Fabrizio De André - “ANIME SALVE”: l’epopea degli Spiriti Liberi

Il testamento del cantautore genovese è dedicato agli spiriti liberi, a coloro che non possono nutrire alcuna speranza nella giustizia terrena dei maiores (maggioranza), ma che possono confidare nel ricompensa di un Dio (Fortuna) che si erge al di sopra di ogni privilegio.


Le anime solitarie delle canzoni di Andrè, si portano dietro tutto il loro bagaglio di sofferenza e di marginalità, ma lo fanno con grande dignità e consapevolezza.

Faber, nel suo ultimo lavoro, ci presenta le storie dei disadattati, i suoi raffinati versi in musica, costruiti con la consueta maestria, denunciano, con garbato sdegno, gli stenti della condizione umana in tutta la sua realtà ed onestà.

Lo scandalo dell’emarginazione degli ultimi, è raccontato attraverso la cruda realtà, attraverso il continuo stillicidio di sadismo inferto a chi, senza una colpa specifica, è rimasto indietro ed è costretto a navigare in direzione ostinata e contraria.

La “maggioranza” rimane indifferente al dolente lamento di chi è condannato alla solitudine, aggrappandosi alle sue ambizioni meschine e millenarie paure, coltivando tranquilla l’orribile varietà delle proprie superbie.

Ma, il sentimento che pervade questo magnifico album, non è quello della sconfitta, per le anime di De Andrè, definite da lui stesso il vomito dei respinti, nonostante tutte le loro sofferenze, ci sarà il premio finale della salvezza.

La loro redenzione si sostanzia nella consapevolezza di non avere colpe specifiche, per il loro essere periferia del mondo civilizzato; le conseguenze terribili delle loro scelte, il più delle volte, sono determinate dal tronfio moralismo e dalla infida ipocrisia di chi vive al centro della scena.
I servi disobbedienti alle leggi del branco meritano, dopo tanto sbandare, che la Fortuna (o chi per essa) li aiuti e soprattutto allevi le profonde cicatrici della loro difficile esistenza; dal titolo del album, possiamo intuire che la preghiera non sarà inascoltata.

L’universo degli ultimi è fatto di storie di desolazione ed emarginazione, ma tutte vissute con dignità e consapevolezza, la periferia del mondo sazio, fa da scenario agli stenti delle spose bambine che tutti i giorni, con le vene celesti dei polsi, vanno a caritare, quel filo di pane, rigurgitato dalle tavole gonfie di chi si può permettere il lusso.

Per Faber la marginalità non rappresenta una sconfitta, anzi costituisce il viatico verso l’agognata salvezza, verso un’esistenza alleggerita dalla zavorra della banalità del male.


Il Dio in cui crede De Andrè è quello che si erge al di sopra delle parti, lontano dalle ipocrisie delle preghiere collettive e si sostituisce alla cosi detta giustizia terrena, attento agli stenti di chi paga i peccati originali della solitudine e dell’emarginazione.

Da un punto di vista musicale l’album rasenta la perfezione, sembra di rivivere la grande epopea di “Creuza de Ma”, i suoni popolari, mai folkloristici, fanno da giusto contrappunto a versi sospesi tra la miseria della realtà e la nobiltà della poesia..


Siamo di fronte ad un autentico esempio di musica popolare, lontano da falsi manierismi, molto di moda in questi ultimi tempi, fatti solo per assecondare i capricci modaioli di ascoltatori distratti.

In più, come se non bastasse, la collaborazione di Fossati, un altro artista abituato a viaggiare in direzione ostinata e contraria, impreziosisce ulteriormente questo lavoro, le due voci si fondono in un’unica smisurata preghiera, volta a proteggere chi è rilegato nella periferie (non solo geografiche) del mondo.

Di grande impatto è la traccia “Khorakhanè”, forse la più emozionante dell’intero album, la cultura Rom viene descritta in tutta la sua dura realtà, senza, però, nessuna pretesa di giudicare chi “viaggia per la stessa ragione del viaggio, viaggiare”; o chi vive in “campi strappati dal vento, a forza di essere vento”.

Il moralismo non ha diritto di cittadinanza nelle narrazioni del cantautore genovese, la cronaca della quotidiana marginalità degli ultimi ci viene raccontata scevra da pregiudizi e condanne.

Il semplice racconto del ciclo degli ultimi, ma non dei vinti, suscita nell’ascoltatore i ribrezzo nei confronti di tutta quella umanità intenta nell’esercizio banale della ricerca del potere, disinteressata a qualunque forma di solidarietà e di accettazione del diverso.

Questo è il fine perseguito dall’ultimo De Andrè, non c’è alcun bisogno di alzare la voce, di travolgere con la bile dell’invettiva chi si mostra indifferente al soffrire dell’umanità, la narrazione dei fatti è un ottimo fucile spianato contro le colpe millenarie del pregiudizio e dell’esclusione sociale, anche perché, alla fine di tutto, tale indifferenza non servirà a guadagnarsi la salvezza eterna.


di Alberto Vangi - senza data - fonte

Nessun commento:

Basta guerre nel mondo!