Sanremo: progetto per gli ex 'bambini soldato'

I Dottori Roberto Ravera (Primario di Psicologia) e Francesca Loffredo (Psicologa Centro per l’Autismo) dell'Asl n° 1 Imperiese hanno presentato un progetto di ricerca sul trauma e sullo stato mentale negli ex bambini soldato della Sierra Leone

"Durante la guerra civile che dal 1992 al 2000 ha martoriato la Sierra Leone, un paese di circa 5 milioni di abitanti, situato nella costa occidentale dell’Africa - scrivono i due medici - oltre alle decine di migliaia di morti e i 30.000 mutilati, la terribile eredità del conflitto è stata la presenza di una moltitudine di bambini soldato. Costoro sono stati trascinati nella guerra dopo che sono stati sradicati dal loro villaggio e, nella maggior parte dei casi, uccisi i loro genitori. Obbligati a combattere a 7 o 8 anni, stremati dalle fatiche di una lunga guerra senza regole e drogati da cocaina e alcol di pessima qualità, questi bambini sono diventati agli occhi del mondo la rappresentazione della peggiore specie di crimine contro l’infanzia. Pochi sanno che uno dei più grandi esperti del problema dei child soldiers è Bepi Berton , un prete italiano originario di Vicenza, che da oltre 40 anni vive in Sierra Leone. La sua opera con i bambini soldato è stata un esempio di coraggio e lungimiranza, al punto di andare nella giungla durante la guerra a cercare questi piccoli combattenti e a portarli in rifugi dove dare loro una speranza. L’opera di Padre Berton gli è valsa la stima personale di Kofi Annan, allora segretario delle Nazioni Unite, e quella di molte autorità a livello internazionale, che hanno riconosciuto in lui l’artefice di un progetto innovativo per tutta l’Africa: denunciare al mondo il crimine dei bambini soldato. Dal termine della guerra sono stati presi in carico oltre 3000 di questi giovanissimi reduci, senza più una famiglia, senza una radice sociale e spesso odiati da tutti in considerazione della loro appartenenza al Fronte Unito Rivoluzionario (RUF), l’organizzazione paramilitare che combatteva contro l’esercito regolare. Per molti era difficile dimenticare le crudeltà compiute, ad esempio era usuale tagliare le mani ai civili catturati e per questa ragione oggi si possono osservare per le strade migliaia di mutilati. Dopo la fine del conflitto per molti bambini soldato cominciava un periodo difficile perché erano esclusi e odiati da tutti, identificati come criminali di guerra e non come bambini a cui è stata strappata l’infanzia. P.Berton ha fondato il Family Home Movement (FHM), un organizzazione che si è fatta carico seguire, assistere e aiutare migliaia di ex combattenti, utilizzando la risorsa dell’affido familiare; in altre parole per molti dei centinaia di ragazzi accolti nel centro di Lakka, a circa 15 chilometri dalla capitale Freetown, venne sperimentata la possibilità di affidarli a famiglie sierraleonesi che, in cambio di un modesto aiuto economico, si prendevano cura di qualcuno di questi giovani. Nonostante alcuni casi andati a buon fine, purtroppo per la maggior parte di questi ex combattenti, le possibilità di un reinserimento nella normale vita sociale si è rivelato un miraggio; molti sono finiti contagiati da una specie di nomadismo sociale, che li ha spinti alla deriva, senza responsabilità e incapaci di ancorarsi a relazioni o esperienze stabili. Proprio perché consapevole del fatto che questo fenomeno abbia assunto la forma di una specie di epidemia, P.Berton ha ritenuto necessario approfondire in modo scientifico il fenomeno, laddove le problematiche psichiche e psicopatologiche sfuggono alla comprensione degli operatori del FHM. Basti pensare che in tutta la Sierra Leone vi è un solo psichiatra! Alla luce di queste esigenze insieme a P.Berton e ai suoi collaboratori abbiamo messo a punto un progetto di ricerca che fosse in grado di verificare la situazione mentale di questi ex bambini soldato. I lavori di preparazione dello studio sono stati lunghi e laboriosi, proprio per adattare gli strumenti di ricerca alla cultura e alla lingua locale e, soprattutto, per creare un stile operativo che fosse il più possibile dentro il problema. Un grosso contributo ci è venuto dalla Prof. Theresa Betancourt, docente della Università di Harvard ed esperta del Post Traumatic Stress Disorder negli eventi di guerra, con la quale abbiamo condiviso lunghe discussioni e preziosi suggerimenti. Per questa ragione abbiamo scelto di vivere nel centro di Lakka con questi ragazzi, condividendo con loro per tutto il mese, ogni attimo e ogni emozione. Sono stati quasi 200 gli ex bambini soldato che hanno fatto parte dello studio, di cui una quindicina sono stati inseriti in un lavoro specifico e sperimentale. In base a quanto rilevato si è constato che molti di questi giovani, che hanno un età compresa tra i 16 e i 20 anni, vi è un effettivo stato di sofferenza psichica rilevante di cui, peraltro, essi sono molto poco coscienti. Quello che è emerso è la loro tendenza a vivere senza legami, senza la capacità di crearne e, quando questo per varie ragioni accade, con l’incapacità di mantenerli. Abbiamo constato la forte consistenza del trauma primario: non tanto la guerra, le uccisioni, le mutilazioni, etc., quanto il fatto di essere stati tolti da un contesto di accudimento familiare in modo traumatico e violento, privandoli di una storia e di legami. Una ragione fondamentale di questo progetto di ricerca è stata quella di capire quanto e come, dopo una così forte esperienza traumatica nell’infanzia, vi possa essere un processo di crescita e sviluppo nella struttura di personalità. Abbiamo raccolto una grossa quantità di materiale che stiamo lentamente analizzando e che ci spinge a comprendere quanto, laddove l’esperienza traumatica colpisce così duramente l’infanzia, siano forti le conseguenze sullo sviluppo psichico nel futuro adulto. Soprattutto ha colpito la loro incapacità di costruire dei legami emotivi ed affettivi (il loro essere così “solubili e inafferrabili”) e di pensare a relazioni dove esista una certa forma di fiducia e di base sicura. Il modello educativo africano è in genere molto energico nello spingere il bambino a staccarsi e a diventare autonomo (a 13 o 14 anni si è considerati adulti) ed è poco incline fin dai primissimi anni ad un tipo di accudimento affettivo nel modo in cui noi occidentali lo intendiamo. In quel contesto è importante la cultura sociale della famiglia, del clan e della tribù; essere strappati da questo legame significa essere condannati a vagare senza radici e senza un pensiero in cui sentirsi accolti e incoraggiati a crescere".

Sabato prossimo, presso il Palafiori di Sanremo alle 17.30, la ricerca verrà presentata al pubblico interessato.

Carlo Alessi - 30/11/07 - sanremonews.it

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