Scalo Romana, la favela dei disperati

Sopralluogo choc, l´altra notte, dell´assessore ai servizi sociali Moioli nell´ex area ferrovie: "Censiremo tutti prima dell´emergenza freddo"


Davide Carlucci

Nei capannoni fra topi e rifiuti più di 800 senzatetto. Bambini compresi Il padrone di casa apre in mutande. Poi si ricompone e ci fa entrare nel suo tugurio: il pavimento è tanto sporco che le scarpe vi si appiccicano e sul frigo, sugli armadi, sul lampadario, decine di scarafaggi rossi corrono in ogni direzione. «Qui siamo in cinque, c´è anche un bambino di un anno e mezzo», dice l´uomo, un romeno che non ha lavoro. È uno degli 800 abitanti degli inferi di Milano: scalo Romana, area abbandonata di proprietà delle Ferrovie dello Stato dove vivono solo clochard, tossicodipendenti, immigrati africani e adesso anche tanti rom che prima stavano nelle baraccopoli. «Sono qui da un anno e mezzo, prima c´era un altro romeno, poi mi ha rubato 700 euro ed è andato via», racconta l´uomo all´assessore Mariolina Moioli, che ha deciso di andare a vedere di persona, accompagnata dai giornalisti, fin dove può spingersi la miseria nella capitale economica d´Italia, nella città delle griffe e del benessere ostentato.

La sua è una sorta di visita preventiva: l´idea è di affidare alla polizia locale, prima dell´emergenza freddo, un censimento dei casi di povertà estrema - con tanto di verifica dei loro titoli e dei documenti - che sfuggono al controllo dei servizi sociali del Comune, che già assistono tra i 400 e i 500 senza tetto. Poi ci sono quelli che si nascondono, ed eccoli qui tra i binari e i capannoni abbandonati. Suor Velia, domenicana, responsabile della casa d´accoglienza per i clochard di piazzale Lodi, è la testimone di queste vite randagie che a volte durano poco, come «quel tossicodipendente che stendeva i panni lì in fondo, in quel vagone, e poi l´hanno trovato morto ormai da giorni». Gli italiani sono sempre di più. «Spesso sono uomini separati dalle mogli - spiega padre Clemente Moriggi, che gestisce diverse case d´accoglienza - o che sono sprofondati nell´alcol».

Arrivano alle otto della sera, s´infilano da ogni varco possibile, e fino alle due di notte è un continuo via vai. Incontriamo una ragazza magrissima: «Non vivo qui, vengo a trovare un amico» e quando le chiedi se in realtà è qui per comprare sorride per la vergogna. Le finestre e le porte di una specie di casamatta al centro del viale sono state completamente murate con i mattoni dalle Ferrovie dello Stato. Ma fuori c´è una bicicletta parcheggiata: i nuovi inquilini si sono ritagliati lo spazio minimo per entrare demolendo i mattoni. Dentro vivono due "nuclei familiari". In una stanza abita una famiglia romena, la bandiera dell´Italia appesa al muro. Nell´altra c´è Daniela con la sua amica - mezza morta per lo spavento causato dalla visita inaspettata - sono entrambe di Bucarest. «Sì, vivo qui da nove mesi - dice Daniela - e lavoro in un albergo. Questo era un ufficio abbandonato, noi non sapevamo dove trovare i soldi per la casa e siamo venuti qui». Dentro la stanza, su un tavolino, uva e cioccolatini e, sul lato della finestra cieca, una fila di panni stesi. «Sono calze da bambini?», chiede l´assessore. «No - dice Daniela - sono della mia amica, è solo che si sono rimpiccioliti».

«Ma che è successo? Siete sbirri?», grida un tossicodipendente con lo zainetto e un dobermann al guinzaglio, seguito da un altro amico che lo rimprovera per qualcosa («quelle cose non me le ha mai dette neanche mio padre, capito?»). Un capannone è occupato da somali, eritrei, colombiani. Non c´è luce e in ogni stanza si dorme in tre o in quattro. Le pareti sono tappezzate da scritte deliranti (storie di anelli rubati, insulti nei confronti del ladro) o incomprensibili, in arabo stilizzato. Moioli vuol capire. «Ma cosa stai qui a fare, senza lavoro?», chiede a un sudanese che prova a spiegarle che ha un permesso umanitario e che il luogo da dove viene è comunque peggio di qui. Lei s´indigna quando scopre che sulla sua carta d´identità è scritto Roma-via Astalli (è la sede di un´associazione che si occupa di rifugiati). «La mia ansia - dice - è che non possiamo tenere sotto controllo il fenomeno dei flussi migratori. Non c´è governo, ci può capitare qualsiasi cosa... ». Se la prende con Roma: «Dovrebbe intervenire: più lascia andare e più il conflitto sociale aumenta». L´assessore annuncia che qualcosa si farà qui a Milano. «La mia idea è che non si può lasciare questo posto così nel centro della città». Allora che fare? Cacciarli tutti? «Non ho mai usato questa parola né intendo usarla», assicura. Per Mahad, che di giorno lavora a Linate e di notte dorme allo scalo Romana, è una buona notizia.


19/10/07 - espresso.repubblica.it

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