Pensioni - rapporto sociale 2007

Pensioni - rapporto sullo stato sociale 2007




Mercoledi 27 giugno 2007 è uscito il "Rapporto sullo Stato sociale
2007".

Da questo rapporto emerge un dato ovvio, cioè l'Italia spende poco e
male per le politiche sociale ed è fra gli ultimi paesi dell'Unione
Europea per quanto riguarda la spesa per le politiche del lavoro e per
la formazione continua degli adulti.

Eh Eh....in Italia chi lavora è solo un contribuente da spremere,
precarizzare, sfruttare...etc..



Nell'Europa unita della moneta unica... i sistemi di welfare sono
l'uno diverso dall'altro, è un dato di fatto che l'armonizzazione
economica deve passare per fisco e previdenza in un'ottica di
solidarietà e responsabilità politica comune, qualche dato:


  • nell’Ue la spesa sociale è
    mediamente pari al 27% del PIL, così suddivisibile:

  • 13% nei paesi baltici,

  • 20% nei paesi dell’Est e in
    Spagna,

  • 26% in Italia, Regno Unito,
    Grecia e Finlandia,

  • 30% Centro e Nord Europa

  • 33% in Svezia.


Bene in Italia a fronte di una
spesa sociale pari al 26% del PIL, la spesa procapite è di circa 80
euro contro i 120 di Francia e Germania, cioè la spesa sociale pesa di
più e da di meno.....Non solo “L’inferiorità del dato italiano diventa
più sensibile se si tiene conto che esso include, del tutto
impropriamente, la quota di salario differito destinato al TFR pari
all’1,4% del PIL e se si considera che la trattenuta fiscale sui
nostri trasferimenti pensionistici, pari al 2,4% del PIL, è mediamente
superiore rispetto agli altri paesi cosicché, nel confronto tra le
prestazioni effettivamente erogate, siamo ancora più lontani dalla
media europea di quanto indicano i dati ufficiali”, spiega nell'introduzuione
al rapporto Felice Roberto Pizzuti, docente di Economia Pubblica a "La
Sapienza".



Non solo, perchè dal rapporto emerge che l'Italia è un paese che non
fa nulla per i lavoratori, pur dichiarandosi un paese fondato sul
lavoro, alla prova dei fatti si fonda sui pensionati:

“La nostra spesa per le politiche del lavoro è pari a poco più della
metà della media europea e i trattamenti previsti per le diverse
categorie di lavoratori oltre che complessivamente insufficienti, sono
anche molto disomogenei.La copertura dal rischio di disoccupazione è
particolarmente inadeguata per chi più ne avrebbe bisogno, cioè i
lavoratori che svolgono attività discontinue, coloro che hanno
iniziato a lavorare da poco tempo e i parasubordinati; è del tutto
assente per i giovani e comunque per chi è alla ricerca della prima
occupazione o l’ha persa da molto tempo”.




Infatti, la spesa dei sussidi ai disoccupati si attesta su valori
intorno alla metà rispetto alla media europea e circa cinque volte più
basso che in Olanda e in Danimarca.




In un paese fondato su anziani e pensionati è normale che la spesa
sanitaria sia cresciuta di quasi l’8% rispetto all’anno precedente. I
motivi sono legati sia all’invecchiamento demografico, sia ai maggiori
costi delle nuove cure mediche, sia alle esenzioni spesso regalate a
gogò. A questo quadro si aggiunga l'inappropriatezza di alcune
prestazioni, l’uso spesso inadatto delle strutture ospedaliere dovuto
alla carenza dei servizi di assistenza di base e domiciliari, le liste
d’attesa, l’eccesso della spesa farmaceutica, ed il disastro sociale
del nostro welfare appare evidente e che collaca Italia nella fascia
dei paesi poveri dell'UE (20% della popolazione).

In Italia il reddito del quinto di popolazione più ricca è cinque e
mezzo volte superiore rispetto a quello del quinto di popolazione più
povera.

Dal rapporto arrivano buone notizia invece per la speranza di vita in
buona salute che ci vedono chiaramente al primo posto con più di 70
anni per gli uomini e quasi 75 per le donne; grazie alla dieta
mediterranea ed il bel clima sia di circa 6 e 8 anni in più della
media europea.



Purtroppo, l'Italia appare un paese vecchio basato su “un sistema
produttivo poco dinamico e prevalentemente attratto da una
flessibilità rivolta essenzialmente alla riduzione del costo del
lavoro al quale si associa ad un sistema di welfare caratterizzato da
politiche del lavoro e ammortizzatori sociali inadeguati che non
fornisce la sicurezza necessaria e complementare ad una flessibilità
che dovrebbe essere intesa a favorire il permanere del sistema
produttivo alla frontiera qualitativa della divisione internazionale
del lavoro”.



L'Italia non è una repubblica fondata sul lavoro basta guardare le
statistiche europee in base all’indicatore dell’Ocse sul grado di
protezione legislativa dell’occupazione, per scoprire che l’Italia è
tra quelli con una protezione più bassa. Agli ultimi posti anche per
la spesa per le politiche del lavoro e la formazione continua degli
adulti. “Si tratta di elementi coerenti ad un sistema produttivo dove
prevalgono i settori maturi che richiedono una manodopera che non sia
particolarmente qualificata ma molto flessibile e a basso costo per
poter competere sui prezzi anziché sulla qualità dei prodotti”.



Infatti secondo l’indagine Isfol-Plus nel 2005 il 64% degli occupati
erano lavoratori a tempo indeterminato, quasi il 9% era a tempo
determinato, quasi il 4% erano collaboratori a contratto e il restante
23% erano lavoratori autonomi. E se si considerano i redditi rispetto
ai contratti, si scopre che “rispetto ai dipendenti a tempo
indeterminato, quelli a termine hanno un reddito che mediamente è
circa tre quarti e quello dei collaboratori a contratto scende sotto i
due terzi”. Circa il 15% di tutti i lavoratori ha un reddito da lavoro
inferiore al 60% di quello mediano, la quota sale al 22% nel caso dei
dipendenti a termine e al 58% per i collaboratori a contratto. Le
quote salgono sopra il 15% anche per gli occupati sotto i trent’anni
(21,5%), di sesso femminile (23%) e per i dipendenti di imprese di 1-3
addetti (25%). Si hanno invece valori inferiori al 15% nel caso dei
dipendenti a tempo indeterminato (8,7%), degli impiegati in aziende
sopra i 50 addetti (8,6%), di sesso maschile (9,4%).



....NIENTE DA AGGIUNGERE...SE NON CHE PENA...DISCUTERE DI
SCALONE....DI ANZIANI...E DIMENTICARSI DI CHI LAVORA...infatti
dopo le
riforme il grado di copertura della pensione rispetto all'ultima
retribuzione si è ridotto e ancor più si ridurrà in futuro. Noi
lavoratori saremo pensionati poveri, la cui condizione sarà
particolarmente dura per cui ha lavorato in forma atipica. Prendiamo a
riferimento l'anno 2035: un lavoratore dipendente che andrà in
pensione a 60 anni di età e 35 di contributi avrà una pensione pari al
48,5% dell'ultima retribuzione; potrà avere qualcosa in più - il 64% -
se andrà in pensione a 65 anni con 40 di contributi. Sempre nell'anno
2035, un lavoratore parasubordinato che andrà in pensione con 60 anni
di età e 35 di contributi avrà una pensione pari al 37% dello
stipendio, che salirà al 53% nell'ipotesi di 40 anni di contributi e i
65 di età. Ma, com'è evidente dando uno sguardo alla giungla
flessibile dei contributi parasubordinati, l'ipotesi che tra un
cocopro e l'altro si raggiungano 40 anni di contributi appare assai
azzardata, per ottimismo.

Dunque il meccanismo del contributivo ha già fortemente cambiato i
connotati del sistema pensionistico; per di più, la revisione dei
coefficienti - dei quali oggi si discute - mette a carico dei futuri
pensionati ogni cambiamento demografico-attuariale: cioè, se si
prevede che si vivrà di più, si abbasseranno quei numeretti.


10.07.07 - ecodiario.blogosfere.it

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