La disfatta della sinistra

Ma dove sta questa sinistra radicale massimalista estremista che vince sempre? Ma chi l'ha vista questa invincibile armata che condiziona il governo, gli tarpa le ali, gli impedisce di dispiegare tutta la sua potenza riformista? Al di là del leit motiv, ormai quasi un luogo comune, che da più di un anno anima il dibattito politico e giornalistico - interviste di leader politici, editoriali, interventi televisivi che seguono sempre lo stesso schema - vediamole le vittorie dei nostri radical. E scopriremo che sono molte di più le loro sconfitte, anzi che sono quasi esclusivamente sconfitte.

L'ultima, cocente, è ovviamente quella sulle pensioni, tanto che i dirigenti di Rifondazione minacciano fuoco e fiamme, non solo una battaglia in Parlamento per cambiare l'accordo ma addirittura un referendum tra i loro elettori per farli decidere se ha ancora senso restare nel governo. Se avessero vinto, direbbero tutt'altro. E se torniamo a un anno fa, ci ricordiamo che sul Dpef di allora il ministro Ferrero votò contro. Poi, certo, arrivò la Finanziaria che fu all'inizio corretta in senso redistributivo, così da suggerire quell'infelice manifesto, «Anche i ricchi piangono». Peccato che poi piansero anche i poveri, non a caso i fischi a Mirafiori se li beccarono sia i leader sindacali sia quelli del Prc, accolti nelle fabbriche non certo come vincitori. Nel frattempo - e questa può essere una mezza vittoria - riuscirono a bloccare l'offensiva di Fassino e Rutelli sulla Fase due del governo, ma fu una magra consolazione.

Poche settimane dopo infatti la sinistra radicale lanciò la sua parola d'ordine: risarcimento sociale. Che tra l'altro era un'implicita ammissione di sconfitta: finora abbiamo pensato al risanamento, quindi ai sacrifici, adesso dobbiamo aumentare salari e pensioni. Ma i salari sono rimasti fermi, le pensioni non aumentano (tranne quelle minime, un euro al giorno, grande vittoria), lo scalone viene trasformato in scalini, l'età per uscire dal lavoro cresce. Il risarcimento insomma non è arrivato e nemmeno si intravede all'orizzonte.

Così come non arriva la cancellazione della «famigerata» legge Biagi, e nemmeno la sua profonda modifica. Così come non è stata ancora neanche discussa la nuova legge sulle droghe che dovrebbe sostituire quella considerata super repressiva voluta da Fini. Per non parlare dei Dico, battaglia che non è stata magari la bandiera della sinistra radicale (concentrata troppo sulle questioni sociali e poco sui diritti civili) ma che comunque è andata male: i Dico non ci sono, e forse non ci saranno nemmeno i loro sostituti Cus.

Si dirà, ma c'è la politica estera. Giusto, il ritiro dall'Iraq per esempio. Peccato però che fosse stato deciso già prima delle elezioni. La missione in Libano? Perfetto, ma non è stata certo una battaglia della sinistra radicale, semmai del ministro degli Esteri. Così come è stato Massimo D'Alema a decidere di cambiare la linea della nostra diplomazia, in senso più antiamericano, più antiisraeliano e più filopalestinese. Rifondazione e gli altri possono al massimo applaudire, concordare, appoggiare, ma non certo rivendicare una loro vittoria. Se poi ci spostiamo in Afghanistan, altro che vittorie: i nostri soldati sono sempre lì, di ritiro non si parla più, sono arrivati anche i terribili Predator, e la tanto agognata Conferenza di pace, grazie alla quale la sinistra del centrosinistra si è autocostretta a votare e rivotare la missione, è morta prima di nascere. Vogliamo aggiungerci anche la base di Vicenza? Aggiungiamocela.

Sarebbe ingeneroso tuttavia non segnalare i (pochi) risultati ottenuti da questa parte della coalizione di governo, la nuova legge sugli immigrati, il piano sulla casa e l'indulto. Che purtroppo non si è rivelato una grande iniziativa, visto che gli stessi elettori del centrosinistra (e della sinistra) non hanno affatto gradito, e infatti nessuno dei suoi leader politici ha poi avuto il coraggio di rivendicarlo come una battaglia vinta, meglio stenderci sopra un velo pietoso.

Morale della favola. La sinistra radicale ha scelto il governo per cambiare il Paese secondo le sue idee ma si ritrova al massimo a ridurre il danno (sempre dal suo punto di vista), ossia a frenare gli eventuali eccessi di riformismo. Nulla di più. Non molto viste le sue ambizioni, anzi molto poco: e ne è così consapevole che si prepara a chiedere ai suoi elettori se deve restare o andarsene dal governo.


RICCARDO BARENGHI - 22.07.07 - lastampa.it

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