Voglia di welfare

MARIO DEAGLIO

Nonostante il gran rumore che se ne è fatto, la legge finanziaria approvata la scorsa settimana dal Senato e ora passata all’esame della Camera sposta soltanto briciole di reddito.

Per la maggioranza degli italiani gli introiti annuali aumenteranno appena di pochissime centinaia di euro, per di più con la forte probabilità che queste somme vengano riassorbite da aumenti, nelle imposte o nei prezzi dei servizi pubblici, operati da amministrazioni locali a corto di risorse.

La difficoltà italiana a operare un deciso risanamento finanziario rappresenta però soltanto una variante di un ben più vasto disagio europeo. In Francia, lo sciopero dei ferrovieri, provocato dalla volontà del governo del presidente Sarkozy di eliminare i trattamenti pensionistici speciali dei ferrovieri, è stato prolungato sotto la pressione della base, ha sconvolto l'intero sistema dei trasporti e riscuote le simpatie in una vasta parte della popolazione; in Germania, dove il partito socialista ha via via assunto posizioni più radicali, le dimissioni del vice-cancelliere Müntefering, un socialista moderato, mettono in dubbio la tenuta della «Grande Coalizione» della signora Merkel. La tensione è sfociata anche qui in uno sciopero dei trasporti non ancora risolto che sta lentamente bloccando l'economia tedesca.

Nei due principali Paesi della zona euro i governi si rivelano quindi impotenti a conciliare la sostenibilità finanziaria pubblica con soluzioni sociali accettate da una maggioranza ragionevolmente larga. Un altro Paese europeo, il Belgio, è senza governo da quasi sei mesi per l'incapacità delle forze politiche di accordarsi su alleanze e programmi: se è vero che un mal comune è un mezzo gaudio, chi si duole dell'inconcludenza politica italiana può trarre qualche sollievo guardando a quanto succede a Bruxelles.

Quest'inefficacia dei tradizionali, collaudatissimi meccanismi di funzionamento dell'economia e della politica economica si spiega, almeno parzialmente, con l'effetto congiunto del mutamento dei modi di produzione e dell'invecchiamento della popolazione che sposta quote di risorse dal lavoro al capitale e dai giovani agli anziani (senza peraltro soddisfare le necessità crescenti di questi ultimi). Si creano così nuove domande alle quali le leggi finanziarie e le politiche economiche tradizionali non sanno dare risposte efficaci. I nuovi modi di produzione e la competizione dei prodotti dei Paesi poveri non solo sfavoriscono il lavoro sul piano delle remunerazioni ma ne peggiorano sensibilmente le caratteristiche di stabilità; l'aumento della domanda di salute e della durata delle prestazioni pensionistiche, legati all'invecchiamento, rendono sempre più difficile garantire l'assistenza sanitaria gratuita e i «diritti acquisiti» al pensionamento. Giovani e anziani si scoprono così privi di garanzie sociali sulle quali potevano contare in un passato ancora molto vicino, senza reti di sicurezza, o con reti meno robuste del passato, sempre più spesso con una vita appesa al nulla.

Il peso delle garanzie che ancora sussistono (e del debito accumulato nei decenni per assicurarle) frena, del resto, la crescita economica e la mancanza di crescita economica rende problematica la continuazione del sistema delle garanzie. In questo circolo vizioso si dibattono tutte le Finanziarie, tutti i parlamenti, tutte le élite politiche del Vecchio continente. I tentativi, tra cui quello italiano, di intervenire con una serie di correzioni marginali possono essere lodevoli ma certamente non appaiono risolutivi, anche perché soffocati dal peso degli interessi sul debito pubblico.

Di fronte al diffondersi del disagio i governi allargano impotenti le braccia; e così si diffondono risposte dure e articolate di singole categorie, come gli scioperi francesi e tedeschi (ma anche in Italia, la mancata risoluzione di vertenze contrattuali sta provocando una recrudescenza di agitazioni sindacali); il disagio giovanile si esprime anche in maniera trasversale e a esso si possono ricondurre le violenze delle tifoserie e persino certi delitti.

Si perviene così a una conclusione decisamente scoraggiante: le attuali politiche di bilancio non portano da nessuna parte, non riescono a modificare a sufficienza la rotta di collisione delle navicelle finanziarie dei singoli Paesi verso gli scogli dell'insostenibilità sociale. La discontinuità con il passato, di cui la sinistra correttamente parla, senza peraltro averla sinora esplicitata in nuovi programmi, deve consistere precisamente in questa correzione di rotta.

Essa comporta la costruzione di garanzie sociali nuove, rivolte a tutti i cittadini, anziché il tentativo, a lungo termine votato al fallimento, di mantenere in vita le garanzie esistenti; su questa via, l'esperienza dei Paesi scandinavi, con la garanzia del lavoro e il parallelo obbligo per i lavoratori di accettare, a determinate condizioni, il lavoro proposto, costituisce un esempio da guardare con attenzione.

Se invece, a Roma come a Parigi, a Bruxelles come a Berlino, i governi continueranno ad allargare le braccia, sarà sempre più difficile non solo fare le leggi finanziarie ma prendere qualsiasi decisione veramente significativa di politica economica.

mario.deaglio@unito.it - 19/11/07 - lastampa.it

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