L'altro Gattuso mondiale "Ragazzi, non fatevi fregare"

E' tornato a Schiavonea in Calabria con la Coppa del mondo: "Penso alla
finale e mi emoziono"

"L'affetto della gente è enorme verso noi di Berlino, però servono stadi
moderni"

SCHIAVONEA - Che la Coppa del mondo, alla vigilia del 9 luglio,
sia finita in bacheca nel castello normanno di Corigliano non è affatto
un caso. Perché il simbolo del trionfo di Germania è più di tutti un
figlio di Calabria: Gattuso, nato e cresciuto sulla marina ionica di
Corigliano, a Schiavonea. Dove papà Franco, maestro d'ascia che
costruiva le barche per i pescatori del paese, ha forgiato il mediano
per definizione, facendolo allenare di corsa su e giù per le scale di
casa. Dove Rino giocava sulla spiaggia coi fusti della nafta come porte.
Dove gli amici d'infanzia Salvatore e Valentino hanno appena fondato il
fan club, già 1200 iscritti da tutto il mondo.



E dove lui, ieri, tra un allenamento nel campetto di casa, una visita
allo stabilimento di depurazione dei molluschi inaugurato un anno fa e i
nuovi progetti per la Fondazione Forza Ragazzi (sostegno economico e
sociale per i ragazzi calabresi in difficoltà), ha parlato della sua
vita da campione del mondo.



Chi è Gattuso, un anno dopo Berlino?

"Uno che si emoziona per mille ricordi di quel mese straordinario, con
più voglia e carica di prima, e che non dimentica mai di essere partito
da questa terra bella e difficile. Mi pare un sogno".



Non è la retorica del Nord privilegiato e del Sud figliastro?

"Per un ragazzo del Sud è meno dura di un tempo. Però io ho avuto la
fortuna di una famiglia che mi ha permesso di andare a Perugia a 13
anni, anche se mia mamma non mi voleva lasciare partire per Perugia e io
prendevo a calci la casa. Se il Sud avesse più strutture, non sarebbe
necessario partire".



Siamo ancora ai tempi di Mennea?

"Quando avevo 9 anni, vidi in tv un film dedicato a Panetta, il
fondista. Si chiamava "Il ragazzo di Calabria", era il mio chiodo fisso.
Mi identifico molto nella storia. Il nostro messaggio ai giovani è lo
stesso. Inseguire i propri sogni. Credere in qualcosa. Sapere che con
l'impegno si possono raggiungere gli obiettivi, in ogni campo. Mettere
passione in tutto quello che si fa".



Sente molta responsabilità verso i ragazzi?

"Moltissima. So che mi vogliono emulare. Quindi, prima di tutto dico che
nella vita il successo, la ricchezza, il Rolex, l'auto di lusso non sono
valori. E poi cerco di stare attento ai particolari: avevo detto che per
la Champions mi sarei fatto biondo con l'orecchino. Beh, era una
sciocchezza e se potessi, mi toglierei il tatuaggio sul braccio".



Lei è orgoglioso di essere chiamato terrone e non ama Bossi e i
leghisti.


"Spesso gli diamo modo di parlare male di noi. Faccio un esempio: la
spiaggia di Schiavonea è sporca, eppure avremmo dieci mesi per
prepararci all'estate. Siamo i primi a non rispettare la nostra terra".




Il problema più serio?

"La droga. Anche se non mi stupisce, visto che il modello proposto dai
media è Kate Moss e farsi di cocaina sembra quasi un titolo di merito".




Non è che il calcio italiano abbia un'immagine migliore.

"Però Germania, Spagna e Inghilterra non si sono crogiolate nei loro
scandali. Meno male che Platini vuole dare più voce ai calciatori. Così,
forse, si sfaterà il mito del campione tutto moda e veline. Guardate
Totti: fa un sacco di cose importanti per Roma, ma passa per uno
superficiale".



La vittoria mondiale è stata inutile?


"No, l'affetto della gente è enorme. Ma sono vitali stadi nuovi, questi
sono sempre più vuoti. Tra parcheggi e ristorazione, il Bayern si
finanzia la campagna acquisti".



Con Toni e Grosso fanno quattro campioni del mondo all'estero.


"I club italiani diventano meno ricchi e competitivi. Serve più
attenzione ai giovani. E' così assurdo pagare mille euro al mese a un
potenziale campione di 16 anni? Io non mi vergogno di ammettere che
andai in Scozia per soldi".



Quindi prima o poi Kakà finirà al Real Madrid?

"Certe offerte di ingaggio metterebbero in confusione chiunque. Ma Kakà
è del Milan e lo resterà".



Basta per ripetere Atene?

"Siamo una squadra in età, ma so che cosa possiamo dare ancora. Il primo
obiettivo è il Mondiale per club in Giappone: storicamente è difficile
per il Milan. Poi a questo gruppo non farebbe male un altro scudetto".




Shevchenko o Pato o Bianchi: tutto qui?

"E' giusto che il Milan non si faccia prendere per il collo da nessuno".




Però, da 35 mila abbonati, con Ronaldinho si passerebbe a 70 mila:
sponsor annessi, più di metà dell'operazione sarebbe già pagata.


"Sono abbastanza d'accordo. Il mercato, comunque, lo fanno Galliani,
Ancelotti e ovviamente Berlusconi. Piuttosto bene, stando ai risultati".




I casi Nesta e Totti in Nazionale?

"Devono decidere con Donadoni. Certo, due così ci farebbero comodo. La
Francia è un brutto avversario, tanto più per il mancato anticipo del
campionato, anche se lamentarsi non serve più".



E lei, quando darà l'addio alla maglia azzurra?


"Finché non mi cacciano, non ci penso nemmeno. Ho in testa l'Europeo:
impensabile che l'Italia non ci vada".



A fine carriera tornerà a Schiavonea?

"Se finisco nel Milan, la mia casa è quella. In quale ruolo non so,
magari coi giovani".



E' il manifesto di un futuro mister?


"L'idea di allenare non mi dispiace. Appena rifanno
il corso per il patentino di terza categoria a Varese, mi iscrivo. Non
si sa mai, mi porto avanti col lavoro".


8 luglio 2007 - di ENRICO CURRÒ - repubblica.it

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