A un passo dal kamikaze

Afghanistan, a un passo dal kamikaze anche il comandante dei soldati italiani


ROMA - La mattina di sabato, nel villaggio di Paghman, pochi secondi hanno fatto la differenza. "Venti, forse trenta", racconta una qualificata fonte militare. Quelli necessari al kamikaze che si è portato via la vita del maresciallo Daniele Paladini, per percorrere quegli otto, dieci metri in più che gli avrebbero consentito di scrivere la più cruenta pagina di sangue della nostra avventura militare afgana. Di uccidere, forse, anche il comandante del nostro contingente a Kabul, il colonnello Alfredo De Fonzo (l'ufficiale è rimasto ferito ad una gamba), consegnando così l'agguato a una dimensione simbolica e politica di ben altre proporzioni.

A settantadue ore dai fatti, una prima ricostruzione - di fonte militare e di polizia giudiziaria - consegna due circostanze sufficientemente nitide agli accertamenti della Procura della Repubblica di Roma e a quella militare (che sulla vicenda hanno aperto inchieste separate, l'una per individuare i mandanti della strage, l'altra eventuali carenze nel rispetto di ciò che impongono le cosiddette "Sop", "standard operation procedures", in materia di difesa passiva e attiva).

La prima circostanza: l'agguato alla colonna del reggimento pontieri Piacenza era stato preparato per sorprenderne uomini e mezzi in un budello che limitava, almeno parzialmente, la visuale sul lato in cui l'attacco è stato portato, quello su cui si allungava il ponte in via di ripristino e collaudo da parte dei nostri soldati. La seconda circostanza: la colonna è stata colpita di sorpresa. Al momento dell'esplosione, quasi tutti gli uomini erano scesi dai loro mezzi e, tra loro, lo stesso comandante del nostro contingente a Kabul, il colonnello De Fonzo, comandante del quinto reggimento alpini, che si era aggregato alla colonna con la sua scorta, partita da "camp Invicta", a Kabul. L'esito dell'agguato, dunque, avrebbe potuto essere ben diverso. Per qualità e numeri.


Ora, però, se la prima delle due circostanze (un agguato preparato e studiato nella sua esecuzione) è frutto di un'ovvia deduzione legata al tipo di ordigno utilizzato e al suo confezionamento (esplosivo ad alto potenziale arricchito da biglie di ferro), che escludono di immaginare un kamikaze a zonzo, in attesa di un'opportunità per colpire, diverso è il discorso che riguarda l'elemento sorpresa.

Che la morte sia arrivata improvvisa e senza dare il tempo di reazione ai militari della nostra colonna appare infatti, da ieri pomeriggio, circostanza accreditata dall'esito dell'autopsia effettuata sul corpo del maresciallo Paladini e dalle testimonianze rese dai tre militari feriti, raccolte dai carabinieri del Ros in una corsia dell'ospedale militare del Celio. Alle 9.52 di sabato, Daniele Paladini muore perché, insieme ai bambini e ai civili afgani che insieme a lui perderanno la vita, è l'uomo più vicino - tra i 15 e i 20 metri - al punto in cui il kamikaze decide di farsi saltare in aria.

In quell'istante, il maresciallo sta armeggiando con degli attrezzi sull'ultima delle campate del ponte al cui ripristino hanno lavorato i genieri e di cui stanno, in quel momento, collaudando la tenuta. Il referto anatomopatologico documenta gravi lesioni interne all'altezza del collo date dallo spostamento d'aria e uno sfondamento letale del cranio, nella zona posteriore, prodotto verosimilmente o da una delle biglie di ferro con cui era confezionato l'ordigno o dall'impatto del corpo con il camion contro cui era stato scaraventato al momento dell'esplosione.

Altrettanto verosimilmente, Paladini non ha neppure il tempo di realizzare quel che sta accadendo. La decisione del kamikaze di azionare il congegno assassino che ha indosso sarebbe stata infatti dettata dall'ordine di fermarsi, gridato in lingua farsi, da uno dei nostri soldati in prossimità del ponte. Abbastanza per convincerlo a non proseguire oltre, forse. A farsi saltare ben prima della linea di prossimità con i nostri soldati che avrebbe voluto raggiungere. Ma troppo poco per consentire a Paladini e all'intera colonna di realizzare di essere sotto attacco.

Una circostanza, questa, confermata anche dalle testimonianze dei feriti. Sia il capitano Salvatore Di Bartolo (ufficiale dell'11esimo reggimento infrastrutture Messina), sia il capitano Stefano Ferrari (secondo reggimento pontieri Piacenza), che il caporal maggiore Andrea Briani (quinto reggimento alpini) riferiscono infatti di aver percepito quanto stava accadendo nel momento stesso in cui sono stati investiti dall'esplosione. In una sequenza fulminea del resto descritta nell'immediatezza dei fatti dallo stesso colonnello De Fonzo e raccolta a Kabul dall'inviato del Giornale. "L'esplosione è stata tremenda - aveva raccontato De Fonzo a Fausto Biloslavo - mi sono voltato di scatto, vedendo saltare in aria i civili. I nostri feriti gridavano e ho capito che era un attacco suicida".

Il colonnello De Fonzo se l'è cavata con una ferita non profonda alla coscia, raggiunta da una delle biglie con cui era caricato l'esplosivo. Ma non è ancora chiaro se il kamikaze o chi il kamikaze ha spedito verso il ponte fosse consapevole o meno della sua presenza. "È un fatto - come osservava ancora ieri sera una fonte qualificata del ministero della Difesa - che se l'esplosione fosse avvenuta 10 metri più avanti, oggi saremmo qui a ragionare di un evento ancora più grave. E non voglio neppure pensare cosa sarebbe accaduto se avessimo dovuto contare tra le vittime il comandante del nostro contingente a Kabul".

Daniele Paladini sarà sepolto oggi a Novi Ligure, in provincia di Alessandria, dove questa mattina saranno celebrati i suoi funerali e dove la salma è arrivata ieri sera, dopo che, a Roma, gli aveva reso omaggio il capo della Stato.


27/11/07 - di CARLO BONINI - repubblica.it

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