Volevano un milione di dollari

Padre Bossi, i terroristi volevano un milione di dollari


Sono le due di notte, quando in casa di Padre Giovanni Sandalo, il superiore del Pime, squilla il telefono: “Davvero padre Giancarlo è stato liberato? – chiede alle fonti dell’agenzia missionaria Minsa - Questa è una notizia meravigliosa ma noi non sapevamo ancora niente”.


Ma se in quella prima telefonata si sapeva molto poco sulla modalità di rilascio, adesso sembra essere confermato il fatto che non sia stato pagato alcun riscatto, nonostante l’intento dei rapitori fosse proprio di ottenere dei soldi. “Ero un mezzo per ottenere un riscatto”, ha detto oggi Padre Bossi nel corso di una conferenza stampa a Manila, dopo aver incontrato il presidente filippino Gloria Arroyo. Il missionario ha parlato di 50 milioni di pesos (oltre un milione di dollari). “Mi dispiace, ti sequestriamo solo per i soldi”, hanno detto i rapitori a padre Bossi qualificandosi come “appartenenti al gruppo di Abu Sayyaf”.


Secondo quanto raccontato dal religioso i suoi rapitori ricevevano ordini da una persona che li contattava attraverso un cellulare. La polizia filippina sostiene di non aver versato alcuna somma di denaro per il rilascio di padre Bossi, il quale ha dichiarato di non essere stato testimone di alcun pagamento. Prima delle rivelazioni del missionario italiano, il rapimento era stato attribuito al gruppo terroristico di Abu Sayaf, poi ai militanti del Moro Islamic Liberation Front (Milf), mentre i missionari del Pime sospettavano di alcuni criminali locali. Elisabetta Belloni, funzionario della Farnesina che da 4 anni collabora per la liberazione degli italiani, ha spiegato, in un’intervista a Repubblica: “Non è ancora chiaro quale sia stato il gruppo responsabile del rapimento”. E per quanto sia inevitabile riconoscere al Sismi un importante impegno nella trattativa è la stessa Belloni a precisare che “l’azione è stata condotta dalle autorità filippine, noi italiani abbiamo avuto contatti soltanto con mediatori”. Si moltiplicano quindi i dubbi sul comportamento di Governo e Farnesina.


Padre Giancarlo Bossi era stato rapito lo scorso 10 giugno mentre si recava alla parrocchia del Payo a celebrare la messa. Da quel fatidico giorno il mondo e in particolare quello cattolico è sprofondato in un abisso di interrogativi senza risposta. Chi poteva aver rapito il “gigante buono”, come lo chiamavano nella sua parrocchia? E per quale ragione?

La notizia della liberazione in Italia è stata diffusa da Romano Prodi poco prima delle 21, ma la conferma ufficiale è arrivata qualche minuto più tardi per voce di Padre Zanchi, superiore generale del Pime, che ha spiegato come il missionario fosse stato accompagnato dagli uomini dei servizi segreti italiani a Zamboanga per una prima visita di controllo sullo stato di salute. La liberazione è avvenuta nella zona di Sibugay Bay, sulla penisola di Zamboanga, nella parte occidentale dell’isola di Mindanao; la parrocchia di Payao, dove il missionario italiano lavorava, si trova a pochi chilometri, mentre la capitale Manila dista oltre un migliaio.


Tempestiva anche la reazione del Papa, che, dalla sua residenza estiva di Lorenzago di Cadore, parla di “grandissima gioia”. Segue poi il commento del Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, che, appena appresa la notizia del rilascio, dichiara: “Sono lieto della liberazione di padre Bossi”.


E mentre a Payo si fa festa e le strade si riempiono di persone, in Italia le agenzie hanno un gran da fare, per riportare i commenti da parte dalle varie aree del mondo politico. Ma la curiosità, intanto, regna sovrana. Dalla Farnesina, infatti, le notizie continuano a giungere con il contagocce. Secondo quanto dichiarato all’agenzia AsiaNews dal capo della polizia filippina sarebbe da escludere l’ipotesi del pagamento di un riscatto. Meglio parlare, secondo le forze dell’ordine locali, di “frenetiche trattative”. A fargli eco, monsignor Pedro C. Quitorio, portavoce della conferenza episcopale filippina (CBCP): “Per la liberazione di padre Bossi non è stato pagato alcun riscatto”, ha detto, sottolineando che “la sola cosa che abbiamo fatto è stata quella di pregare perché tutto si risolvesse nel migliore dei modi”.


Molto però c’è ancora da sapere sui responsabili del rapimento e l’atteggiamento del governo. Almeno per noi, mentre Padre Bossi fa sapere semplicemente: “Voglio tornare ad aiutare la mia gente, i miei rapitori mi hanno assicurato che non mi prenderanno di nuovo. Non ho mai avuto la sensazione che mi volessero uccidere né ho mai ricevuto minacce di morte o violenza di alcun tipo. Mi hanno trattato bene… solo il cibo non era un granché: riso, sale e pesce secco. Per questo sono spariti un po’ di chili. Ma ho anche smesso di fumare: non tocco una sigaretta dal 27 giugno”.


20 Luglio 2007 - di Francesca Burichetti - loccidentale.it

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