«Harrison e Clapton, la droga fu colpa mia»

Le rivelazioni dell'autobiografia: «Ero moglie di George, amavo Clapton. Anni di stupefacenti e rivalità per colpa mia»


LONDRA — «Non posso vivere senza di te», disse Eric. «Sei pazzo? Io sono sposata con George», rispose Pattie dalle lunghe gambe, dal magnifico seno e dal nasino all'insù. Allora «lui tirò fuori un pacchetto dalla tasca e me lo mostrò: se non fuggi con me, allora io prendo questa». «Che cos'è?». «Eroina». «Non fare lo stupido». «No, è proprio così, è finita». Poi l'innamorato respinto se ne andò, «e non lo vidi più per 3 anni: fece quel che aveva minacciato, diventò schiavo dell'eroina. Ma lui e noi tutti prendevamo già un sacco di roba: cocaina, marijuana, stimolanti, tranquillanti...». «Noi tutti»: Pattie Boyd, l'ex bellezza oggi sessantenne che racconta, nelle sue memorie dal titolo «Meraviglioso oggi», in uscita a Londra il 23 agosto; e il suo amante (alla fine non lo respinse più) Eric Clapton, che per lei compose «Layla »; e suo marito George Harrison, bardo- poeta dei Beatles che per lei compose invece «Something», 150 versioni in 40 anni, secondo Frank Sinatra «la più bella canzone d'amore mai composta in tutti i tempi». «Layla» di Clapton, «Something» di Harrison, scusate se è poco.


Per non parlare di certe lettere strazianti di Eric, che riemergono dal passato: «Cara Layla, perché esiti ancora? Sono forse brutto, sono un povero amante, o troppo debole? Se mi vuoi prendimi, io sono già tuo...». Il marito non era meno romantico. «George mi suonava sempre "Something" in cucina », spiega ancora Pattie. Ma poi, aggiunge, il sornione usciva dalla cucina e andava in camera da letto con Maureen, la moglie di Ringo Starr, con Krissie, la moglie di Ronnie Wood degli Stones, e con tante altre («George era affascinato dal dio indù Krishna, quello sempre circondato da giovani ancelle. Quando tornò dall'India, voleva essere una specie di Krishna, un essere spirituale con tante concubine: mi disse proprio così»). E tutti gli amici di contorno? Una parata di stelle, di grandi ispirati e grandi allucinati, a volte di grandi fresconi: Paul e Ringo e John, Brian Epstein, Keith Richards, Joe Cocker, Jimmy Page, i monaci veri o presunti di Krishna, il dottor John Riley, dentista personale di George che gli serviva il caffè all'Lsd; e Margaret, la sua donna delle pulizie che quando arrivava in visita John Lennon lo accoglieva sempre con la stessa richiesta: «Ha mica una di quelle sue simpatiche pastiglie?»; e poi, racconta ancora Pattie, «puliva tutta la casa a razzo, come un'invasata».



Insomma: sesso, droga e rock and roll, secondo la vecchia formula di un'intera generazione, anni '60-'70. Malinconia, splendore, spreco e follia, dolcezza e sopraffazione: ogni nome un rintocco e una stretta al cuore, per chi ricorda e ha l'età giusta; ma forse anche per qualche figlio o nipote, che conosca la storia del rock. Nel 1966, Pattie che ha 21 anni sposa George che ha 22; nel 1970, Pattie ascolta per la prima volta Eric, il miglior amico di George, che le canta «Layla», «guardandomi in faccia»; e all'ultimo accordo gli cade fra le braccia: «Lui voleva spingermi in una direzione verso cui io non volevo certo andare. Ma quando mi resi conto che io avevo ispirato una tale passione e creatività, la canzone mi stese. Non potei resistere un minuto di più». Più tardi, a una festa, George fissa i due colombini in mezzo «a una folla di ospiti, in maggioranza drogati»: «Ehi, voi, che succede? ». «Amico, succede che io amo tua moglie e lei ama me», risponde Eric.


È solo l'inizio della storia. Seguono anni di tira e molla, di appuntamenti clandestini nei boschi e di sniffate ufficiali a casa, di triangoli amorosi e triangolazioni di chitarre: come quella notte che Eric e George si sfidano, chitarre fra le braccia, «come due cavalieri del ‘700» in un'improvvisazione musicale dopo l'altra davanti all'amata che ascolta, «e la mia sensazione fu che avesse vinto Eric». Anni stralunati: George è spesso «molto depresso... prendeva troppa cocaina e penso che la cocaina abbia anche cambiato la sua personalità». Eric, ripulitosi dall'eroina prediletta tipo «Elefante Bianco», sprofonda a sua volta nella vodka. La villa gotico- vittoriana di Friar Park, con le sue 25 camere da letto dove tutti si incrociano, è «un manicomio, dove noi eravamo perennemente ubriachi e drogati». La fine della storia, o almeno delle memorie di Pattie, è nel 1974, quando George dice a Ringo che ama sua moglie («Nothing is real, nothing is real...», canticchia Ringo di risposta); e quando Pattie smette di porsi domande: «Sarei andata con Eric, che per me aveva scritto la canzone più bella, e per me era andato e tornato dall'inferno in quegli ultimi 3 anni?...». Si decise, raggiunse l'amante in America: «Il che significò: bere, bere, bere». Il resto fu rock, ancora e sempre.


Luigi Offeddu - 08 agosto 2007 - corriere.it

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