Pistorius: secondo con gli atleti normali

L'atleta sudafricano senza gambe che corre con protesi al carbonio ha gareggiato per la prima volta con dei normodotati

ROMA — Dopo le otto di sera, d'estate, Roma diventa la città più bella del mondo. E Oscar — il figlio del lottatore che non andò all'Olimpiade perché il Sudafrica praticava l'apartheid, il nipote del rugbista che gli ha lasciato nel sangue l'amore per questo sport, il neonato che nacque senza i talloni dei piedi e che a undici mesi fu amputato delle due gambe sotto il ginocchio — ha scelto questo cielo per fare la sua rivoluzione. Un'incredibile rivoluzione culturale, perché da ieri ci sono normodotati che invidiano e temono un atleta disabile.

Non lo dicono ancora apertamente, perché non è politically correct, ma lo diranno presto. Quando magari li batterà all'Olimpiade e porterà loro via sponsor e premi. Oscar Pistorius, ieri, ha corso i 400 metri in 46''90 al Golden Gala di Roma. Era la prima volta, per un atleta paralimpico, in una gara con avversari che le loro gambe non le staccano e le riattaccano. Secondo. Davanti a lui Stefano Braciola (46''72) e dietro altri sei, superati quasi tutti nell'ultimo rettilineo, quando Oscar diventa Blade Runner e non la tartaruga che è alla partenza, quando sui blocchi contano le caviglie che lui non ha. Pensava di far meglio, come tempo. Ma, come dice il suo allenatore, aveva perso tante energie prima, tra interviste ed emozione. Domani, a Sheffield, ci proverà di nuovo. E questa volta, in gara con lui, ci sarà anche il primatista del mondo. Meglio così. Se pensi in grande, prima o poi li devi sfidare tutti.

Oscar vuole andare all'Olimpiade di Pechino 2008 e vuole vincere quella di Londra 2012.

Il limite per partecipare ai Mondiali di atletica di Osaka, il prossimo agosto, è 45''95.Lontano? Non per chi ha imparato a correre come se dovesse imparare a respirare. Perché per lui, questo è la corsa: ossigeno.
Se parliamo di Oscar Pistorius l'atleta, ecco i suoi tempi: 10''90 sui 100 metri; 21''34 sui 200 metri; 46''34 (ipse dixit) e/o 46''56 (Federatletica sudafricana) sui 400 metri. Se parliamo di Oscar Pistorius il ragazzo 21enne, c'è molto da dire. Ma quasi tutto, come se descrivessimo nostro figlio che stravede per Valentino Rossi e ci fa venire le palpitazioni ogni volta che esce con il motorino. Anche Oscar lo fa.
E insieme al Dottor Rossi ammira i grandi dell'atletica: Colin Jackson, Frankie Fredericks, Michael Johnson. Gli piace la musica rock e gli piacerebbe andare a cena con Anthony Kiedis, il cantante dei Red Hot Chili Peppers. Kiedis è un negozio di tatuaggi che cammina e anche Oscar ne ha uno, sul braccio destro. C'è un nome, Sheila, e ci sono due date: nascita e morte della mamma. Oscar aveva 15 anni, quando lei morì per un'intossicazione da farmaci.

Se guardi in alto, ha la faccia tosta di un attore da serial americano. Gli chiedi: «Com'è avere due protesi al posto delle gambe?». Risponde: «Com'è avere due gambe normali?». Se guardi in basso, studi subito quelle stranissime «zampe» arcuate, che Oscar chiama cheetahs, ghepardi. Le costruisce una ditta islandese, costano sui 30 mila euro. Perché questo è diventato il punto. Perché qui è il centro della rivoluzione. C'è chi dice che queste protesi, per lui, sono un grande vantaggio. Perché con quelle al posto dei polpacci non viene strangolato dall'acido lattico. Perché gli permettono una falcata da 3 metri quando un campionissimo la fa da 2,80. Perché se la sua gamba non fosse stata amputata, adesso sarebbe più corta di quella con il rostro. Perché la Iaaf, la Federatletica internazionale, sta studiando se ammetterlo o meno alle competizioni ufficiali che non siano i Giochi Paralimpici, che ormai vince doppiando gli avversari.

Alex Zanardi, in una bella intervista alla Gazzetta dello sport, ha detto tutto meglio di tutti: «Si chiama protesi elastica ad alta restituzione di energia. Se la restituisce, prima gliela devi mettere. Mica te la regala ». Nessun vantaggio. Semmai, nella vita, Oscar di vantaggio ne ha avuto uno solo: nascere in Sudafrica da una famiglia di sportivi che, dopo la tragedia, lo ha aiutato a trovare la sua strada, facendolo crescere tra un fratello e una sorella senza fare differenze. Forse è più leggenda che storia, ma anche se fosse una bugia sarebbe comunque più bella della verità: Oscar è ragazzino, va a scuola accompagnato dal padre, due bulletti per strada lo buttano per terra. Papà Henke, ex lottatore, non interviene. Vuole che Oscar se la cavi da solo. Poi, quando tornano a casa, gli regala un punching-ball.

Giovedì, per la prima volta, tre atleti disabili sono entrati a far parte delle Fiamme Azzurre, il corpo sportivo della Polizia Penitenziaria. Per dare loro questa opportunità, si è dovuto aggirare il problema dell'arruolamento, con le visite mediche e i regolamenti. C'è voluto un protocollo tra ministero della Giustizia e Comitato olimpico. Il sottosegretario alla Giustizia, Luigi Li Gotti, parlando in quell'occasione anche di Pistorius, ha centrato il concetto della rivoluzione culturale e dell'avanzata prepotente dei nuovi diritti: «Gli auguro di andare all'Olimpiade ma, paradossalmente, se gli proibissero di andarci sarebbe una vittoria ancor più clamorosa: un atleta disabile avvantaggiato rispetto ai normodotati ».

Costringere la Iaaf a filmare tutta la gara di Roma (come succederà anche a Sheffield), per vedere se le protesi gli procurano davvero dei vantaggi, è già il trionfo di Oscar. Paradosso per paradosso, ci potrà essere qualcuno pronto ad amputarsi due gambe sane per sostituirle con protesi e diventare un campionissimo? Se vi pare fantascienza, pensate a chi si spara in vena di tutto, sapendo bene di rischiare la trombosi subito e ogni peggiore malattia in futuro, per gareggiare da ipotetico normodotato in tantissimi sport. Forse tutti. Sicuramente troppi.


Luca Valdiserri - 14 luglio 2007 - corriere.it

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