Nepal, la baby-dea «contaminata» dagli Usa

Per riacquistare il suo status ha dovuto sottoporsi a un rito di purificazione


La piccola Kumari privata della divinità a 10 anni dopo un viaggio in America. I saggi: «Potrebbe avere mangiato cibo proibito»


Sajani Shakya si alza ogni mattina alle quattro, si stropiccia gli occhi, fa un grande sbadiglio e, dopo essersi vestita come una dea, si siede su un piccolo trono in attesa di visitatori. La gente arriva, le butta addosso dell'acqua e la guarda adorante. Sajani ha solo dieci anni ma sa che non deve piangere mai. I suoi occhi lucidi potrebbero essere interpretati come presagio di morte imminente, un suo lamento il segno di una malattia grave.

Lei è una delle bambine dalla pelle dorata che il Nepal adora in quanto incarnazioni della dea Durga. E in questi giorni ha rischiato di perdere il suo status di divinità. Perché ha lasciato l'antica città di Bhaktapur, dove vive, e si è recata negli Stati Uniti per assistere alla prima del documentario britannico Living Goddess (Dea vivente) che racconta la storia delle piccole come lei, scelte all'età di due anni, dopo una selezione durissima, per legittimare il potere reale.

Ai saggi di Bhaktapur il viaggio non è piaciuto. Secondo loro una Kumari, che letteralmente vuol dire vergine, non può lasciare il Paese, fare il tour della Casa Bianca, andare sulle montagne russe e girare per uno zoo come una bambina normale. È un oltraggio che va punito con la deposizione. Così mentre Sajani visitava una scuola elementare di Washington e rispondeva alle domande dei suoi coetanei: «Ti piacciono i videogiochi?» «Sì», «Come ci si sente a essere una dea?» «Bene», «Cosa vuoi fare da grande?», «L'insegnante », nel tempio buddista di Bhaktapur si pensava addirittura di toglierle le 6 mila rupie al mese (circa 80 euro) cui la piccola avrebbe avuto diritto una volta in pensione, alla comparsa delle mestruazioni. «È una cosa impura per la nostra tradizione — ha spiegato uno degli anziani —. Potrebbe aver mangiato cibo contaminato».

I genitori della bambina, rimasti in patria, sono subito corsi ai ripari: «Se lo avessimo saputo — ha spiegato la madre — non l'avremmo mai fatta partire. Comunque è stata sempre seguita da uno chef nepalese che ha cucinato per lei il cibo tradizionale. Niente manzo. Niente maiale ». E anche il producer del documentario, Marc Hawker, si è affrettato a presentare le sue scuse: «Pensavamo di aver chiesto tutti i permessi necessari» ha detto, sperando in un ripensamento.

Alla fine i saggi si sono ricreduti e, mercoledì scorso, Sajani è rientrata a Katmandu come una vera divinità, tra le ovazioni della folla e il rullare dei tamburi. L'incidente si è risolto con una cerimonia di purificazione. «Sono molto contenta — ha detto dopo essersi sottoposta al rituale —. Io l'ho fatto per il Nepal».

Una vita non proprio facile quella delle dee viventi. Vengono scelte a due anni, tra le bambine buddiste delle famiglie newar, gli Sakya, i primi abitanti della valle del Katmandu, discendenti di Buddha. Per essere «eleggibili» devono possedere le 32 perfezioni. Tra le altre: nessuna ferita o cicatrice, un corpo come un albero di banano, occhi neri, cosce di daino, una lingua piccola. Ma le prove peggiori, a dir poco crudeli, sono quelle caratteriali. La più terribile è quella della notte nera quando, durante la festa indiana di Dashain, le candidate sono costrette a dormire in una stanza buia tra le teste delle capre e dei bufali sacrificati in onore della dea Kali. Con uomini mascherati da demoni che cercano di spaventarle. Chi resiste senza piangere sarà la nuova incarnazione della dea.

Le prescelte, circa dodici, iniziano così un percorso di solitudine. Soprattutto le Kumari reali, quelle di Patan, Katmandu e Bhaktapur (gli antichi tre regni della valle). La più importante Preeti Shakya, salita al trono divino di Katmandu il 10 luglio 2001 (un mese dopo il massacro della famiglia reale nepalese ad opera del principe Dipendra), non può vivere con i suoi genitori, giocare con i suoi coetanei o frequentare la scuola. Le è vietato indossare scarpe e camminare per strada. Segregata nel tempio di Ganesh, il suo compito è quello di restare immobile, al massimo dispensare sorrisi e soprattutto legittimare con il suo potere il sovrano.

Per alcuni questo si chiama «sfruttamento di minori». È il caso dell'avvocato Pun Devi Maharjan che, due anni fa, ha presentato una petizione alla Corte suprema nepalese: «Queste bambine — ha detto — non ricevono un'istruzione e sono allontanate dalla famiglia. È violazione dei diritti umani». Un'istanza di segno opposto è arrivata sul tavolo dei giudici da Chinda Bajaracharya, professore di cultura alla Tribhuvan University, la più antica del Paese: «Venerate da buddisti e induisti. Sono simbolo di armonia religiosa». E mentre si aspetta il verdetto della Corte, le Kumari danno udienza, senza versare una lacrima.


Monica Ricci Sargentini - 21 luglio 2007 - corriere.it

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