Alzheimer, la famiglia è sola

L'86 per cento dei malati curato a casa: «Costi umani ed economici troppo alti»


Un tarlo che mangia il legno. All'esterno tutto sembra in ordine e dentro c'è il vuoto fino allo «sbriciolamento » del mobile, della trave, del tavolino.


Così è il morbo d'Alzheimer: un tarlo che nell'arco di 3-20 anni dai primi sintomi (non ricordare più dove è stata parcheggiata l'auto, dimenticare i nomi di amici e familiari, saltare un pasto convinti di averlo fatto) «sbriciola» il cervello. Unica differenza: il tarlo del legno è rumoroso, quello del cervello è silenzioso. Lo sentono però i familiari: momento per momento, nell'angoscia di non potere fare nulla.

Non c'è cura, non si conosce la causa, difficile è la diagnosi. Unica certezza: la demenza, come quella senile ma che spesso comincia quando la senilità è ben lontana (il tarlo inizia 20-30 anni prima di quando dà segno di sé). Ventisette milioni di malati in tutto il mondo, soprattutto nei Paesi dove l'aspettativa di vita media ha superato gli 80. Sei milioni e mezzo in Europa (31 Paesi), quasi uno nella sola Italia. Malati di demenza, nell'85% dei casi conseguenza dell'Alzheimer. Tragici gli scenari planetari futuri: 47 milioni di malati nel 2020; 90 milioni nel 2040. Vittime illustri, in un passato non lontano, l'ex inquilino della Casa Bianca Ronald Reagan, la fatale Rita Hayworth, il Ben Hur del cinema Charlton Heston. Insieme a milioni di anonimi signor Rossi. Anzi signore Rossi, perché l'Alzheimer preferisce le donne. Non di molto, ma le preferisce. Il tarlo non lascia scampo, soprattutto la «segatura» che crea (il beta-amiloide) va a danneggiare i neuroni. In particolare quelli che producono l'acetilcolina, il neurotrasmettitore che controlla la comunicazione tra i neuroni adibiti a funzioni complesse, come la memoria e il ragionamento. L'evoluzione del male si sintetizza in quattro «A»: amnesia (perdita di memoria), afasia (incapacità di comprendere e formulare messaggi verbali), agnosia (incapacità di identificare correttamente gli stimoli, riconoscere persone, cose e luoghi), aprassia (incapacità di compiere correttamente movimenti volontari come il vestirsi). Infine, danni al sistema immunitario: quelli fatali (di demenza non si muore).

E' la terza causa di morte in Occidente. Dai tre ai 20 anni di agonia. E il peso di assistenza, cure, paure, angosce ricade tutto, o quasi, sulle famiglie. Il Rapporto europeo «Demenza 2006» conferma che la maggioranza dei malati di Alzheimer è curato in casa (86%) e che solo una piccola minoranza è ricoverata in ospedale (10%) o in residenze specializzate (1%). Il quadro è impressionante: un familiare su 5 dichiara di essere impegnato nell'assistenza del malato per oltre 10 ore al giorno. Vale anche per l'Italia. Chiaro il Rapporto Censis 2007. Altissimo il costo medio annuo In Italia per paziente (comprensivo sia dei costi familiari che di quelli a carico della collettività): circa 60.900 euro e l'assistenza pesa quasi interamente sulle spalle delle famiglie. E aumenta il ricorso alle badanti: il 32,7% dei malati è infatti assistito da badanti straniere (dato del 2006, contro il 7,5% del 1999), nell'89% senza titolo professionale specifico e retribuite (82,3% dei casi) direttamente dalla famiglia (senza aiuti statali).

Dice Gabriella Salvini Porro, presidente della Federazione Alzheimer Italia: «La famiglia non deve essere lasciata sola nella gestione dei numerosi problemi della vita di ogni giorno. Un supporto importante può venire da una rete efficiente di servizi territoriali, come i centri diurni e l'assistenza domiciliare integrata». Il ministro della Salute Livia Turco ha, per il momento, aperto un tavolo sulle demenze. E il Censis suggerisce: «E' necessaria una vera e profonda revisione del modello delle cure, che punti a una rete di servizi, articolata e gratuita su cui poter contare». Insomma il tarlo per ora resta ai familiari. Ma lo sentono anche gli scienziati di tutto il mondo, finora impotenti nonostante i miliardi di euro impegnati nella ricerca. L'Alzheimer resta un mistero. Esistono farmaci ( donepezil, galantamina, rivastigmina, memantine) che non guariscono ma efficaci negli stadi leggeri e medi della malattia per migliorare temporaneamente i sintomi, che quando appaiono è perché sono esaurite le capacità di riserva cerebrale.
E la genetica? Sono stati individuati fattori genetici che possono causare o favorire la manifestazione della malattia: sono mutazioni coinvolte nella produzione di beta-amiloide, niente altro. Altri fattori di rischio? L'apolipoproteina E, molecola che trasporta il colesterolo nel sangue: il 10% delle persone che ha una particolare forma di apolipoproteina E, il genotipo E4, ha un rischio maggiore di sviluppare la malattia. Altri fattori di rischio? Traumi cranici e un basso livello di educazione scolastica... Tante ipotesi, tanti studi. Ma il tarlo continua.

Mario Pappagallo - 10 dicembre 2007 - corriere.it

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