La marocchina aggredita a Milano: come portò fare shopping con gli agenti?

"Quante follie per l'Islam"

MILANO L’avessero fatta sorridere invece di spaventarla, la loro fede ne avrebbe certamente guadagnato. Perché quando il viso di Dounia Ettaib s’illumina, bisogna solo augurarsi che la sua bellezza duri il più a lungo possibile e che la mano misericordiosa del Signore incenerisca ogni fanatismo nel mondo. E soprattutto faccia rinsavire il cervello dei due figuri che l’hanno aggredita e minacciata in viale Jenner.

L’hanno minacciata prendendosela proprio con la sua bellezza. «Tipico dell’uomo arabo», dice lei. Tipico di una certa impotenza maschile, araba o occidentale che sia, che teme il coraggio delle donne e pensa di colpire il loro viso non potendo ferire la loro anima. Così Dounia, lei non è una buona musulmana? «Essere donna e musulmana vuol dire rendere conto a se stessi, ognuno risponde per sè, come è scritto nel Corano. Chi siamo noi miseri esseri umani per pretendere di sostituirci a Dio?....E qui mi tagliano la testa», ride. «Sa qual è il mio pezzo preferito? “Paradise” di Phil Collins». Niente velo allora? «Solo quando faccio la danza del ventre ma non quando ballo la salsa». E gli occhi le scintillano, scuri e profondi come il Maghreb che si porta dentro. «Il velo deve essere una libera scelta. Noi ci arrabbiamo quando il velo viene imposto come simbolo religioso, così come ci arrabbiamo quando veniamo discriminate». Tutte così le donne musulmane? «Tutte uguali le donne occidentali? La verità è che manca la conoscenza reciproca, ma per me che sono nata in un paese dove si poteva convivere con cristiani od ebrei, la differenza non passa dalla religione ma dalla propria personalità, dall’essere se stessi oppure no».

Avete mai conosciuto una donna marocchina? Sono così: ingovernabili e spiritose. Volubili e costanti, penetranti e avvolgenti come il vento del Sahara. Che soffia così lontano da questa villetta monofamigliare nella Brianza appiccicosa dove Dounia vive da cinque anni con il marito italiano e un bimbo di tre anni e mezzo. Il praticello ben curato, il salone per gli ospiti, la verandina, una stanza con l’arredamento marocchino, unica concessione alle sue origini. Una signora Rossi qualsiasi, con una grande nostalgia. «Si, lo confesso: mi manca Milano, potessi tornerei a viverci di corsa, qui è un po’ noioso, però almeno ogni tanto posso andare a cavallo, che una delle mie passioni, così come “Via col vento” e Rossella O’Hara». Nata a Casablanca 28 anni fa, Dounia è arrivata nel capoluogo lombardo che aveva 8 anni. «E sono andata a scuola dalle suore della comunità di San Marco». Suore? «Sì, andavo dalle suore cattoliche anche quando ero a Casablanca, per me non è mai stato un problema, ho potuto conservare tranquillamente la mia fede. È stato quando sono arrivata qui in Italia che ho iniziato a vivere delle differenze».

Differenze che ha pagato e sta pagando sulla sua pelle. «Purtroppo le cose sono peggiorate dall’11 settembre in avanti. Tra gli islamici c’è chi si è radicalizzato, tra gli occidentali c’è chi ci guarda con maggiore sospetto. Tutti i musulmani, buoni o cattivi che fossero, sono stati discriminati. Io per esempio facevo il broker in Borsa, mi piaceva. Ma dopo l’11 settembre non sono più riuscita a lavorare per nessuna multinazionale, quando capivano che ero musulmana iniziavano a tergiversare e alla fine non se ne faceva più niente». Dounia, laureata in Statale in psicologia con 106 su 100, è riuscita infine a trovare un posto alla Provincia, «come impiegata, niente di eccezionale, però mi occupo delle persone al primo impiego e così ho potuto conoscere più da vicino tante realtà difficili, tanti immigrati che venivano in Italia pieni di speranze. È nato così il mio impegno, soprattutto per le donne e i minori, i soggetti deboli insomma».

Nel ‘97 è entrata nell’Acmid, nel 2005 è diventata rappresentante della comunità marocchina su incarico del console generale. E questo suo attivismo ha iniziato a dare fastidio. Fino a rendersi intollerabile davanti agli occhi di molti esponenti della sua comunità che non hanno gradito vederla in televisione e sui giornali chiedere di difendere la memoria di Hina, l’adolescente pakistana uccisa dal padre perchè “troppo occidentale”. O perchè semplicemente troppo libera, come Dounia, in fondo. «Per me non è importante che Hina fosse pakistana. È importante solo il fatto che fosse una donna e che secondo i suoi genitori non si comportasse da buona musulmana e che per questo hanno ritenuto di poterla uccidere. E dato che nella nostra comunità purtroppo questo succede spesso, per me, per noi dell’associazione Comunità Marocchina delle Donne in Italia, è stato un modo per difenderle tutte».

Ma la sua religione, cosa dice? «Guardi la mia religione ha un sacco di persone che pretendono d’interpretarla nel modo giusto, senza accorgersi di portare avanti retaggi del passato. E non si accorgono che così facendo contrabbandano un sacco di sciocchezze. Penso per esempio a quelli che decidono di fare i kamikaze raccontando che il Corano promette 70 vergini in Paradiso. E invece per le donne solo Paradiso e basta. Ma io dico: dateci anche a noi 70 figaccioni, almeno ci divertiamo nello stesso modo. Si può credere a certe sciocchezze? Ma dove c’è scritto che ti devi ammazzare per 70 vergini? Questa è follia, non è religione, non è Islam». Dounia Ettaib sorride, sbuffa. È un alito di Ghibli che s’insinua tra i suoi denti bianchissimi. «Mi chiedo come farò a fare shopping ora che dovrò girare con la scorta». Che Dio, Allah, Budda e Visnù la proteggano. «Si ma adesso la saluto che devo fare il bagnetto al bambino».

02-07-2007 - di PAOLO COLONNELLO - lastampa.it

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