Tutti schiavi del doping

La fine del Tour segna l’inizio di un ciclismo nuovo, credibile, trasparente, oppure ha segnato l’inizio della fine per lo sport più praticato al mondo? E anche la fine della corsa più affascinante? In Francia peggio di così non poteva andare, diciamolo. Quel mostro chiamato doping si è mangiato una Maglia Gialla (Rasmussen), ha ingoiato l’eroe della corsa (Vinokourov) e altri bocconi assortiti (ad esempio Moreni).

Il giovane vincitore Alberto Contador pare a sua volta toccato dall’inchiesta madrilena «Operacion Puerto» (quella che ha incastrato Basso), mai chiarita fino in fondo. E il fatto che nei primi 25 della classifica finale figurino 13 spagnoli non è una pezza d’appoggio da esibire per la corsa francese: tutti sanno che il metro di misurazione del doping in terra iberica è sempre stato un po’ più corto che altrove.

Gli ottimisti sostengono che proprio i casi di positività venuti alla luce sono la dimostrazione della via nuova: serietà, severità, pulizia cominciano a pagare. I pessimisti dicono che non ci sarà speranza finchè non sarà ripulito a fondo l’ambiente. Non basterà fermare per due anni le corse, hanno risposto giorni fa gli addetti ai lavori alla nostra proposta provocatoria, se quei due anni non verranno usati per tagliare tutti i tentacoli della piovra. E i tentacoli più lunghi non appartengono ai corridori, ma ai troppi personaggi che stanno loro intorno, lucrano sulle ambizioni degli attori e tirano i fili come si fa con le marionette.

Missione impossibile dunque? All’interrogativo non può sfuggire il fatto che il doping riguarda tutti gli sport: la spirale fu innescata dall’avvento della televisione (risalgono al 1954 le prime grandi riprese sportive in diretta, i Mondiali di calcio in Svizzera). Prima la tivù diede allo sport grande visibilità, poi portò sponsor sempre più padroni, quindi denaro a cascata, forti interessi, e dunque innescò astuzie assortite per conquistare il piatto.

Indietro non si torna, dove la posta è alta i bari ci saranno sempre. Il doping riguarda tutti, la guerra non sarà mai vinta completamente ma la battaglia va fatta in ogni caso per porre degli argini. E va fatta di più nel ciclismo, dove c’è chi inventa attentati orrendi contro la salute. Lo sport delle due ruote è il più praticato al mondo, abbiamo detto. Non per numero di iscritti alle federazioni nazionali ma per plebiscito. In fatto di ecologia, praticità e risparmio la bicicletta oggi (e sempre di più domani) sarà il mezzo maggiormente usato. Dunque il ciclismo in quanto tale non morirà mai. Ma si sta ammalando l’interesse del pubblico, delle tivù, degli sponsor, perché perde colpi la credibilità del risultato, il motore intorno al quale tutto si muove. Questo Tour ha avuto il merito di far cadere gli ultimi veli. Ora il ciclismo è nudo, serve urgentemente un vestito dignitoso.


30/07/07 - GIANNI ROMEO - lastampa.it

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Basta guerre nel mondo!