Eucaristia e carità

Eucaristia e carità. L'esperienza di Loredana


Una della prime ragazze che ha seguito Chiara Amirante a Nuovi Orizzonti nell’evangelizzazione di strada, porta la sua testimonianza sull’importanza della carità e del legame con l’eucarestia. Fa parte dell’équipe del nuovo centro ad Ischia.

Nasce ad Ischia un centro di 25 posti per l’accoglienza residenziale. Sarà un punto di riferimento per l’evangelizzazione, la formazione e l’aiuto verso il disagio giovanile. La casa sarà pronta per fine luglio. Le attività di evangelizzazione e missione sono già in programmazione e ne parleremo prossimamente su Korazym.org.

Loredana, qualificata come assistente sociale, è una delle prime ragazze che ha seguito Chiara Amirante all’inizio della sua avventura a Nuovi Orizzonti nell’evangelizzazione di strada a Roma. Sarà responsabile del nuovo centro di Ischia, insieme al suo marito Giulio Scrocca e Miljenko Misak, referente per le animazioni di strada, continuando a seguire le attività di evangelizzazione nelle carceri in Italia e di animazione per il primo annuncio. Loredana e Giulio vivono da anni la spiritualità di Nuovi Orizzonti, hanno vissuto in Brasile in Missione e sono stati già "pionieri" di diverse case negli anni passati.


Korazym.org propone la testimonianza sull’importanza della carità e del legame con l’eucarestia che Loredana Seno ha portata a Lovere (Bergamo) il 28 aprile all’interno del Convegno di Carità che annualmente si svolge in quel periodo, coordinato da Giovanni Ferici.

La mia esperienza a Nuovi Orizzonti è iniziata insieme a Chiara. Sono la prima pazza che ha seguito Chiara in quest’opera che iniziava dal niente e che non era neanche ben chiaro che cosa fosse. Questa avventura nel mondo della strada è iniziata nel 1993.

Io e Chiara ci siamo conosciute diversi anni fa, nel 1984, attraverso il Movimento dei Focolari e abbiamo camminato, in questa bellissima opera di Dio, molto vicine ma non proprio nello stesso settore, perché abitavamo in due zone diverse di Roma. Roma è tanto grande per cui è divisa in sottozone, però al mio primissimo incontro con l’Opera di Maria, la persona che mi colpì fu proprio lei: la vidi infiammata veramente dell’amore di Dio, pronta a dare la vita per chiunque lei incontrasse; mi colpì davvero questa ragazzina più giovane di me. Avevo ventun anni e lei ne aveva diciotto. Avevamo fatto questo cammino nel Movimento dei Focolari che lascia sicuramente nelle anime un grande ardore, un intenso amore per il prossimo e per il volto di Gesù crocifisso e abbandonato che s’incontra in chiunque ci passa accanto. Lo Spirito Santo ha soffiato su questa base, poi ha suggerito qualcosa di grande, di diverso, però ha soffiato su questa base.

Dopo questo incontro profondo che aveva fatto con Dio, Chiara si è ammalata gravemente, soffriva moltissimo e aveva una prognosi di malattia cronica irreversibile che l’avrebbe portata verso la cecità con forti dolori; sentiva però nel cuore una pace che soltanto l’amore al Crocifisso può dare, soltanto l’incontro con Colui che è la vita ci può dare nonostante la sofferenza. In quel momento le è nata nel cuore questa domanda: come faranno quelli che veramente non hanno questo tesoro grandissimo nell’anima a vivere situazioni di dolore? Come faranno a sopportare il peso della vita? Come faranno a sopportare le tenebre che invadono l’anima che è schiava della morte, che è schiava del peccato? San Paolo dice che "il salario del peccato è la morte" (Rm 6, 23), allora le anime schiave del peccato vivono questo stato di morte. E così sentiva questo desiderio di spendere la sua vita per andare a cercare tutti quei figli di Dio che non conoscevano Colui che è l’Amore, non conoscevano Colui che è la vita, ma anzi conoscevano molto da vicino colui che è la morte, perché erano morti dentro.

Dato però che la sua malattia le impediva di seguire questa vocazione, Chiara ha chiesto al Signore un segno: "Se quello che sento me lo metti nel cuore Tu, mettimi anche in grado di farlo". Era quasi cieca, stava malissimo, era in ospedale e ha avuto una guarigione improvvisa che i medici non sono riusciti a spiegare. Per lei è stato un segno chiaro di questa volontà di Dio e pochi mesi dopo, il giorno del mio compleanno (non me lo scorderò mai questo compleanno, era estate), lei mi prende la sera in un angolo della casa dove stavamo facendo una festa (una festicciola … niente di che, in un giardino) e mi dice: "Senti, ho pensato di dirti questo, tu sai che io sono stata male, però io vorrei andare in giro nelle strade del mondo a portare l’amore e la gioia del Cristo Risorto, a portare la vita a tutti i nostri fratelli, a tutti quei giovani che sono schiavi della morte, a tutti quei giovani che non hanno trovato chi testimoniasse loro l’Amore, che non hanno mai conosciuto l’amore, andando la notte nelle strade, nelle piazze, nei posti peggiorii dell’umanità".

Io lì per lì la guardai e dentro di me dissi: "Ma perchè proprio a me viene a raccontare questo? Ma guarda che regalo di compleanno mi deve fare!". Invece era il più bel regalo di compleanno che ho mai ricevuto, perché è la vocazione della mia vita. Io non sapevo il perchè, forse non sapeva neanche lei perché aveva sentito di parlarne con me. Perché anche io in qualche modo l’avevo sempre sentito, era una cosa che stava nel profondo del mio cuore, di cui non parlavo mai con nessuno: l’incontro che avevo avuto con la risurrezione, con Gesù, con l’amore aveva dato senso alla mia vita che prima era proprio sul baratro. Per me il dolore non aveva senso, tutto quello che avevo vissuto fino a quel momento per me non aveva avuto senso e dopo il mio incontro con l’amore di Dio mi era rimasta questa grande passione: io voglio dare a tutti questa medicina meravigliosa che è l’amore di Dio, perché se l’amore di Dio ha trasformato la mia morte in vita, può farlo con chiunque. Avevo questa convinzione, che è diventata la condizione della mia vita: se è stato possibile con me è possibile con chiunque, se l’ha fatto con me può farlo con chiunque. Non è che io avessi fatto chissà quale vita, però so quale morte avevo nell’anima. Avevo la morte! Quindi se è stato possibile che l’incontro con Gesù, l’incontro con l’Amore trasformasse la mia morte in vita, Gesù può trasformare ogni morte in vita, qualunque morte, qualsiasi sia la morte dell’anima del fratello che posso incontrare, qualsiasi, non ce n’è una in cui non può farlo.

Quindi se da un lato mi sono detta: "Perché proprio a me?", dall’altro lato ho pensato che era proprio quello che il mio cuore da sempre cercava: vivere per questo, vivere per portare la risurrezione dove c’è morte, la morte più nera, quella morte che alcune volte ha anche degli aspetti esteriori plateali come può essere la delinquenza, la droga, la prostituzione, il vivere ai margini, l’esser poveri anche fisicamente; altre volte non è un disagio evidente ma è altrettanto sostanziale, come per tante persone che vivono una vita di gravissimo peccato o che non hanno mai avuto modo di incontrare l’amore.

E da quell’estate in poi è stato un crescendo …

Ad un certo punto abbiamo cominciato a cercare una casa. Chiara aveva cominciato ad andare la notte alla Stazione Termini di Roma, che a quell’epoca era proprio un luogo infernale - ve lo assicuro perché ci sono stata - un luogo dove la legge era la violenza, l’odio e lo sfruttamento reciproco, ed è tuttora così nelle nostre strade, nelle nostre piazze.

Andare perché? All’inizio, la notte, non andavamo insieme: lei andava da sola e così pure io, poi abbiamo cominciato ad andare insieme, poi piano piano si è creato un popolo. Però all’inizio, andavamo proprio da sole. Ma cosa andavamo a fare nella strada di notte, in mezzo ai delinquenti, ai drogati, alle prostitute, a mezzanotte, all’una? Per due ragazzette non è proprio la cosa più tranquilla della terra, praticamente senza un soldo perché non eravamo tanto ricche da portare panini, coperte, no, non portavamo niente.

È stato proprio come la sposa del Cantico dei Cantici che va in cerca dello sposo, di questo sposo sofferente che è racchiuso nel cuore e nell’anima del fratello. Sentire il grido lacerante di questo popolo che muore, muore per mancanza di conoscenza, come dice il profeta Osea: "Il mio popolo muore per mancanza di conoscenza" (Os 4, 6). Conoscenza di chi? Non manca di una conoscenza intellettiva, manca di un incontro con Dio. Sentivamo dentro di noi anche quell’altra parola che dice: "Questo popolo muore, chi manderò? (Cfr. Is 6, 8) e rispondevamo: "Signore, manda me anche se sono piccola, anche se sono fragile, anche se sono peccatrice, anche se io personalmente sono di una timidezza allucinante, sono una timida che quando incontra una persona nuova fa fatica anche solo a trovare un argomento con cui parlarle". Il Signore poi mi è venuto in soccorso e negli anni mi ha dato un marito che invece fa tutto il contrario: parla, parla, parla e io dico: "Meno male che ci sei tu", però il mio carattere è così. Quindi, figuratevi!, come andare in mezzo a questi drogati, malavitosi, prostitute e che dirgli? Non puoi andar lì e dire: "Guarda, il Signore ti ama". Ti arriva una bottigliata in fronte! Invece per noi è stato scoprire qualcosa di meraviglioso, è stato scoprire che l’onnipotenza di Dio si manifesta sulla nostra debolezza. E abbiamo cominciato proprio così.

Prima di andare alla stazione trovavamo un posto, una chiesa dove andare a fare adorazione; pregavamo, cercavamo di prendere forza dall’incontro con l’Eucaristia. In genere in quei giorni facevamo anche un digiuno, cercavamo di essere radicali per essere il più possibile libere, nonostante la nostra miseria, nonostante il nostro peccato, perché lo Spirito Santo in qualche maniera potesse entrare, potesse parlare attraverso di noi, potesse amare soprattutto!

Sentivamo che non dovevamo andare a parlare, non dovevamo andare a dare, dovevamo andare ad amare. Ecco, se io dovessi descrivere che cosa andavamo a fare, che cosa fa tuttora la gente di Nuovi Orizzonti nelle cosiddette evangelizzazioni di strada, direi così: si va ad amare. Non si parte neanche col principio di andare a convertire, ad evangelizzare. No, si va a portare amore, ad essere amore, quelle braccia d’amore e di misericordia di Dio che vogliono andare incontro ai proprio figli, quei figli che hanno il cuore così indurito dal dolore, dalla sofferenza, dal peccato, che è un cuore che non arriverà mai a sentire direttamente l’amore di Dio se non ci sarà qualcuno che se ne farà strumento.

Quindi siamo andati in queste strade. Ricordo bene queste esperienze della notte che per me sono rimaste dei grandissimi miracoli. Pensate: pur essendo così timida, uscivo da casa di mia madre vestita più o meno normale, passavo nella casa dove abitava Chiara, mi mettevo dei vestiti un pochino più da strada, lasciavo la borsetta e prendevo solo i soldi per il biglietto dell’autobus o della metropolitana. Andavo in strada, facevo tutto il mio giro e poi ritornavo a casa di Chiara sempre con l’autobus a Roma di notte, mi ricambiavo, ritornavo da mia madre e lei pensava che ero uscita con le mie amiche, che ero andata a mangiare una pizza, perché chiaramente non puoi dire a una mamma che fai cose di questo genere: l’avrebbe presa male, diciamo così … Credo che ancora oggi non sappia che sua figlia ha fatto questo o perlomeno fa finta di non saperlo.

Allora andavamo così, me lo ricorderò sempre: prima mi fermavo alla stazione Termini, sotto c’è una cappellina, mi mettevo lì e pregavo, mi mettevo in adorazione davanti a Gesù Eucaristia, poi uscivo e dicevo il rosario camminando, mi dicevo: "Va bene, intanto preghiamo un altro po’, sennò chissà che faccio". Poi andavo là e mi ricordo per esempio che una volta incontrai un ragazzo uscito dal carcere. Non mi ricordo più quale sia stato il motivo di aggancio, ma cominciammo un po’ a parlare, alla fine questo ragazzo iniziò ad aprirsi. So che succede così perché poi negli anni ho potuto constatare che è la verità: il primo giorno che esci dal carcere da una parte sei felicissimo perché finalmente sei libero, dall’altra, se quando esci non hai una casa, non hai una famiglia, non hai un’opportunità, non hai nessuno, dopo la prima mezz’ora, un’ora, due ore, ti prende la solitudine e pensi: "Almeno in carcere c’era quello con cui potevo chiacchierare nella cella, quell’altra persona con cui potevo parlare … Qui mi ritrovo solo, completamente solo". Questo ragazzo mi disse: "Guarda, a me ha fatto così bene quel sorriso che tu mi hai dato, sono rimasto proprio colpito". E continuò: "Allora forse anche fuori dal carcere c’è ancora qualcuno che si accorge che io esisto, che ci sono, semplicemente che ci sono" e la chiacchierata è andata avanti così ... La cosa bella era, dunque, questa: la persona aveva percepito di aver incontrato qualcuno che si era accorto di lui e da questo incontro aveva percepito che lui esisteva, che era degno di attenzione, che era degno di essere amato, che era degno anche di un semplice "scusa". Altre volte ho avuto modo di incontrare tantissime persone, tante ragazze di strada, e in quel periodo abbiamo raccolto tante, tante persone che a un certo punto del discorso ci chiedevano: "Ma senti, mi porti via di qui?".

Una sera avevo cominciato a parlare con una prostituta, eravamo sedute sul bordo di una scala mobile e veniva un cliente, poi ne veniva un altro e lei diceva: "No, no, no, stasera no, che ho un’amica con cui parlare". Arrivò uno che gli disse: "Ma l’amica tua quanto vuole?" e lei: "Come ti permetti? Questa è una brava ragazza, ma vedi quello che ti faccio!". E alla fine disse: "Ma perché non mi porti via, perché non mi porti via?". E dove ti porto? Torno a casa e mi porto pure lei? Andiamo fuori tutte e due. Dico: "Guarda, purtroppo non ho un posto dove portarti". Lei risponde: "Allora cosa mi lasci di te?". Ed io avevo i capelli lunghi e neri all’epoca, anche lei aveva i capelli lunghi e le lasciai il fermaglio dei capelli: "Guarda, io ho solo questo". "Va bene, lasciami questo". Questa ragazza non l’ho mai più vista perché il mondo della strada è un po’ così, oggi ti incontri, domani non ti incontri … però il suo sorriso e le sue parole, come le parole di tanti altri, sono rimaste proprio impresse nella mia anima. Quel grido mi è rimasto impresso. Pensate, se io quella sera avessi avuto un posto dove portarla, sarebbe stata una cosa bellissima.

Proprio per questo con Chiara abbiamo iniziato affannosamente a cercare una casa dove portare questi fratelli che incontravamo di notte nella strada. Cerca, cerca, cerca … Sapeste a quante porte abbiamo bussato, quante porte … incredibile. Alla fine la prima fu una casa in affitto, una villetta in un comprensorio, uno di quei posti nelle periferie. Era a Trigoria, nella periferia sud-est di Roma dove la gente ha anche ville con piscina. Vedendo due ragazze, questi incoscienti padroni di casa ci hanno dato in affitto una villa che per noi costava tantissimo perché costava più degli stipendi che prendevamo all’epoca (avevamo scelto di lavorare in una comunità di tossicodipendenti proprio per formarci umanamente e lavoravamo part-time anche per avere altro tempo libero). Il mio stipendio, quello di Chiara e poi quello di Tonino, che è stato il terzo pazzo a venire con noi, neanche bastavano a coprire questo affitto, però era stata l’unica casa che avevamo trovato e veramente ci siamo fidati della Provvidenza e l’abbiamo presa. Una casetta di trecento metri quadri su tre piani, quasi priva di mobili, che abbiamo riempito di materassi. Di giorni, uno sopra l’altro facevano da divano, la notte si sdoppiavano e diventavano letti. In questa villetta siamo arrivati ad abitarci in ventiquattro, come abbiamo fatto non lo so … si è riempita. Non facevamo più neanche in tempo ad andare per la strada, è stato un dilagare di ragazzi tossicodipendenti, di ragazze con problemi di prostituzione, una ragazza madre, persone che venivano dalle sette e poi giovani che provenivano dalla cosiddetta vita normale e che volevano condividere con noi questa esperienza: tutti lì dentro.

Ecco il dono, quello che noi abbiamo sempre definito il "dono meraviglioso": metti insieme il picchiatore della banda, la prostituta, il delinquente che esce dal carcere, la ragazza madre bisognosa di affetto, i volontari, tutta questa gente insieme in uno spazio così ristretto e noi che ci guardavamo con Chiara e dicevamo: "Ma adesso che facciamo con tutta questa gente?". Più camminavamo in questo mondo e più ci rendevamo conto che andavamo ad incontrare delle piaghe dell’anima profondissime, profondissime … C’è capitato e ci capita tuttora - è la nostra vita - di raccogliere secchi e secchi di dolore per cui ci vuole veramente una grazia speciale. Io credo tanto nel rapporto con Gesù e con Gesù Eucaristia, perché umanamente sarebbe impossibile reggere tutto il dolore e la sofferenza di tante persone che ti riversano dentro l’angoscia, la disperazione, il peccato, anche quello grave di cui sei custode, la sofferenza che viene dal peccato che uno può aver commesso, le tragedie del peccato che gli altri hanno commesso su qualcuno, violenze indicibili. Tutte queste cose che ti entrano dentro, dentro… tanto che certe volte mi dico: "Ma come faccio ad essere ancora viva? Veramente è un miracolo di Dio". Per noi è stato così.


di Loredana Seno/ 23/07/2007 - korazym.org

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