No al capitalismo disumano

NO AL CAPITALISMO DISUMANO, MA ATTENZIONE ALLA DIGNITÀ DEI POVERI SEMPRE PIU' FERITI NEI LORO DIRITTI


Benedetto XVI, ieri mattina, a Castel Gandolfo, ha affrontato brevemente la questione economica. Capitalismo o marxismo? Come afferma peraltro la dottrina sociale della Chiesa, il Papa sceglie una terza via: la cultura della solidarieta' e dell'accoglienza verso gli ultimi di questa terra e cita il dramma dell'Africa dove milioni di persone muoiono di fame. Non e' immaginabile quindi la scelta del capitalismo da parte della Chiesa in quanto esso e' orientato solo alla logica del profitto. Esso fu denunciato nel 1979 a Puebla da Giovanni Paolo II senza mezzi termini come attentato alla dignità dei poveri, sempre più feriti nei loro diritti. Il Papa affermava a Puebla nel 1979 che: "L'atteggiamento del cristiano che vuole veramente servire i fratelli più piccoli, i poveri, i più bisognosi, gli emarginati: in una parola, tutti coloro che riflettono nelle loro vite il volto sofferente del Signore". Per questo, dalla prospettiva di Cristo e della Chiesa, o meglio, dalla prospettiva della Chiesa di Cristo, si capisce la terza verità sull'uomo. È l'uomo, non la concezione inadeguata della attuale civiltà, che ha ferito i valori umani, se non addirittura l'uomo, il cui mistero trova vera luce soltanto nel mistero del Verbo Incarnato (cfr Gaudium et Spes, 22). Questo testo del Concilio è stato molto spesso citato da Giovanni Paolo II. Una vera antropologia cristiana non si lascia inquinare da altri umanesimi. Il fine dell'economia, come diceva il mio maestro, cardinale Giovanni Colombo, e' l'uomo e i suoi valori. Nella societa' dell'opulenza i nuovi poveri sono cresciuti e stentano ad inserirsi nella societa', non essendo considerati produttivi vengono relegati ai margini. Da qui fenomeni di alcolismo, di disoccupazione, di droga, di emarginazione e di uomini e donne senza fissa dimora. La societa' dell'efficienza e della produttivita' vuole uomini e donne nel pieno vigore delle loro forze, vuole persone in grado di competere, di conquistare il potere, il successo e il denaro. E i nuovi poveri non sono in grado di conseguire questi obiettivi. Percio' non vengono tutelati e vengono abbandonati al loro destino fatto di storie di disperazione, di miseria e di umiliazioni. La verità su Gesù Cristo sembra voler dire Benedetto XVI nel suo ministero petrino è il primo dovere dei Vescovi, maestri della fede. Questa è l'unica "prassi" adeguata. Egli denuncia da due anni, senza giri di parole, le "riletture del Vangelo (...). Esse causano confusione allontanandosi dai criteri centrali della fede della Chiesa". "In alcuni casi si tace sulla divinità di Cristo o si incorre in forme di interpretazione in contrasto con la fede della Chiesa. Cristo si presenta solamente come un profeta". "In altri casi si pretende di presentare Gesù come impegnato politicamente, come un lottatore contro la dominazione romana o contro i poteri e perfino coinvolto nella lotta di classe. Questa concezione di Cristo come politico, rivoluzionario, come il sovversivo di Nazareth, non coincide con la Catechesi della Chiesa". In quanto alla verità sulla missione della Chiesa, papa Benendetto XVI denuncia le interpretazioni in cui "si avverte il malessere sulla natura e la missione della Chiesa", la interpretazione secolarista sul Regno che deriverebbe dal cambio strutturale socio-politico e dal soppiantamento della Chiesa "istituzionale" o "ufficiale", da parte della "Chiesa popolare" "che nasce dal popolo e si concretizza nei poveri". Perche' qui entreremmo nel terreno dominato dalle ideologie. Confidate - sembra volerci dire ancora Benedetto XVI - responsabilmente in questa dottrina sociale, sebbene alcuni cerchino di seminare dubbi e diffidenza su di essa, studiarla con serietà, cercare di applicarla, insegnarla, essere fedele ad essa, è, per un figlio della Chiesa, garanzia della autenticità del suo impegno nei delicati ed esigenti compiti sociali e dei suoi sforzi in favore della liberazione o della promozione dei fratelli". Da qui l'urgenza di lavorare per la società umana "evitando che i più forti usino il loro potere a detrimento dei più deboli", preoccupazione che è stata ben presente in tutto l'insegnamento di Benedetto XVI. Egli si riferisce alle molteplici e variegate forme di violazioni umane: "il diritto a nascere, il diritto alla vita, alla procreazione responsabile, al lavoro, alla pace, alla libertà e alla giustizia sociale..." Si offre un ampio e preoccupante panorama che conduce a richiedere il rispetto dell'uomo attraverso il cammino del Vangelo. Di fronte alle insidie presenti in certe manifestazioni della cultura e dell'economia del nostro tempo, la Chiesa non cessa di annunciare la grandezza dell'uomo, immagine di Dio, e il suo primato nella creazione. Realizza tale missione principalmente attraverso la dottrina sociale, che "ha di per sé il valore di uno strumento di evangelizzazione"; è infatti dottrina che "annuncia Dio e il mistero di salvezza in Cristo ad ogni uomo e, per la medesima ragione, rivela l'uomo a se stesso. In questa luce si occupa dei diritti umani" (Giovanni Paolo II, Centesimus annus, 54). La Chiesa ricorda a quanti tentano di affermare il predominio della tecnica, riducendo l'uomo a "merce" o strumento di produzione, che "il soggetto proprio del lavoro rimane l'uomo", poiché nel piano divino "il lavoro è «per l'uomo», e non l'uomo «per il lavoro»" (Giovanni Paolo II, Laborem exercens, 5-6). Per lo stesso motivo, essa contrasta altresì le pretese del capitalismo proclamando "il principio della priorità del lavoro nei confronti del capitale", poiché l'attività umana è "sempre una causa efficiente primaria, mentre il capitale, essendo l'insieme dei mezzi di produzione, rimane solo uno strumento o la causa strumentale" del processo di produzione (Ibid. 12). Questi principi, mentre ribadiscono la condanna per ogni forma di alienazione nell'attività umana, risultano particolarmente attuali di fronte al grave problema della disoccupazione, che oggi investe milioni di persone. Essi rivelano nel diritto al lavoro la moderna garanzia della dignità dell'uomo che, senza un lavoro degno, è privo delle condizioni sufficienti per lo sviluppo adeguato della sua dimensione personale e sociale. La disoccupazione infatti crea in chi ne è vittima una grave situazione di emarginazione ed un penoso stato di umiliazione. Il diritto al lavoro deve pertanto coniugarsi con quello alla libertà di scelta della propria attività. Queste prerogative, tuttavia, non vanno intese in senso individualistico, ma in riferimento alla vocazione al servizio e alla collaborazione con gli altri. La libertà non si esercita moralmente senza considerare la relazione e la reciprocità con altre libertà. Queste vanno intese non tanto come limite, ma come condizioni dello sviluppo della libertà individuale, e come esercizio del dovere di contribuire alla crescita di tutta la società. Il lavoro è, quindi, un diritto innanzitutto perché è un dovere, che nasce dalle relazioni sociali dell'uomo. Esso esprime la vocazione dell'uomo al servizio e alla solidarietà.

Alberto Giannino - 24/09/07 - imgpress.it

Nessun commento:

Basta guerre nel mondo!