Amato ha ragione

“Nessun Dio autorizza un uomo a picchiare la donna. È una tradizione siculo-pakistana che vuole far credere il contrario -, ha sottolineato il ministro dell’Interno Amato nel suo intervento al convegno su Islam e integrazione. Amato ha più volte ricordato come solo fino agli anni ‘70 si trovavano in Sicilia costumi e tradizioni non molto distanti da quelle che ora in Italia sono importate dagli immigrati di certi gruppi musulmani”. Questo diceva l’Ansa che ho letto ieri mattina. Amato ha ragione. E chi si indigna è un’ipocrita. Molti non si rendono conto di quanti retaggi maschilisti sopravvivano ancora oggi, anche nella cultura siciliana. Solo perché oggi è considerato moralmente deplorevole picchiare una donna e per il fatto che molti uomini non lo facciano (purtroppo qualcuno resta, almeno una donna su tre in tutto il mondo subisce violenza da familiari o dal partner nel corso della vita, secondo il Rapporto Onu del 2006), non significa che le condizioni dei sessi siano state parificate. Quante volte si da fiato alle bocche per snocciolare opinioni superficiali su donne, lanciando epiteti e stigmatizzando con saccenza, mettendo etichette, incollando aggettivi a fatti e persone… Spesso è proprio nei discorsi da caffè che vengono fuori i peggiori rigurgiti maschilisti e già questo non vi permette, cari maschietti, il lusso di inorridire di fronte alle parole di Amato. Non me ne vogliate, so che non siete tutti così. Non si tratta di una crociata contro l’uomo in generale. Magari contro alcuni esemplari deviati della specie). Purtroppo, che ci crediate o no, la filosofia del testosterone al potere non si limita alle discussioni da spogliatoio, non appartiene solo alle caricature di celluloide del maschio siculo alla “Gennarino Carunchio”: i casi di violenza domestica sono reali, esistono ancora e si sono perpetrati ben oltre gli anni ’70 citati dal Ministro. La violenza sessuale, uno dei capitoli più tragici nella vita di una donna e che la segna per il resto della sua vita, fino a pochi decenni fa non era nemmeno considerato reato contro la persona, ma un “atto di libidine” contro la morale, equiparabile a un maschio che si masturba in mezzo alla strada. Come se la donna, in quel frangente, non ci fosse nenmmeno stata. Molti non hanno idea del peso del fenomeno della violenza sulle donne perché se ne parla troppo poco. Ma perchè queste donne continuano a stare con questi mostri? Come fanno ad amarli, nonostante tutto? Perché non si ribellano, non lasciano il marito/compagno, perché non lo denunciano? Non è così facile come sembra. Ho letto su un Vanity Fair di qualche settimana fa un articolo che mi ha fatto scattare un grande senso di solidarietà. La cosa che ti ferma dal denunciarlo, in primis è che provi vergogna, perchè devi ammettere a te stessa e a uno sconosciuto che hai subito cose davvero brutte. Passo difficilissimo. Temi il giudizio degli altri. E vivi la denuncia come un tradimento nei confronti del tuo compagno, che comunque ami. Se trovi il coraggio di denunciarlo rischi la denuncia a tua volta, per calunnia, se non riesci a dimostrare i fatti. Anche questo è un passo difficile, perché trattandosi di violenza domestica, vittima e testimone coincidono. Poi ci sono le ragioni psicologiche: scatta un attaccamento reciproco tra la vittima e il carnefice. Chissà perché va a finire che si incocciano la persona fragile, che disistima se stessa e quella altezzosa e boriosa, carnefice in fieri. È come se questi due personaggi si riconoscessero e si scegliessero. E da ultimo, ci sono le cause culturali: la moglie che si mette da parte per la famiglia, che desidera il nucleo unito anche se c’è l’inferno a casa e il clichè dell’inferiorità della donna. Ti sottoponi a queste violenze perchè pensi che prima o poi lui possa cambiare e per i figli. Inoltre ti illudi che subire rappresenti un prezzo da pagare per l’amore (malato) che ricevi. E pensi di meritare ciò che subisci, perchè hai una grande disistima di te stessa. Le autorità e la complessità della burocrazia spesso non aiutano. Se denunci un episodio che per te è un campanello d’allarme e che basta a fartela fare addosso ma non è perseguibile, la tua vicenda viene presa sotto gamba. Se non succede qualcosa di davvero eclatante non vieni protetta. Ma certe volte è troppo tardi. La cronaca purtroppo è piena di fatti del genere. Tornando alla già citata ipocrisia degli indignati: la Prestigiacomo, anziché arruffianarsi i suoi elettori siciliani, intimando al ministro di “chiedere scusa” e minacciando querele, proprio per il ruolo che ha ricoperto durante il precedente governo e in quanto donna, dovrebbe contribuire a divulgare notizie sul problema della violenza domestica e anzi, ricordare a tutti quanto segue (testo tratto dal sito www.epicentro.iss.it):

“Tutte le donne sono a rischio di subire violenza, afferma l’Organizzazione mondiale della sanità. La violenza domestica è infatti uno dei maggiori problemi di salute pubblica in tutto il mondo e rappresenta il caso più frequente di mancato rispetto dei diritti fondamentali dell’uomo. È in casa e all’interno del contesto familiare che le donne vengono più spesso maltrattate, principalmente dal marito o dal compagno. Si tratta quindi di un tipo di violenza silenzioso e invisibile, che gli stessi sistemi giudiziari tendono a non trattare come un reato, ma piuttosto come questioni private.

Secondo le indicazioni dell’Oms, rientrano nella categoria “violenza domestica” tutte le forme di maltrattamento fisico e psicologico, gli abusi sessuali, i condizionamenti emotivi e tutta una serie di comportamenti coercitivi o di controllo esercitati. Ma anche al di fuori delle mura domestiche, la violenza è una delle prime cause di morte e di disabilità permanente al mondo, che ha un elevato impatto sulla vita sia delle donne che degli uomini”.

di Cristiana Rizzo - 12 Luglio 2007 - rosalio.it

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