Basta con il femminicidio!

Ciudad Juárez, città messicana al confine con gli Stati Uniti, è stata definita dalle organizzazioni per la difesa dei diritti umani “capitale dei crimini contro le donne”. Dal 1993, si registrano oltre 400 donne uccise - spesso dopo essere state torturate stuprate e mutilate - e oltre 600 scomparse. Abbiamo incontrato Marisela Ortiz Rivera, una delle fondatrici di Nuestras Hijas de Regresso a Casa - associazione di parenti e amici delle donne assassinate - che è stata in Italia, anticipando di pochi giorni l'arrivo del presidente messicano Calderon.

Basta con il femminicidio !

“Benvenuti a Juarez, il Municipio più dinamico e progressista della frontiera nord del Messico…”. Si apre con questa frase il sito istituzionale di Ciudad Juarez, con i saluti di Héctor Murguía Lardizábal, governatore del Municipio. La città oggi conta circa un milione e mezzo di abitanti, e prende il nome dal Benemerito Don Benito Juarez, illustre personalità messicana che ricoprì anche la carica di Presidente della Federazione ed è tuttora ricordato per il suo impegno in difesa dei diritti di libertà del popolo messicano. Bagnata dal Rio Bravo, che fa da confine naturale con gli Stati Uniti, è il primo passo per i gringos nel “cortile di casa”. È illuminata da luci al neon che lampeggiano nelle strade del centro, tirato al lustro con i soldi facili del narcotraffico, delle maquiladoras (fabbriche di assemblaggio di proprietà straniera che godono di particolari privilegi fiscali) e del turismo. Ma per le giovani donne, che arrivano a Juarez da tutto il Messico in cerca di un lavoro, malpagato e senza nessun diritto riconosciuto, il benvenuto non è scontato, e neppure la difesa dei diritti alla libertà tanto cari al Benemerito. La maggior parte di loro si stabilisce nelle Colonias, le zone periferiche della città, dove vivono le persone povere. Qui, ombre di assassini si aggirano per le strade buie, liberi e impuniti.

Dal 1993, anno in cui si è iniziato a contarle in maniera sistematica, si registrano oltre 400 donne uccise - spesso dopo essere state torturate stuprate e mutilate - e oltre 600 scomparse. Cifre probabilmente sottostimate, anche perché è difficile contare sui dati ufficiali, ma che fanno già rabbrividire, tanto da aver portato alcuni studiosi (per lo più antropologi), alla coniazione di un triste neologismo, il femminicidio. Ma gli omicidi di donne raggiungono cifre allarmanti anche nel resto del Messico, così come in Guatemala, El Salvador e in tutto il Centroamerica. Questo fenomeno viene per lo più ignorato dall'opinione pubblica e considerato dalle autorità locali inesistente, probabilmente per non turbare equilibri di questi paesi, già precari. Tra tutte, Ciudad Juárez è stata definita dalle organizzazioni per la difesa dei diritti umani “capitale dei crimini contro le donne”.

Loro, le donne e le loro famiglie si sentono abbandonate e impotenti di fronte a tanta violenza e impunità. Per questo nel 2001, Marisela Ortis Rivera insieme ad altri familiari e amici delle vittime di questi assurdi femminicidi, hanno deciso di fondare l'associazione “Nuestras Hijas de Regresso a Casa” (le nostre figlie di ritorno a casa), con l'intento di creare una rete di solidarietà tra le famiglie che hanno perso una parente, ma anche con quello di far sapere al resto del mondo cosa succede a Ciudad Jurez e avere finalmente giustizia. E' con questo intento che la signora Ortiz Rivera, per la prima volta in Italia, ha partecipato a fine maggio, ad una serie di iniziative in alcune città della penisola, per dire cosa succede ancora nella sua città, e affinché Ni una mas, (non una di più) sia vittima di questa inconcepibile morte.

Marisela Ortiz Rivera è stata l'insegnate di Lilia Alejandra Garcia Andrade, 17 anni, ritrovata morta dopo cinque giorni di torture e sevizie, in un campo incolto. Solo allora la signora Ortiz Rivera ha capito che quello che raccontavano i giornali e le autorità erano solo falsità, “dei veri e propri insulti all'intelligenza umana”, così ha deciso di prendere coraggio per difendere la memoria della sua allieva e quella di tutte le altre vittime e chiedere giustizia.

La professoressa ha risposto ad alcune domande:

Come si vive oggi a Ciudad Juarez ?

Ci sono due posizioni predominanti: una parte degli abitanti che vive nel terrore, sono quelli colpiti da vicino da questi omicidi, sconvolti per l'accaduto e ancora con la paura che possa succedere di nuovo perché magari hanno altre donne a rischio in famiglia. Anche gli attivisti vivono nel terrore quelli che come me lavorano per fare giustizia, io stessa sono stata minacciata di morte più volte; poi c'è l'altra parte della popolazione che non si rende conto di quello che succede, che legge i giornali, vede i telegiornali e sente le dichiarazioni di polizia e amministratori pubblici, loro minimizzano il problema, fanno credere che riguardi solo una tipologia di donne, prostitute, drogate, che magari vanno in giro la notte vestite in maniera provocante, o magari hanno delle relazioni con uomini violenti.

Non è così ?

No, non è solo così. Questi omicidi colpiscono donne che in comune hanno solo la modesta estrazione sociale e il fatto di trovarsi sole e indifese. Molte di loro lavoravano nelle Maquiladoras, quindi spesso uscivano di casa con camice da lavoro lungo fin sotto il ginocchio, non certo con vestiti provocanti quindi. Mass media e autorità locali tendono a rassicurare i cittadini, criminalizzando le vittime, per far credere che le persone per bene, non hanno di che preoccuparsi. È una strategia per tranquillizzare la gente, capita spesso che i giornali mettano in prima pagina le foto delle vittime, delle quali magari non si sa ancora neppure il nome ma loro sanno già che era una prostituta. I parenti non sono stati neppure avvisati, e si ritrovano le foto agghiaccianti delle loro care sui giornali e oltre al dolore per il fatto in sé, si aggiunge quello per le menzogne che vengono raccontate.

Che motivo hanno le autorità e i mezzi di comunicazione di comportarsi così? Coprono qualcuno e così facendo si rendono complici di questi omicidi. Dietro questi assassini ci sono i clan mafiosi, i narcotrafficanti. Juarez, è ormai un centro nevralgico di traffico di droga con gli Stati uniti, più importante persino di Medellin o di altre città note per questi traffici. Girando per strada si vede ricchezza e benessere nel centro e miseria e discriminazione nelle periferie. I cadaveri di queste donne, bambine, madri, studentesse, vengono ritrovati con dei segni di estrema violenza, sessuale e non solo. Alcuni con dei veri e propri messaggi incisi nel corpo, destinati ad altri gruppi mafiosi. Le persone coinvolte sono dei pezzi grossi, degli intoccabili. La polizia e le autorità spesso sono coinvolte direttamente, o indirettamente rendendosi cosi complice anche di questi crimini. Da un po' tempo a questa parte non fanno ritrovare neppure i cadaveri, così da non andare ad aumentare la lista ufficiale di assassinate.

Perché tanta violenza nei confronti delle donne ?

Non è semplice da spiegare. È un problema sociale molto complesso, il fatto che le donne debbano spostarsi da sole in un'altra città per trovare lavoro, la situazione di città di frontiera quale è Juarez, riti di iniziazione che vengono richiesti per far parte di clan malavitosi. L'impunità nella quale queste persone agiscono non fa altro che dare un senso di onnipotenza a questi criminali e rendere sempre più complicata la soluzione dei crimini e la giustizia.

Vi siete rivolti alle Istituzioni Federali ?

Si, ai tempi di Vincente Fox, furono individuati un centinaio di responsabili di negligenza, per la conduzione delle indagini e per l'impunità dei responsabili, quando individuati. Ma poi non è successo nulla, perché la questione è rimasta interna allo Stato di Chihuhaua e poi il tutto è andato in prescrizione. Ho avuto anche modo di incontrare personalmente Felipe Calderon, prima che venisse eletto Presidente. Ascoltò con attenzione e con le lacrime agli occhi, promettendo di impegnarsi per risolvere questa gravissima situazione. Ma ora che è alla presidenza, abbiamo chiesto udienza più volte in questi mesi, ma nessuno ci ha dato ancora risposta. Paradossalmente è più facile richiamare la sua attenzione dall'estero, piuttosto che in Messico.

È per questo che ha deciso di portare all'attenzione internazionale la sua battaglia per la giustizia ?

Si, i politici messicani sono molto interessati all'opinione che hanno di loro all'estero. Per questo per me è più facile ed efficace, parlare all'estero che nel mio Paese. Se quello che succede a Juarez succedesse in un paese europeo sarebbe inammissibile e provocherebbe delle reazioni immediate. Per fortuna stiamo ricevendo molta solidarietà, e questo è molto importante per noi, non sentirci soli, e sapere che dall'altra parte del mondo ci sono persone che ci sostengono, ci dà la forza per continuare.

Avete l'appoggio della Chiesa Cattolica ?

No, l'appoggio si limita alla solidarietà di qualche sacerdote sensibile, che magari dedica una giornata di preghiera per le vittime. Ma il vescovo della città per esempio ha preso una posizione vergognosa e denigrante per noi amici e familiari delle vittime. Ha dichiarato che questi fatti succedono a persone lontane dalla chiesa, prive di valori e per questo punite. Non vogliono che si parli di questo problema sociale perché dà una brutta immagine della città, in realtà noi sappiamo bene che tante chiese sono state costruite con i soldi dei narcotrafficanti, che vivono sotto la protezione delle istituzioni, anche di quelle ecclesiastiche.

Cosa si può fare da qui per la vostra causa ?

Per noi è molto importante che nel resto del mondo di sappia quello che succede a Ciudad Juarez, la diffusione delle notizie è fondamentale. La solidarietà che riceviamo non ci fa sentire sole i consigli e il sostegno di tutti ci danno la speranza che presto si possa avere giustizia sociale e politica per queste vittime innocenti.

Il 30 maggio scorso Marisela Ortiz Rivera ha incontrato il Presidente della Camera Fausto Bertinotti. Un'occasione per mettersi subito a lavoro visto che l'Italia ora siede nella Commissione per i Diritti Umani delle Nazioni Unite.

30/07/07 - di: Elvira Corona - ecplanet.com

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