Smettere di bere è una questione di geni?

Una nuova tessera si aggiunge al mosaico dei rapporti tra geni e comportamento: uno studio americano sugli alcolisti correla un profilo genetico "a basso rischio" a maggiori probabilità di recupero con il programma di psicoterapia dei "12 passi” proposto dagli Alcolisti Anonimi, rispetto ad altre psicoterapie. E’ un approccio bottom-up, che parte dal basso, dalle caratteristiche psicobiologiche dell’individuo e cerca di orientare il successivo percorso terapeutico, diversamente da quello top-down tipico della psicologia tradizionale. Le ricerche condotte presso l’Alcohol Research Center dell’Università del Connecticut, sono pubblicate sul numero di novembre della rivista Alcoholism: Clinical & Experimental Research.

La vulnerabilità all’alcolismo comprende sia fattori genetici che ambientali. Da alcuni anni le analisi genetiche hanno dimostrato una forte componente ereditaria (dal 52 al 64 per cento) nella propensione al bere, con una associazione significativa tra il rischio di alcolismo e variazioni della sequenza del DNA definite “polimorfismo a singolo nucleotide” all’interno del gene GABRA2 (codificante per una subunità di una classe di recettori che mediano gli effetti del GABA, il principale neurotramettitore inibitorio del cervello). Nuovi risultati indicano che il genotipo GABRA2 non solo modifichi l’atteggiamento generale nei confronti del bere, ma influisca sul successo dei vari tipi di psicoterapia.

“Avevamo già mostrato che un allele GABRA2 ad alto rischio era associato a una marcata risposta all’alcol in soggetti sani - spiega Henry Kranzler, uno degli autori dello studio - nell’ipotesi che la presenza di questo allele potesse predire il comportamento di bevuta in alcolisti in trattamento, abbiamo messo a punto un’indagine per identificare alcuni fattori di predizione del successo terapeutico in alcolisti in psicoterapia”.

Il metodo comportava l’analisi genetica di soggetti europei ed americani che stavano partecipando al progetto MATCH, un trial randomizzato che valutava l’efficacia di 3 tipi di terapia: quella cognitivo comportamentale (CBT); di rafforzamento motivazionale (aumento della motivazione al cambiamento, MET); e di facilitazione a 12 passi (TSF, utilizzata dagli Alcolisti Anonimi).

I risultati, espressi come numero di giorni di bevuta e di forte bevuta, indicano che i pazienti con due alleli GABRA2 (omozigoti) a basso rischio hanno comportamenti di ricaduta nell’alcol meno marcati degli alcolisti che sono portatori di uno o due alleli GABRA2 ad alto rischio. “Inoltre - aggiunge Kranzler - è evidente una differenza di risposta alla psicoterapia, in rapporto al genotipo GABRA2. Le persone con genotipo a basso rischio mostrano maggiori benefici da una particolare psicoterapia, la TSF, rispetto agli altri trattamenti”.

L’alcolismo è riconosciuto come uno dei più gravi problemi della salute pubblica. Non danneggia soltanto l'alcolista perché gli effetti si riflettono nell’ambiente familiare, sul lavoro, sulla strada. Perché si comincia a bere? L’alcol è un ansiolitico, probabilmente il più potente e anche a portata di mano. Si beve per superare sensazioni di inadeguatezza, di solitudine, per affrontare situazioni difficili, spiacevoli, ma anche quelle piacevoli; l’alcol serve ad anestetizzare le emozioni e a tenersi a distanza dai sentimenti, dalla consapevolezza. Come comprendere se dai due-tre-quattro bicchieri quotidiani si sta scivolando insensibilmente verso la dipendenza? Un semplice test consiste nell’assegnarsi dei limiti: una dose giornaliera (circa due bicchieri) da non superare in nessun caso, durante un periodo di alcuni mesi, anche se nel frattempo intervengono circostanze particolari che comportano interferenze emotive (problemi sul lavoro, discussioni con il partner, matrimoni, funerali, licenziamenti, disastri, ma anche feste, viaggi, promozioni, ecc.). Soltanto due bicchieri e senza barare con se stessi. Solo così si può scoprire se si riesce a controllare il bisogno di bere, o, al contrario, se l’alcol funziona come regolatore degli stati emotivi. Ed eventualmente prendere coscienza che si ha “un problema” con l’alcol, prima ancora di ammettere di essere un alcolista.

L’associazione Alcolisti Anonimi (A.A) nata in Italia nel 1972, dall’esperienza dei gruppi di auto aiuto americani, è presente in tutto il territorio con circa 450 gruppi. Si basa su una regola ferrea: l’anonimato dei partecipanti ed utilizza un programma di auto-consapevolezza ed evoluzione spirituale basato sulla “teoria dei 12 passi”. Tutti gli esponenti dell’associazione sono ex alcolisti. In genere le persone si incontrano una o due volte alla settimana in riunioni “aperte” alle quali possono partecipare tutti coloro che sono interessati ad A.A (alcolisti, parenti ed amici) e riunioni “chiuse” riservate esclusivamente agli alcolisti. Queste ultime consistono in discussioni di gruppo in cui ognuno può esprimere le difficoltà che incontra nel restare sobrio e per i problemi nella vita di ogni giorno. Gli altri alcolisti hanno vissuto situazioni analoghe e potranno spiegare come le hanno superate, impegnandosi in uno o più “passi” del programma di recupero.

Si comincia con il rimanere “puliti” (senza bere) un giorno alla volta, ovvero ad accettare l’idea di essere un alcolista (primo passo), ad affidarsi a qualcuno (secondo e terzo passo). Il gruppo aiuta l’alcolista a rompere l’isolamento in cui l’alcol lo ha confinato, ad avere fiducia nei suoi nuovi amici e ad affidarsi a un Potere Superiore, comunque sia in grado di concepirlo in quel momento in rapporto alla sua formazione religiosa e spirituale. Anche il gruppo stesso può essere visto come un “potere superiore”, dal momento che riesce laddove il singolo non trova una soluzione. Successivamente, attraverso l’autoanalisi e il confronto con una persona di propria fiducia, si procede ad una verifica e all’accettazione di se stessi (quarto e il quinto passo), si inizia un percorso di cambiamento basato sulla progressiva modificazione dei propri comportamenti (sesto e settimo), si tende al recupero delle relazioni con gli altri (ottavo e nono), ci si prepara a mettere in pratica il nuovo stile di vita (decimo), si approfondisce il percorso spirituale con la meditazione e la preghiera, alimentando un senso di appartenenza al mondo (undicesimo), infine si comincia a portare il messaggio ad altri alcolisti (dodicesimo passo).

E’ un programma che può dare dei buoni risultati. La sobrietà riguarda non tanto lo “stare meglio”, almeno non subito, ma piuttosto il sottoporsi al cambiamento, imparare a vivere una vera emozione (dolore, ansia, tristezza, ma anche gioia) senza tentare di anestetizzarla. Alcuni centrano l’obiettivo sin dalla prima seduta, altri hanno bisogno di frequentare il gruppo a lungo, anche se sobri da molti anni.

Questione di geni? Gli studi recenti sul fenomeno della “resilienza” - la capacità di superare situazioni problematiche - ci insegnano che i geni non sono destino. Anche se esiste un legame strettissimo tra biologia e psicologia, l’alcolista, qualunque sia il suo profilo genetico, ad alto o basso rischio, può trovare un modo - attraverso la terapia farmacologica, psicologica o di sostegno - per riconnettersi con la vita.


31/10/07 - lastampa.it

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