Vita da scrivere/03 - Bambini in affido: in mezzo alla bagarre, figli da difendere

A nove mesi dal caso della bimba "sottratta illegalmente" da una famiglia di Genova, riprendono i viaggi dei bambini bielorussi in Italia. Il ricordo degli eventi del settembre scorso fra genitori, politici e vite di piccoli da restituire alla vita.

ROMA - Vivono in case comuni, sono cresciuti tutti insieme e spesso si riconoscono dagli occhi tristi e dall'espressione di chi non ha già nessun sogno per cui vale la pena combattere. A volte hanno solo pochi anni, 2 o 3, ma sembrano vecchi. Sono i bambini degli istituti. Quegli istituti che l'applicazione della legge sugli affidi e le adozioni (la 149 del 2001) ha voluto chiudere per dare loro una possibilità in più. Ma quale?

La scorsa settimana, dopo un blocco di vari mesi, sono ripresi i soggiorni di cura in Italia dei bambini bielorussi. Era tutto fermo dallo scorso dicembre, quando i rapporti diplomatici fra Italia e Bielorussia avevano toccato il fondo in seguito alla vicenda della coppia genovese che, a settembre, aveva "sottratto illegalmente" una bambina bielorussa, la piccola Maria, in vacanza in Italia. Ora, grazie ad un accordo sottoscritto dai due governi, i programmi di accoglienza sono stati regolati nel dettaglio, e i viaggi sono ripresi.

Ritorno con la mente alla bagarre politica che si era scatenata a settembre, quando appariva davvero chiaro come si fosse perso il senso della misura. Che in casi come questi è la misura dei piccoli. Camminavo all'epoca fra una manifestazione e l'altra, sentendo genitori urlanti per strada, politici retorici in Senato e a Montecitorio e mi domandavo chi fosse in fondo fra di loro a conoscere e riconoscere i diritti dei minori. Sempre sulla bocca di tutti perchè è politicamente corretto, ma realmente poco conosciuti, frequentati e amati.

In mezzo ai genitori affidatari avevo letto rabbia, sofferenza ma anche poco senso della misura e della realtà. La realtà di scegliere un bambino in affido, che non è tuo per sempre e che devi prima o poi restituire alla vita. Un'attitudine difficile da avere, quella di amare e ricordarsi però ogni giorno che non è tuo, che non possiedi, che non avrai, quasi sicuramente, niente in cambio. Che quello che semini altri potrebbero (e spesso succede) distruggere, che l'amore che dai non torna indietro, che i frutti dell'affido sono pochi, difficili, sudatissimi e per niente gratificanti.

In piazza, davanti alla Camera manifestavano i genitori, piccola fetta di un mondo che in Italia è vasto abbastanza da tenere vigile l'opinione pubblica su un fatto, quello della bambina bielorussa, che è solo la punta di un iceberg di una realtà spesso poco chiara. Già, perchè prestare un servizio quale è quello dell'affido non vuol dire necessariamente pretendere di avere quel bambino per sempre. E mi facevano riflettere gli striscioni di quei genitori dalle storie segnate dalla sofferenza, chiedere a gran voce un diritto che non può essere tale. Perchè il soggiorno terapeutico, quello dei bambini bielorussi, non è automaticamente adozione. Perchè il servizio di accoglierli temporaneamente a casa non può voler dire arrogare pretese sulla loro vita. Anche se loro stanno molto meglio in Italia, e per gli italiani una famiglia ospitante, anche per poco, è meglio della freddezza dell'isitituto.

Ma in quei toni buonisti, che riempirono le pagine dei giornali e le immagini dei telegiornali, non sentii una voce levarsi per difendere loro, i piccoli. “Maria”, sotto i riflettori dall'anonimato più completo pronta, dicevano all'epoca le “nonne” (che nome odioso se la bambina non è davvero la loro nipotina) a compiere l'estremo gesto, quasi fosse una diva di avanspettacolo che deve rilanciare, e rilanciare ancora, un dramma che sembra si compia secondo gli schemi della fabula classica: l'angariato, i buoni e i cattivi. Mentre i ruoli dei buoni e dei cattivi avrebbero potuto, in fondo, anche ribaltarsi. "Maria” è stata davvero vittima, ma non solo dei ragazzi più grandi che in istituto hanno abusato di lei e delle autorità bielorusse che non fanno controlli negli internat, ma anche della famiglia, appiccicosa, di Cogoleto, che non voleva mollare contro ogni logica e contro il bene, alla fine, della stessa bambina e della sua storia. È poi vero che è salutare per un bambino piccolo vivere in una famiglia dove il dolore di non aver potuto generare si trasforma in ossessione e quindi in possessione? L'affido, ma anche l'essere genitori davvero, non vuol dire attrezzare la persona che è stata voluta e concepita per affrontare la vita e per restituirla alla vita?

Chi bisogna difendere, allora come oggi, non sono, di nuovo, i genitori e il loro diritto alla “genitorialità”, parola di moda negli ultimi mesi, ma i figli. Quei figli che devono crescere in luogo che non siano gli istituti, ma per i quali l'alternativa migliore ipotizzabile deve essere una famiglia con un padre e una madre, non troppo anziani e sufficientemente equilibrati. Inutili quindi le ultime e ultimissime proposte di legge per modificare la 149, dall'allargamento delle adozioni ai single alle richieste della comunità omosessuale che vuole avere il diritto di avere dei figli. Mentre per loro, i bambini, la necessità è quella di avere un padre che sia un uomo, una madre, donna, una stabilità della coppia che non lo renda di fatto figlio di separati dopo essere già nato figlio di tossici o di delinquenti, o orfano già una volta. Bagarre inutili quindi quelle sull'allargamento delle “categorie” che possono adottare: i bambini sono molto meno, denunciano le associazioni che si occupano di minori negli istituti, di quelli che li richiedono. L'iter è lungo, troppo lungo, e la richiesta di abbassare i tempi per fare incontrare “domanda ed offerta” sembra una delle poche ragionevoli in mezzo al can can di casi umani, sentimentalismi e scarsa conoscenza della materia. La “materia” incriminata è sempre lì, un tempo chiusa negli istituti, oggi ancora in comunità di accoglienza, e affidata ad assistenti sociali spesso assenti, poco sensibili e poco formati, in attesa di recuperare una felicità che pochi, pochissimi, riusciranno a vivere.

di Marta Catalano - 01/07/2007 - fonte

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