario della famiglia Aldrovandi. Un calvario che Patrizia Moretti e Lino Aldrovandi ricostruiscono passo dopo passo davanti al giudice nel corso della seconda udienza che vede quattro agenti di polizia imputati per l’omicidio colposo del loro figlio.

Allora la prima versione parlò di un malore, versione “contraddetta” da un titolo sul “Carlino” locale che scriveva “Federico era sfigurato”.

“Fummo convocati in questura – racconta la madre -; pensai che il questore volessi darci il proprio conforto, allora non sapevamo ancora delle percosse; solo mio cognato aveva visto Federico e aveva pensato che fosse stato investito da un camion”. “E invece in Ercole d’Este – continua Moretti – ci hanno chiesto perché avevamo dato quella versione alla stampa. Il questore di allora ci disse che avevano parlato di un “malore” in occasione della morte di mio figlio solo per farci un favore, “quasi fosse uno di noi”; disse anche che i quattro agenti avevano subito delle ferite ma non si sarebbero rivalsi contro la nostra famiglia”.

“Sapeva benissimo che non era così. Evidentemente – aggiunge lapidaria la madre – la notizia non doveva trasparire, la verità non si doveva sapere”.

I genitori in quel momento non sanno ancora nulla dei manganelli e della violenta colluttazione ingaggiata da Federico in via Ippodromo con Enzo Pontani, Luca Pollastri, Monica Segatto e Paolo Forlani. Fu l’ispettore della Digos Nicola Solito, loro amico di famiglia, a suggerire l’ipotesi che – come riporta la Moretti – “se fosse mio figlio mi rivolgerei a un avvocato e a un medico legale”.

Ed è lo stesso Solito qualche giorno dopo la morte del ragazzo a chiamarli per dirgli, secondo le parole riportate dalla madre, “liberatevi di quell’avvocato (che lui stesso aveva consigliato, ndr) che fa confusione”, per poi dare un messaggio del tutto contraddittorio come “comunque sono un padre anch’io e fate quello che vi dice il cuore” (parole sempre riportate dalla Moretti).

Poi ci fu l’incontro con il questore di allora, Elio Graziano, “che negò – ricorda Moretti – che ci furono delle percosse prima ancora che venisse fatta l’autopsia; il nostro medico legale invece ci disse che si vedevano lividi dappertutto”. “Poi arrivò il capo della squadra mobile – aggiunge – a dirci che sono cose che succedono anche nelle migliori famiglie; da lì abbiamo avuto la netta sensazione che si parlasse di droga e di morte per overdose”.

Queste le fasi salienti delle testimonianze rese dai genitori di Federico Aldrovandi, seguite poi da quelle dei suoi amici, che si sono protratte dalle 9.30 di mattina fino alle 9.20 di sera. Al termine dell’udienza le parti di comune accordo hanno rinunciato all’escussione di alcuni testi (tra cui Luca Pagliarini), mentre tre degli amici di Federico verranno sentiti il 7 dicembre (si tratta di Burini, Mengoli e Malservigi), insieme a una dozzina di residenti di via Ippodromo (quelli ritenuti dal giudice più rilevanti per il dibattimento).


30/11/07 - estense.com

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