Scoperta nel campo dell’infezione HIV

Scoperta scientifica nel campo dell’infezione HIV

Modena - Identificare e capire le basi genetiche grazie alle quali alcuni individui infetti con l’HIV sono in grado di controllare in modo efficace il progredire del pericoloso contagio, mentre in altri – purtroppo – il suo sviluppo segue una tragica e fatale evoluzione, rappresenta oggi una priorità assoluta nella ricerca e nell’individuazione di nuovi trattamenti terapici contro l’HIV/AIDS.


A questo hanno lavorato 19 gruppi in tutto il mondo, dagli Stati Uniti all’Europa e all’Australia, tra cui 3 gruppi di ricerca italiani, coordinati rispettivamente dalla dott.ssa Antonella Castagna e dal prof. Adriano Lazzarin dell’Istituto San Raffaele di Milano, dal dott. Andrea De Luca dell’Università Cattolica di Roma e Fondazione ICONA e dal prof. Andrea Cossarizza dell’Università degli studi di Modena e Reggio Emilia, che recentemente hanno identificato tre geni di fondamentale importanza per il controllo dell’infezione da HIV, aprendo la strada ad interessanti, quanto inattesi, sviluppi anche in campo terapeutico.

Il risultato, accolto con vivo interesse da parte della comunità scientifica internazionale e ora pubblicato sull’ultimo numero della prestigiosa rivista internazionale Science, è stato raggiunto attraverso uno studio portato avanti con l’impiego delle tecnologie più avanzate di genetica molecolare, che ha consentito di analizzare l’intero genoma umano di un gruppo di 486 pazienti, selezionati tra oltre 30.000 individui sieropositivi.

Su un totale di 555.352 varianti genetiche (definite polimorfismi) analizzate in tutti questi pazienti, in particolare ne sono state identificate due che combinate sono in grado di spiegare oltre il 15% delle cause della variabilità nella risposta dei soggetti che hanno contratto l’infezione. In altre parole, le varianti di questi due geni spiegano una buona parte della capacità di controllare in modo efficace l’infezione e la progressione della malattia.


Uno di questi polimorfismi si trova all’interno di un elemento retrovirale endogeno chiamato HCP5, associato all’allele HLA-B*5701 del Complesso Maggiore di Istocompatibilità; l’altro è situato all’interno del locus genetico HLA-C. HCP5 è una sequenza che possiede una elevata alta omologia con il gene virale pol e si suppone possa agire bloccando la produzione di una proteina di HIV e, quindi, inibendo la produzione del virus. Il gene HLA-C è, invece, capace di presentare in modo molto efficace al sistema immunitario una proteina virale chiamata nef, suggerendo che vaccini anti-HIV possano migliorare la loro efficacia quando coinvolgano appunto prodotti genici dell’HLA-C. “E’ la prima volta – dice il prof. Andrea Cossarizza, ordinario di Immunologia all’Università degli studi di Modena e Reggio Emilia – che si riesce ad evidenziare l’importanza dei geni HLA di classe C, e l’importanza dell’osservazione risiede nel fatto che, a differenza di quanto accade per altri geni della famiglia HLA, HIV non riesce a inibire la loro attività”.


Oltre a questi, è stato identificato un terzo polimorfismo genetico, che si trova relativamente vicino agli altri due, all’interno di un gene che codifica una subunità enzimatica chiamata RNA polimerasi, il quale è responsabile del 5,8% della variabilità genetica della risposta al virus dei pazienti HIV+.

La ricerca, iniziata nel dicembre del 2005 e conclusa, per quanto riguarda questo aspetto, nel marzo 2007, che consente di spiegare circa il 20% delle ragioni per cui un individuo “sieropositivo” si difende meglio, è stata finanziata dal Center for HIV/AIDS Vaccine Immunology (CHAVI) presente presso la Duke University di Durham nel North Carolina USA), nell’ambito di un progetto dalla durata di 7 anni cui è stato destinato da un istituzione privata un importo di 300 milioni di dollari.


19.07.07 - bologna2000.com

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